Berlino 1933, storia di una famiglia e dell’inquietudine che provocano le elezioni e la prospettiva che Adolf Hitler prenda il potere. Bisogna scappare: Anna, nove anni, con la madre e il fratellino, dapprima segue a Zurigo il padre, ebreo e critico di teatro inviso ai nazisti, ma la lunga fuga attraverso l’Europa è appena iniziata. Non c’è posto dove sentirsi, se non a casa, almeno al riparo.
Al momento di lasciare Berlino, oltre all’amata nanny, Anna abbandona il suo coniglio rosa di peluche (l’infanzia?). Il coniglio del titolo, travolto come la sua piccola padrona dalla Storia.
Quando Hitler rubò il coniglio rosa, oggi al cinema per la regia di Caroline Linke (1960), è tratto da un best seller di Judith Kerr (1923-2019), che mise in pagina all’inizio degli anni Settanta una versione romanzata (e per giovani lettori) della sua vera vita – Judith era figlia del critico e intellettuale Alfred Kerr – “terminata” con l’approdo a Londra e la cittadinanza inglese. Una versione romanzata perché il libro, scritto con libertà quarant’anni dopo gli eventi, è qualcosa di diverso da un memoir, anche per il taglio dato, il punto di vista di una bambina. Da noi uscì nel 1976 nella BUR Ragazzi.
L’ispirazione gentile della Kerr, nota per i suoi libri per l’infanzia, da lei anche illustrati, come la serie del gatto Mog o La tigre che venne per il tè, oggi può portare con sé tutte le critiche possibili (cioè le due solite: edulcorazione e spettacolarizzazione di un genocidio, sebbene all’alba), ma non nasconde nessuna ambiguità di fondo.
La regista Caroline Link è in qualche modo garante dell’operazione e della gradevolezza di racconto di un film che evita le scene madri a favore di una movimentata narrazione quotidiana – Linke tra l’altro ha vinto un Oscar per il miglior film straniero nel 2003 con Nowhere in Africa, tratto dal romanzo di Stefanie Zweig, anch’esso imperniato su una famiglia ebrea che lascia la Germania in periodo prebellico.
Comunque. Link ha spiegato perché le è piaciuto il libro di Kerr e perché ha scelto di girarne il film. Il primo motivo è il punto di vista. “What finally convinced me was that the story is told entirely from the perspective of 9-year-old Anna, who finds life as a refugee as not just terrible, but as a great adventure” (il resto dell’intervista, qui).
Il secondo, la leggerezza. “The novel was sad and moving and, at the same time, light. I thought this was very unusual for stories that take place during that time, so why not make a movie that works the same way?” (Il resto dell’intervista, qui).
Il film vede protagonisti Riva Krymalowski e Marinus Hohmann (i ragazzini), Oliver Masucci e Carla Juri (i genitori), Ursula Werner, Justus von Dohnányi e in partecipazione Anne Bennent e Benjamin Sadler. Tutti intonati alla storia.
Credit: Judith Kerr by Chris Boland is marked with CC BY-NC-ND 2.0