Oggi usa comprare i libri nei bookstore online, specie quelli scritti dai nostri autori preferiti o quelli di cui abbiamo sentito parlare con interesse. La consegna è veloce e talvolta c’è lo sconto. Tuttavia, diciamocelo, chi non ha mai perso il gusto di sfogliare un libro per tastarne la consistenza, sbirciare due frasi e saggiare persino la qualità della carta, una scappatella in libreria non se la farà mai mancare: se non altro per scherzare con il vecchio libraio che conosce da tempo o per incontrare amici che fanno abitualmente lo stesso. Talvolta anche per scambiare due parole con un giovane che sta cercando un libro ma non è abituato a frequentare le librerie e, dunque, può giovargli un consiglio, o con la bella signora con cui si è ballato da giovane e adesso è incanutita ed è lì per fare un regalo al nipotino.
In queste circostanze, però, quasi sempre trovi anche un titolo o un autore che da tempo avevi in capo di leggere ma lo avevi dimenticato, e poi c’è l’ultima novità che ti viene incontro, ti sorprende e ti affretti a portare a casa. Quasi mai, comunque, si tratterà di un autore e di un titolo che non conosci. Se proprio ha suscitato il tuo interesse, quando sei a casa cercherai qualche notizia in proposito su Google e deciderai. Capita, però, che avvenga il colpo di fulmine, e a me l’ultima volta è capitato proprio questo.
È in atto una terribile guerra tra Russia e Ucraina, lo sai bene, e sai quanto ti turba, quante ne hai sentite da giornali e tv un po’ troppo allineati sulla stessa lunghezza d’onda. Magari hai cercato di saperne qualcosa di più e di diverso, più qualificato se non altro, ricorrendo a Limes, che infatti mai era stato ristampato più volte come questa. Sai che Lucio Caracciolo non è sospettabile di filo putinismo ed è sempre competente ed equilibrato, e poi Limes ospita voci diverse e si possono fare raffronti, ma in fondo provi sempre quest’angoscia, questa sensazione di non capire. Poi, appunto, vai in libreria e ti viene incontro un libro di non più di centottanta pagine, ma fitte fitte, intitolato Quando abbiamo smesso di capire il mondo di Benjamín Labatut, edizioni Adelphi, anno 2021, e quindi recente.
Così decidi di comprarlo. Con il libraio non ne parli granché, perché di Labatut qualcosa sai, ricordi un titolo, La pietra della follia, che appartiene all’elenco dei libri dimenticati che pure avresti potuto leggere. Il libraio ti conosce bene e potrebbe riservarti punture di spillo, mentre tu non hai in serbo battute adatte alla circostanza sebbene amabili e mai sopra le righe. Allora scambi le solite cordialità, paghi e saluti portandoti via il libro sotto braccio.
È una bella giornata di sole e dell’autore leggi subito qualcosa mentre cammini verso casa. Apprendi che Benjamín Labatut è nato a Rotterdam nel 1980 ma adesso vive in Cile. Leggi anche che Quando abbiamo smesso di capire il mondo appare nel 2020 in Cile col titolo Un verdor terrible che significa Un verde terribile. E ben si capisce, perciò, se te lo domandi, perché all’Adelphi gli hanno dato quest’altro titolo. Non è poi così difficile. C’è una sequenzialità nei libri che pubblica Adelphi.
Il primo libro che ho letto, di questo editore, con attinenza al tema fu Il Tao della fisica di Frjtiof Capra (1989), e poi ci sono stati i tre volumetti di Carlo Rovelli: Sette brevi lezioni di fisica (2014), L’ordine del tempo (2017), Helgoland (2020). Ebbene: ho scoperto che anche il libro di Labatut parla di fisica, per meglio dire di fisici, e del delirio se non della pazzia di coloro che hanno fatto scoperte che non capivano fino in fondo, duravano fatica ad accettare, oppure lasciavano intravedere scenari così avanzati per cui il dato dell’inconoscibilità invece che diminuire in loro aumentava.
Già il titolo originale è dovuto a una scoperta scientifica che ebbe esiti particolarmente diversi da quelli voluti. È il racconto della scoperta del pigmento, da parte di un giovane alchimista, da cui sarà tratto il blu di Prussia che avrà molto successo, sennonché nella stanza virtuale in cui la scoperta entrava, c’erano due porte in uscita con esiti molto diversi: da una parte un insetticida che incrementava la capacità di produzione agricola e dunque era fonte di vita, e dall’altra un veleno da cui nascerà il cianuro fonte di morte e persino il gas dei forni crematori.
Con gli altri racconti, il libro di Labatut prende il volo nel senso che attraversa la vita tormentata di geni della matematica e della fisica come Karl Schwarzschild, Alexander Grothendieck, Erwin Schrödinger, Louis de Broglie e Werner Karl Heisenberg. Passando per geni di minore intensità emotiva, forse, ma non meno straordinaria capacità scientifica come Albert Einstein e Niels Bhor, racconta che si arriva alla piena conquista della matematica quantistica e alla capacità di intervenire sulle particelle atomiche elementari. Ne deriverà la scoperta di un potenziale energetico che, il 6 e 9 agosto del 1945, viene sperimentato dagli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki con bombe capaci di fare in un solo colpo settantamila morti e di recare conseguenze inimmaginabili per la radioattività dispersa nell’aria che, in alcuni casi, è arrivata fino a noi.
Nel descrivere le vite tormentate e talvolta esaltate dalla straordinarietà delle scoperte di questi grandi fisici e matematici, Labatut è impareggiabile: usa lo sguardo freddo dell’entomologo ma ha piena consapevolezza di cosa parla. E il titolo dell’Adelphi sembra volerlo suggerire a memoria futura.
Questo ti colpisce davvero, e spaventa, perché se il libro esce nel 2021, ed è stato pubblicato in Cile nel 2019, non puoi fare a meno di pensare che oggi, dopo la pandemia del Covid 19 e la guerra fra l’Ucraina (sostenuta da Stati Uniti e Nato che dispongono di armamenti nucleari) e la Russia potenza atomica (così vicina alla Cina e all’India dotate, anch’esse, di armi nucleari), è sensato davvero pensare che l’espressione massima del pensare scientifico dei protagonisti di questo libro abbia impedito a loro, e a noi, di capire il mondo. E questa sarebbe la ragione dei deliri e delle pazzie che noi non rilevammo o facemmo finta di non rilevare. La domanda che ti poni, subito dopo è: perché? Cosa e quanto c’è di irrazionale in tutto questo? Ed è una domanda a cui dovrai provare a rispondere da solo.
Benjamín Labatut ha fatto bene il suo mestiere di narratore. Non ti ha raccontato le cose che non sono ancora successe, ma le premesse di quelle che talvolta (lo ammette), pur inventando, non perdono di credibilità. Si potrebbe concludere che così come Fritjof Capra e Carlo Rovelli, ciascuno a suo modo, ci ha narrato il lato chiaro della ricerca ai massimi livelli, Benjamin Labatut ci ha messo sull’avviso riguardo alla parte oscura.
Nella foto in apertura, un orologio all’Hiroshima Peace Memorial Museum (credit: fidelramos is marked with CC BY-NC-SA 2.0)