A volte le prime tracce di una guerra si trovano in qualche trattato di pace non così equo. A volte nelle scorie lasciate da conflitti precedenti quando le sliding door della politica internazionale hanno segnato il percorso, indirizzato forse verso il disastro.
È questa la storia dell’invasione russa dell’Ucraina almeno secondo Andrej Kozyrev, già ministro degli Esteri della Federazione Russa dal 1990 al 1996 durante la presidenza di Boris Eltsin. Oggi tranquillo pensionato in Florida, il ministro ha raccontato alla coppia Francesco Battistini-Marzio G. Mian, autori dell’ottimo Maledetta Sarajevo (Neri Pozza), come è stato che la Russia, da potenziale membro della Nato perché allora si parlava di questo, sia diventata quello che è oggi.
Siamo nel 1995 e dopo il Markale 2, il secondo bombardamento del mercato di Sarajevo che provocò 39 morti e 90 feriti, la Nato decise di attaccare le forze serbe e della repubblica Srpska di Bosnia ed Erzegovina. Sul fatto che quei colpi di mortaio fossero veramente serbi i dubbi rimangono, ma Clinton spazza via ogni discussione e decide il varo di Deliberate force, un’operazione Nato da 400 aerei, 3.515 attacchi, 338 obbiettivi. Lo fa perché, è la tesi del libro, rischiava di giocarsi la rielezione a causa dello stallo sulla Bosnia. E allora per uscire dal guado niente di meglio che una guerra etica, del bene contro il male. Clinton si muove all’americana, sfondando porte senza guardare in faccia nessuno. La Russia in quel momento viene ritenuta essere dalla parte dei serbi, ma in realtà Eltsin ce l’ha con Milošević che aveva appoggiato il fallito golpe in Unione Sovietica nell’agosto 1991. “E poi, noi eravamo determinati nella nostra scelta di campo, che era l’Occidente”, spiega Kozyrev. Gli americani però non si fidano, a Mosca i nazionalisti stanno crescendo e anni di guerra fredda non si cancellano in un lampo. Così Clinton va per i fatti suoi e anche il Segretario di Stato Warren Christopher “si mostrò miope e arrogante nel non agevolare il nostro avvicinamento alla Nato”.
Le affermazioni di Kozyrev lette oggi sembrano provenire da un altro mondo: “A me era chiaro quanto la questione dell’adesione all’Alleanza Atlantica fosse importante più per ragioni interne alla politica russa, che esterne. La Nato non rappresentava affatto una minaccia ed era casomai una forza stabilizzatrice in Europa: anche nel 1917, le forze democratiche russe avevano fallito proprio perché sulla frontiera occidentale c’era una guerra. A mio parere, la Nato poteva dare un considerevole aiuto alla Russia. Nessuno allora sapeva come stabilizzare le repubbliche dell’ex Urss, l’Ucraina per prima, e alla fine era rassicurante che questi Stati post-sovietici volessero entrare nella Nato, far parte dell’Europa: il Patto Atlantico, in questo senso, poteva aiutare questo processo…».
L’ex ministro non pensa a una adesione piena all’Organizzazione, ma a un trattato. “Volevo evitare che in Russia si creassero forze anti-Nato e s’entrasse in conflitto, sarebbe stata una nuova edizione della Guerra Fredda. Purtroppo, non fui ascoltato”. Così, aggiunge, fu facile per gli ultimi nostalgici dei soviet trasformare l’Alleanza Atlantica nel Grande Nemico, rafforzarsi, invocando la Russia che fu.
Clinton invece diede l’ordine di attaccare senza coinvolgere la Russia. “Per combattere il nazionalismo di Karadžić e di Milošević, gli Stati Uniti hanno finito per alimentare quello russo. È stato lì che l’orologio della Storia è tornato indietro. Da quel momento, ha preso piede l’idea neo-imperiale di Putin. Sia chiaro: noi non eravamo contrari all’uso della forza, stavamo senza se e senza ma dalla parte dell’America. Ma chiedevamo anche di poter fare digerire le operazioni militari ai nostri nemici interni! Se si fosse pubblicizzata un’“iniziativa Eltsin”, e non solo americana, sarebbe stata la mossa perfetta. Decisiva, per far finire la Guerra Fredda. E per mettere anche noi russi dalla parte giusta della Storia”.
Questa l’opinione di parte dell’ex ministro russo, mentre Romano Prodi fa chiarezza sull’adesione alla Nato dei Paesi dell’Est tanto discussa in questi giorni. Il presidente della Commissione europea nell’epoca dell’allargamento a est racconta: “Il problema coi baltici era la Russia: la diretta influenza di Mosca ha portato una forte accelerazione, per averli nell’Europa e nella Nato. Anzi, specialmente nella Nato, perché in ogni colloquio l’ossessione era quella: Nato, Nato, Nato, erano fissati… Si ha un bel dire che basta la membership europea per avere sicurezza. In quei Paesi non ascoltavano nemmeno: dicevano viva la Ue, ma soprattutto viva la Nato”.
Sono i passaggi più attuali di un libro che ripercorre le vicende di una guerra che i due giornalisti hanno vissuto da protagonisti con tanto di attraversamento del tunnel che permetteva di entrare e uscire dalla Sarajevo assediata. Maledetta Sarajevo racconta il vero volto di una guerra dove i serbi non erano sempre i cattivi e i bosniaci non sempre i buoni, per non parlare dei croati. Una guerra dove il mondo ci mise quattro anni per intervenire con durezza, la Sarajevo multietnica è un ricordo del passato, la Bosnia Erzegovina un Paese alla deriva e una pace, gli accordi di Dayton, che sembrano avere posto le basi per un nuovo conflitto che è lì sospeso nell’aria.
È il racconto di una guerra con livelli di crudeltà inauditi, di una violenza terribile, di amici diventati massacratori di quelli con cui giocavano insieme. Ricordo l’episodio letto allora dell’inviato che parla con un bambino che di corsa è arrivato nel rifugio sfidando i colpi di una mitragliatrice. “Quello che spara – dice ridendo – era il mio maestro a scuola”. Una guerra che per la prima volta ha visto in azione i carri armati nel cuore dell’Europa. A beneficio di chi oggi scrive che quello russo-ucraino è il primo conflitto dalla seconda guerra mondiale.
Il libro Francesco Battistini e Marzio G. Mian Maledetta Sarajevo (Neri Pozza)
Foto in apertura: le adesioni alla Nato negli anni