Ci sono autori che trattano una disciplina con metodo scientifico, saggisti di alta specializzazione e insieme abili divulgatori che nell’attività di studio e ricerca non solo aprono nuovi orizzonti, ma esprimono la qualità dello scrittore per come organizzano il materiale e lo dispongono letterariamente a uso e piacere di chi legge. Uno di questi autori è, senz’altro, Paolo Grillo, il professore che, alla fine del 2019, ci ha proposto Le porte del mondo, uscito per la collana Le Scie di Mondadori. Il sottotitolo, di già, è chiaramente esplicativo di quanto voleva narrare: l’Europa e la globalizzazione medioevale ma, volendo espandere il sottotitolo, possiamo fare un salto in avanti andando a pag. 224 per leggere (XVII° capitolo) questo brano:
Non tutto ciò che viaggiava sulle strade dell’Africa, dell’Europa e dell’Asia di fine Duecento era infatti positivo. Le nuove connessioni tra i tre continenti portarono anche a guerre di dimensioni fino ad allora inedite, alla tratta, come abbiamo già ricordato, di decine di migliaia di persone ridotte in schiavitù, al trasferimento di nuove tecnologie destinate alla distruzione come la polvere da sparo cinese in marcia verso ovest o i trabucchi d’assedio latini diretti verso est. Soprattutto, la combinazione di guerre e di spostamenti di persone avrebbe diffuso in quasi tutto il mondo allora noto e riportato nel Mediterraneo un ospite assente da oltre mezzo millennio: la peste.
Leggiamo, dunque, ciò che precede e segue il brano a uso e piacere, sebbene con apprensione per quanto attiene periodi di vita come il nostro in cui il tema della globalizzazione si pone insieme a guerre in corso o a rischio d’insorgenza; a disuguaglianze che si accompagnano all’accumulo delle ricchezze in poche mani e, con l’avvento di nuove tecnologie, a una facilità di movimenti che ci regala il nascere e il diffondersi di una pandemia come quella del Covid. Ma, intendiamoci, non di questo vogliamo parlare se non per via indiretta. Raccordare, semmai, spetterà al lettore. Noi ci fermeremo a riassumere brevemente il senso di ciò che colpisce di questo libro in seguito alle accurate ricerche fatte dall’Autore sulle caratteristiche e gli aspetti peculiari del periodo storico preso in considerazione.
L’Autore, lo abbiamo già detto, è uno specialista. Insegna Storia Medioevale all’Università degli Studi di Milano. Si occupa della storia delle città italiane fra XII° e XIV° secolo e, con questo libro, sconfina nei resti del mondo al tempo conosciuto, sollecitato dalle suggestioni di Marco Polo e del suo Il milione ma, soprattutto, dal materiale raccolto in ordine ai traffici commerciali alimentati dalle più importanti città marinare d’Italia (Genova, Venezia, Pisa, Amalfi), comprese le città e le signorie dell’interno come Firenze e non solo, tramite lo spostamento di mercanti e lo scambio di tessuti, altre merci, argento e oro, sia con il Medioriente, sia con l’estremo est asiatico, il golfo Persico e il bacino africano che si affaccia con minore o maggiore distanza sul Mediterraneo.
La suggestione è tanta: per popoli e culture diverse come quelle dei khanati mongoli, le vie interne e navali per la Cina e l’India, e le insidie dei mamelucchi che in Egitto si frappongono nei rapporti con i regni cristiani del Corno d’Africa. Le relazioni di missionari inviati dai papi e alcuni posizionamenti che si stabiliscono in quelle terre, con permessi e guarentigie dei potenti di turno, consentono la presenza di mercanti in alcune legazioni talvolta supportate da galee armate, e ci fanno capire meglio con che cosa abbiamo a che fare. Nell’esporlo, forse, per la prima volta l’Autore non si accontenta di racconti fantasiosi, ma attinge alla lettura di libri contabili, ricavando quello che è documentato delle transazioni commerciali e delle relazioni politiche e religiose fra i popoli europei e gli altri.
Si potrebbe dire che siamo in presenza di quel metodo storiografico che risale a Fernand Braudel, storico francese dell’età moderna e dell’economia, che fece ricerca secondo una prospettiva comparata dei fatti economici, sociali e culturali, in opposizione alla storia cronologica di singoli avvenimenti. In questo, del resto, Paolo Grillo è stato preceduto in Italia da Carlo M. Cipolla, eminente storico dell’economia e studioso di fama internazionale, che descrisse le crociate più che per la conquista dei luoghi cari alla cristianità, per il bisogno di garantirsi una via al commercio delle spezie e del pepe di un’Etiopia favoleggiata come regno del Prete Gianni ma, in realtà, luogo di straordinarie ricchezze fin dai tempi della regina di Saba.
Passiamo, allora, a un libretto che contiene due brevi saggi: Il ruolo delle spezie (e del pepe in particolare) nello sviluppo economico del Medioevo e Le leggi fondamentali sulla stupidità umana. Questo libretto s’intitola Allegro ma non troppo. Le ristampe non si contano più in Italia, ed è stato anche tradotto in ben tredici lingue. Avendo noi fra le mani la prima edizione (Il Mulino, 1988) possiamo giovarci di un’introduzione del professor Cipolla che spiega come e perché uscì solo in tale data pur essendo, i due saggi, pubblicati rispettivamente nel 1973 e nel 1976 in inglese, edizione riservata per soli amici. La decisione di pubblicarli venne presa, cioè, in seguito alle pressioni di chi ne aveva sentito parlare e, in questa prima edizione, l’autore ha voluto anche precisare, vista la natura dei due saggi, che “quando si fa dell’ironia si ride degli altri […] quando si fa dell’umorismo si ride con gli altri”.
Ebbene. Leggendo il primo dei due saggi riguardo all’interferenza dei commerci e del mercato su scala globale nel Medioevo e avendo a mente i rischi di guerra che spirano adesso in Europa per sbloccare la nostra dipendenza dal gas naturale proveniente dalla Russia e sostituirla con la dipendenza dal gas prodotto col fracking dagli Stati Uniti, non vi viene da pensare ai corsi e ricorsi storici di Giovan Battista Vico? E non vi viene anche da pensare alla stupidità con cui ricadiamo ogni volta negli stessi errori, persino ora che in Russia non c’è più il comunismo e il mondo non dovrebbe considerarsi più diviso in blocchi come ai tempi della guerra fredda? Ed ecco, allora, l’attualità nel rileggere con Carlo M. Cipolla anche le cinque leggi sulla stupidità umana:
1) Sempre ed inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione; 2) La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della stessa persona; 3) Una persona stupida è una persona che causa un danno ad un’altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita; 4) Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide [e] in particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo e in qualunque circostanza trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore; 5) la persona stupida è il tipo più pericoloso che esista il corollario della legge è che lo stupido è più pericoloso del bandito.
Per concludere torniamo al libro del professor Grillo. Alcune porte del mondo verrebbe voglia di visitarle, dopo le sue descrizioni (Samarcanda, Tabriz ecc.) ma sarebbe un errore, si legge nell’aletta della prima di copertina, per noi Europei affascinati dalla figura di Marco Polo, mettere l’Europa al centro di questo processo come se fossimo stati noi a “scoprire” il resto del mondo. Gli europei del Medioevo erano consci di vivere alla periferia di un mondo ricco, colto, civilizzato e multipolare, dove avrebbero dovuto ritagliarsi un ruolo sviluppando il dialogo e i commerci, non cercando di imporsi con gli eserciti. Fu così che l’Europa riuscì a inserirsi pacificamente e fruttuosamente in un mondo più vasto arricchendosi di nuove risorse e nuove conoscenze. Così fu per alcuni decenni, naturalmente, perché poi (questo lo diciamo noi) ricominciò il solito valzer di sopraffazioni e violenze dovute solo alla sete di ricchezza e di conquiste.
I LIBRI Paolo Grillo, Le porte del mondo (Mondadori). Carlo M. Cipolla, Allegro ma non troppo (Il Mulino)