Un tuffo nel passato. Il dolore di una vittima e la caparbietà di due giornalisti hanno fatto sì che si riaprissero le indagini su ciò che avvenne il 5 giugno 1975 alla cascina Spiotta di Melazzo di Arzello, provincia di Alessandria, nel blitz che portò alla liberazione di Vittorio Vallarino Gancia rapito il giorno prima dalle Brigate Rosse. Roba per gente di una certa età che probabilmente riuscirà a innescare la memoria con il nome di Mara Cagol, la moglie di Renato Curcio. Giustiziata secondo i suoi compagni brigatisti e morta nel conflitto a fuoco secondo i Carabinieri, Cagol non fu però l’unica vittima dello scontro a fuoco. Quel giorno morì anche l’appuntato Giovanni D’Alfonso, il tenente Umberto Rocca perse un occhio e un braccio e il maresciallo Rosario Cattafi fu ferito più lievemente.
Da sempre alla ricerca della verità dei fatti Bruno D’Alfonso, il figlio del carabiniere ucciso, ha presentato un esposto che ha portato alla riapertura delle indagini. Nel frattempo Simona Folegnani e Berardo Lupacchini, dopo un lungo lavoro di inchiesta, hanno pubblicato il libro Brigate Rosse. L’invisibile. Dalla Spiotta a via Fani, dal rapimento Gancia al sequestro Moro (Edizioni Falsopiano), che cerca di ricostruire i fatti della Spiotta.
Era l’epoca durante la quale, secondo Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Br, “le armi ci facevano comunque paura”. Un timore che i brigatisti non ebbero però quel 5 giugno quando si scontrarono con i carabinieri.
Uno tra i brigatisti riuscì a sottrarsi alla cattura. Non si è mai saputo chi fosse. L’invisibile, appunto.
Le Br da tempo si muovevano in Piemonte. Nel maggio 1973 acquistarono la cascina dove poi installarono – nell’indifferenza generale – anche una lunga antenna.
Quando decidono di rapire Gancia a Canelli quella sarà la base del sequestro. Nei piani doveva essere un’operazione lampo, niente di politico, solo soldi per il finanziamento dell’organizzazione. Rapiscono l’industriale a Canelli, 24 chilometri di distanza, e lo portano alla cascina. Qualcuno del luogo nota uno strano movimento di auto alla Spiotta. Ci si aspetta che la zona venga bloccata con battute e posti di blocco invece non succede nulla.
Solo per caso infatti viene arrestato Massimo Maraschi, 22 anni, membro del gruppo che avrebbe dovuto gestire la prigionia di Gancia, che si dichiara subito prigioniero politico. Ci si aspetta che si colleghi l’arrestato con il sequestro Gancia e invece non succede nulla. “A Maraschi – scrivono gli autori – nessuna contestazione viene mossa dai Carabinieri”.
Il 5 giugno è la festa dell’Arma, molti vanno alle cerimonie e con un’iniziativa estemporanea il tenente Rocca raccoglie i pochi rimasti e va in perlustrazione. Arrivano alla Spiotta e qui la faccenda si complica e tutto si fa oscuro. Le precauzioni dei brigatisti e l’approccio dei militari non sono da manuale. Scatta il conflitto a fuoco, due bombe a mano vengono lanciate dai terroristi, si spara, i carabinieri cadono, i brigatisti tentano la fuga ma Pietro Barberis, il quarto carabiniere del gruppo che rimane illeso, sembra averli catturati. I due fingono di arrendersi ma appena possono lanciano un’altra bomba, il carabiniere si salva e ferisce mortalmente Mara Cagol. L’altro brigatista riesce a scappare.
Questa la sommaria ricostruzione dei fatti sulla quale ci sono molti dubbi. Il carabiniere Barberis non riesce a colpire l’uomo (l’Invisibile) che lancia le bombe ma – mentre si scansa per non essere raggiunto da uno degli ordigni – colpisce Mara Cagol. E anche guardando le foto del corpo della donna (pubblicate nel libro) i dubbi rimangono. I dubbi ce li hanno anche le Br. L’Invisibile dovrà redigere una relazione (presente nel libro) sulla vicenda, che supera l’esame di Curcio e degli altri. Ma il colpo della Spiotta è duro.
Mara Cagol era dotata di carisma, superiore a Curcio dal punto di vista tecnico-operativo contrastò con decisione Moretti durante il sequestro Sossi. Lui il magistrato voleva ucciderlo.
Con la sua morte e l’arresto di Curcio e Franceschini se ne vanno le prime Br, quelle dei due capi che non si sono mai macchiati di reati di sangue e vince Mario Moretti, il capo dell’ala militarista, primula rossa del terrorismo perché in più occasioni riesce a salvarsi per un pelo mentre i compagni cadono prigionieri. In molti dubitano di lui e proprio su Moretti si appuntano i sospetti che riguardano l’Invisibile. Era lui il brigatista che riuscì a scappare? Enrico Fenzi ex brigatista lo affermò davanti alla commissione parlamentare sul caso Moro. “Mi è stato fatto capire che era Moretti il brigatista fuggito”. E aggiunse. “Lì si è radicata una spaccatura personale che poi ha preso anche i colori che per la sinistra sono sempre determinanti di una scelta politica”.
Da lì in poi inizia una nuova storia per le Brigate Rosse che fino ad allora sono state inseguite dal Nucleo speciale del generale Dalla Chiesa che al suo attivo aveva già la scoperta di alcuni covi. Un mese dopo però, l’11 luglio 1975, il Nucleo speciale viene sciolto. Le Br sono nelle mani di Moretti che le fa crescere fino al 16 marzo 1978, il giorno del rapimento di Aldo Moro. E alla Spiotta rimangono Bruno D’Alfonso e i suoi due fratelli senza un padre e il tenente Rocca che vede la sua vita distrutta.
Bruno oggi chiede verità e giustizia, cosa non da poco in un Paese dove anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella può fare la stessa richiesta. Sotto i suoi occhi il fratello Piersanti è stato ucciso a Palermo. E ancora oggi lui non sa da chi e perché.
Il libro. Simona Folegnani e Berardo Lupacchini Brigate Rosse. L’invisibile (Edizioni Falsopiano)
Nella foto di apertura, il corpo di Mara Cagol