Il primo ad accorgersi che Slow Horses – serie in onda su Apple Tv con Gary Oldman a far scintille da vecchia spia old style – è qualcosa di completamente diverso, è stato Literary Hub. Ovvio: non poteva uscire dal radar della testata che per eccellenza si occupa di letteratura internazionale, e Slow Horses è il brillante precipitato di una serie di romanzi (otto, più qualche racconto breve) di Mick Herron, adattati per la tv da Will Smith (non il principe di Bel Air ultimamente reincarnato in Mike Tyson, ma quell’altro, già attore e sceneggiatore di Veep).
Allora, cosa c’è di speciale nella squadra degli slow horses, i “ronzini” capitanati da Oldman? Intanto, una bella storia da perdenti. Sono tutti stati banditi dal “Park”, come lo chiamano loro, il Regent’s Park dove ha sede il mitico MI5. Hanno fatto tutti qualche grossa cazzata per sciatteria, eccesso di zelo, avidità o pigrizia. Il giovane protagonista, River Cartwright, ha sbagliato in modo così spettacolare che pure tu, spettatore, nella prima mezz’ora della prima puntata fatichi a riprenderti dallo choc.
Eppure, questi ronzini sono fantastici edificatori del loro fallimento. Sono in Goblin mode: in loro non c’è solo amaro rimpianto per la perdita (dello status, del successo, a volte anche della famiglia), ma proprio un “lasciarsi andare”, un’incapacità di rientrare negli standard imposti – dalla società, dal mondo del lavoro, dalla famiglia… scegliete voi – che ce li fa tanto piacere.
Ma, attenzione: non sono perdenti con talenti che vinceranno la battaglia per risalire dal Pantano – la loro sede – ai piani alti. Sono perdenti con talenti che, lo senti già, resteranno dove sono.
C’è il dramma ma anche uno sconfinamento nel ridicolo, nell’assurdo, secondo la sapiente ricetta del miglior Guy Ritchie (penso a The Snatch o a Rockenrolla), laddove improvvisamente il gioco si fa duro, il sangue sprizza ovunque e l’ondata di shit li raggiunge in piena faccia. E c’è ovviamente un livello attoriale da master class soprattutto in un Oldman che interpreta perfettamente il vecchio sadico, scoreggione e nostalgico maestro della Guerra Fredda, e una Kristin Scott Thomas (Diana Taverner, detta “Lady D”) algida e nervosa spia ai vertici del Park, con piani e scopi davvero molto oscuri – e decisamente inquietanti, vista l’attualità degli ultimi vent’anni.
Quindi, come dire, godetevi questa prima stagione (che la seconda è già in lavorazione). Godetevela fin dalla sigla, la cui canzone è farina del sacco di Mick Jagger. E, se pure troverete che manca di tutte le qualità edificanti e fallocentriche che vi aspettereste in una classica spy story, lo compensa beh, nel suo essere sorprendente e assurdamente realistica.