“Di sicuro c’è solo il morto”. Vale la pena di rispolverare il felice incipit con cui Tommaso Besozzi sull’Europeo di tanti anni fa iniziò la sua cronaca sulla morte del bandito Giuliano. Solo che qui non si parla di un criminale ma di una persona onesta, David Rossi, responsabile comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, volato da una finestra del suo ufficio il 6 marzo 2013. La vicenda, ancora senza una soluzione, è raccontata da Davide Vecchi, allora cronista del Fatto Quotidiano, oggi direttore del Tempo, nel libro La verità sul caso David Rossi (Chiarelettere).
Il libro è una dettagliata ricostruzione della vicenda e delle indagini che hanno coinvolto anche l’autore, che con la moglie di Rossi è finito sotto processo. Procedimento che si è chiuso con l’assoluzione e la mancata richiesta di appello della Procura.
Quella del processo ai due è una delle tante assurdità che caratterizzano la vicenda iniziata con la più antica banca del mondo che decide di avviare un’azione di responsabilità nei confronti degli ex vertici Giuseppe Mussari e Antonio Vigni e presentare una richiesta danni ai due istituti di credito esteri Nomura e Deutsche Bank, con i quali tra il 2008 e il 2011, erano stati sottoscritti i contratti derivati Alexandria e Santorini, oltre al mandate agreement, il contratto segreto, per occultare ingenti perdite. “In pratica l’occhio del ciclone dello scandalo che, secondo l’accusa, avrebbe affossato Rocca Salimbeni (sede di Mps, ndr)”.
La casa di Rossi come il suo ufficio vengono perquisiti senza che sia mai stato indagato. Il manager ha paura, viene accusato di essere la fonte che ha rivelato al Sole 24 Ore l’avvio dell’azione di responsabilità (si scoprirà che non è lui), la moglie si accorge che si è fatto una serie di tagli al polso, ha paura che in casa ci siano delle cimici. Per questo scrive messaggi invece di parlare. La tensione lo distrugge fino al 6 marzo quando si lancia (?) dalla finestra lasciando un messaggio alla moglie: “Ho fatto una cavolata”.
Da qui parte una vicenda molto intricata che Vecchi racconta con chiarezza e nella quale spicca l’incompetenza della Procura di Siena che porta avanti indagini raffazzonate con comportamenti che mostrano molte lacune. Per esempio, i magistrati entrano nell’ufficio di Rossi dopo la sua morte, toccano il pc e altri oggetti prima che vengano rilevate le impronte e lasciano lì i fazzoletti macchiati di sangue. Quella sera la Scientifica sarà l’ultima a entrare nell’ufficio.
La lista degli errori è molto lunga.
L’impegno della famiglia per la verità si scontra con il lavoro della procura che punta dritta verso il suicidio. Ma ci sono troppe cose che non quadrano in questa storia che si svolge in una città abituata alla benestante tranquillità garantita dalla banca. In molte famiglie senesi c’è un dipendente di Mps e l’istituto di credito da sempre finanza molte iniziative in zona. Il suicidio farebbe comodo a tutti. Alla banca in grave crisi e alla città desiderosa di tornare alla tranquillità di un tempo senza giornalisti che fanno domande.
Quel tempo, però, è finito per sempre. Siena torna a essere una normale città italiana con manager discutibili, politica irresponsabile e magistratura da dimenticare. Depistaggio o incompetenza? Il dubbio aleggia nelle pagine anche perché quando le indagini vengono riaperte e l’inchiesta passa nelle mani di un magistrato non di Siena che si avvale di consulenti tecnici estranei alla città (non è un dettaglio) le indagini ripartono. Poi dopo un anno il magistrato viene trasferito.
Un bel lavoro lo fa anche la commissione parlamentare d’inchiesta perché in fondo ci voleva poco. «È bastato porre le domande giuste a protagonisti e comparse» scrive Vecchi.
A un certo punto spuntano i festini a luci rosse che avrebbero coinvolto nomi eccellenti in città. Si trova anche qualche riscontro ma nessuna prova definitiva. Dettaglio pecoreccio? Mica tanto. Scrive Carmelo Miceli, l’avvocato della famiglia Rossi opponendosi alla richiesta di archiviazione dell’inchiesta: “Le scelte operate dai magistrati assegnatari della prima indagine [Marini e Natalini, nda], così macroscopicamente illegittime e lacunose da non potersi spiegare in altro modo che con la volontà di definire il procedimento nel più breve tempo possibile” appaiono “orientate dalla finalità di evitare l’emersione (anche mediatica) di particolari imbarazzanti e scabrosi riguardanti direttamente le loro persone e che avrebbero certamente avuto delle rilevanti conseguenze”. Secondo diversi testi ai festini avrebbero partecipato anche i due magistrati assegnatari dell’indagine.
Sono passati nove anni e ancora oggi l’unica certezza sulla scomparsa di David Rossi è la sua morte.
Il libro. Davide Vecchi La verità sul caso David Rossi (Chiarelettere).
Nella foto, Palazzo Salimbeni, sede centrale della Banca Monte dei Paschi di Siena. Il corpo di David Rossi viene trovato sulla strada su cui si affacciava il suo ufficio