Se ci chiedessero di descrivere Il’ja Il’ič Oblómov con un solo aggettivo, naturalmente useremmo pigro. Non senza ragione: credo sia l’unico personaggio della letteratura occidentale che, pur non essendo malato, compare più disteso che in piedi. Eppure sarebbe riduttivo raccontare così il personaggio di Gončaròv: Oblómov non è pigro – come talvolta capita a noi – lui ha deciso di essere pigro.
In lui la pigrizia è una forma di difesa. Forse non ne è del tutto consapevole, ma è quello che vuole essere.
Si rende conto che gli altri uomini si muovono, agiscono, prendono decisioni – giuste o sbagliate che siano – vede il suo caro amico Stolz, vede le poche persone che vanno a trovarlo, perfino il suo servitore Zachar in qualche modo agisce. Oblómov sa che anche lui potrebbe fare le stesse cose che fanno gli altri, potrebbe amministrare la sua proprietà, lavorare in un ufficio, fare le cose che fa Stolz – magari meno bene di lui – ma decide che è meglio di no. Qualche critico descrive Oblómov come un bambino che non vuole crescere, io non credo sia così. Oblómov vuole crescere, ma a modo suo, non come vogliono gli altri. Oblómov non rinuncia a diventare adulto, ma vuole rinunciare a un mondo – quel mondo che proprio in quegli anni si cominciò a chiamare moderno – in cui esisti se agisci.
Sono passati più di centosessant’anni da quando Gončaròv ha pubblicato il romanzo a cui deve la sua fama e il nostro mondo è dominato da quelli come Stolz e soprattutto da quelli come Tarànt’ev, le cui azioni sono tutte destinate a sfruttare e imbrogliare le altre persone. Viviamo in una società in cui Oblómov farebbe fatica a trovare scuse per giustificare la sua ritrosia ad agire: potrebbe controllare cosa succede nella sua lontana proprietà grazie alla rete, potrebbe perfino lavorare da casa, potrebbe farsi portare qualsiasi genere di prodotto, rimanendo sul divano. Oggi non c’è limite a quello che Oblómov potrebbe fare senza alzarsi dal suo letto perennemente sfatto, indossando la sua logora vestaglia. Però sappiamo che Oblómov saprebbe resistere, perché è un eroe, e gli eroi sono più forti di ogni lusinga.
C’è un bel passo in cui Oblómov immagina quello che Stolz gli avrebbe consigliato: viaggiare, leggere i giornali, occuparsi della propria tenuta, acquistare nuova terra, ristrutturare la casa, partecipare alla vita pubblica, in buona sostanza agire. Oblómov è terrorizzato all’idea di cominciare a essere un uomo “normale”, eppure sembra sul punto di cedere.
“Ora o mai più! Essere o non essere!”. Oblómov voleva alzarsi dalla poltrona, ma il piede non gli si infilò subito nella pantofola, e così tornò a sedersi.
Oblómov ha volutamente mancato quella pantofola, ma il suo autore ama prenderlo in giro. Ed è certamente un’ironia voluta da parte di Gončaròv mettere in bocca al suo personaggio il dilemma di Amleto. Oblómov non ha certamente il physique du rôle del principe di Danimarca. Ma il suo dilemma è a suo modo perfino più drammatico: mentre per Amleto le opzioni sono vivere o morire, per Oblómov sono continuare a vivere o lasciarsi morire dentro, accettando quella che per lui non può essere vita. Perché una vita il cui unico scopo è fare, e magari arricchirsi facendo – che è quello che cerca di fare Stolz, che è quello che cerchiamo di fare tutti noi – per Oblómov non è vita.
Per questo tutti noi dovremmo leggere o rileggere Oblomov. Anche noi che non possiamo non fare, perché ogni mattina dobbiamo andare a lavorare, visto che dobbiamo pagare il mutuo, le rate dell’auto, le bollette, visto che abbiamo bisogno di quei soldi per vivere. Anche noi che pure un tempo abbiamo avuto l’ambizione di cambiare il mondo e quindi abbiamo fatto tante cose, qualcuna perfino giusta; io ho smesso, ma so che qualcuno di voi ancora coltiva, magari in maniera carbonara, questa ambizione.
Nonostante tutto, non so se vorrei essere Oblómov, anche se il pensiero mi tenta, immagino che non ne sarei capace. Oblómov non scriverebbe per Allonsanfàn, perché anche questo alla fine è un lavoro, per quanto ovviamente non retribuito. Però sapere che c’è Oblómov in qualche modo mi rincuora. È possibile un mondo in cui la vita è un’altra cosa.
Sono tutti cadaveri, uomini addormentati, peggio di me, questi frequentatori del mondo e della società! Che cosa li guida nella vita? Ecco, non stanno sdraiati, ma corrono ogni giorno avanti e indietro come mosche, e a che pro?
- Questo articolo si può leggere come risposta a Bartleby per noi, apparso qui
- Luca Billi ha appena pubblicato il romanzo Anything Goes (Villaggio Maori Edizioni)
Nella foto di apertura, Alcuni giorni della vita di I. I. Oblomov di Nikita Mikhalkov