L’avo più nobile del docu Cow, cercato nel cinema di finzione, è l’asinello Balthazar del capolavoro di Robert Bresson, e gli è parente per una questione di sguardo. Nei due film, incontriamo davvero gli occhi dell’animale e vediamo davvero quello che vede lui e forse anche come ci vede o non vede.
Bresson ci arriva con l’arte, Andrea Arnold, inglese, classe 1961, con la sensibilità e il rigore, con quest’ultimo che quasi si impone sulla prima delle due qualità. Arnold ha girato per quattro anni in un allevamento modello del Kent e poi sintetizzato in un’ora e mezza la storia, anzi la vita, della mucca da latte Luma – il vero nome della vacca frisona però ce l’ha tatuato addosso ed è 11 29 – usandone per quanto possibile il punto di vista, dalla scena del parto che apre il docu alla morte per mano umana che lo chiude.
Ecco. Siamo arrivati così lontani da ciò che acquistiamo in un supermarket che vivere con Luma, insieme a Luma, per il tempo del film, oltre che poter risultare intollerabile (e non per la noia), è come fare un giro su Marte. Eppure in Cow vediamo tutte le cose che noi sappiamo già ma non vogliamo ricordare che accadano neppure in un moderno allevamento inglese, dove quando mungono le mucche mettono la musica (a Natale, Fairytale in New York). Significativamente, la prima sequenza su un prato, fuori dalla grande gabbia dello stabilimento, arriva dopo 45 minuti di film.
Attenzione, però. Arnold ci offre diverse opzioni riguardo la fruizione di Cow – compresa un’esaltazione del ciclo vitale al femminile e l’accettazione a muso duro di come va il mondo – ma queste partono tutte da un dato di fatto, di poetica della regista. Cow è semplicemente e nella sua crudezza una storia di vita e di morte, la più oggettiva possibile, e per questo Arnold non cerca mai in modo ruffiano la nostra empatia umanizzando e così prevaricando Luma (11 29). Il resto, il contorno, le conclusioni che possiamo trarre, siano storiche (questo docu vale più di ogni proclama animalista) oppure universali (ma in fondo quella mucca siamo noi, non è cosi difficile accorgersene, no?), sono a carico dello spettatore.
Il docu è in esclusiva benemerita su MUBI, piattaforma su cui tra l’altro si può rivedere anche Au hazard Balthazar (1966). Concludiamo ricordando che Andrea Arnold non è una cineasta marziana, appunto, ma ha firmato Red Road e American Honey, vinto un premio della giuria a Cannes e, in fatto di serie, ha girato la seconda stagione di Big Little Lies.