Non conoscete i Bibanesi? Vi siete persi qualcosa di bello. Sono “panetti croccanti modellati a mano… dalla fragranza inconfondibile che solo l’amore per le cose genuine di chi fa il pane da quattro generazioni può loro donare”.
Per essere buoni son buoni. Ma è quel “stirati a mano” che campeggia sulla confezione che mi ha sempre lasciato un piccolo rigagnolo di perplessità. Chi saranno le stiratrici dei Bibanesi, che aspetto avranno le loro mani? Me le immagino ciarliere come le sigaraie della Carmen, operose lavoratrici venete di mezza età – Bibano è un paesetto in provincia di Treviso – vestite di bianco immacolato mentre manipolano i tozzi panetti così lontani dall’eleganza giacomettiana dei loro parenti torinesi. (E se invece i Bibanesi fossero stirati a mano da meravigliose donne di colore, piccole e industriose come i mitici Umpa Lumpa, i felici operai della fabbrica di cioccolato del signor Willy Wonka?)
Come spero si comprenda, adoro i Bibanesi e ne sono affezionato consumatore al punto da dichiarare ufficialmente che non mi passa nemmeno lontanamente per la testa pensare che non siano “stirati a mano”, uno ad uno, con amore e passione trevigiana.
I Bibanesi sono parenti molto alla lontana degli shampoo antiforfora e delle creme antirughe. Nell’albero evolutivo dei prodotti industriali di largo consumo il loro “antenato comune” sta lontano come voi e io da Lucy, il famoso ominide vissuto 3,2 milioni di anni fa. La differenza è sostanziale oltre che formale. Se fossero stirati a macchina invece che a mano (tremo al solo pensiero di una simile assurdità) i Bibanesi manterrebbero comunque la loro brava promessa funzionale: sono alimenti nutrienti e buoni da mangiare a prescindere da come vengono fabbricati. Gli shampoo antiforfora e le creme antirughe sono invece persino più inattendibili di un oroscopo di Paolo Fox. Con la differenza che le garbate promesse del noto astrologo possono allietare la giornata, mentre forfora e rughe incombenti ci ricordano tristemente la nostra condizione umana.
Shampoo antiforfora, creme antirughe… e potremmo continuare a lungo con pastiglie per lavastoviglie, auto a gasolio dai consumi improbabili, prodotti finanziari, annunci immobiliari, diete per dimagrire, partiti e movimenti politici (eccetera eccetera). “Dietro” a ciascuno di essi – come si ormai si scrive con linguaggio da psichiatria complottista – c’è l’intelligenza e il lavoro di un sacco di persone intelligenti variamente impegnate nello sforzo di rendere credibili promesse che avrebbero fatto arrossire pure il Gatto & la Volpe. Da che mondo è mondo pare sia sempre stato così. Si chiama “intelligenza commerciale”, lo sforzo che da Lucy in poi ha contribuito a trasformarci da australopitechi a esseri umani.
Le intelligenze che lavorano per lavare più bianco, eliminare le rughe o creare denaro da altro denaro, non hanno altro dio all’infuori di Hermes, protettore dei commerci, dei viaggi, dei confini, dei ladri e dell’eloquenza. Con buona pace di Max Weber, l’etica protestante – ammesso che ci abbia mai convissuto – ha da tempo abbandonato lo spirito del capitalismo. Non è un crimine e nemmeno un problema, se si è ragionevolmente avveduti e in grado di leggere le avvertenze prima dell’uso. Il guaio, un guaio grosso più d’una casa, è quando altre intelligenze sacrificano sugli altari di Hermes. È il tema del Il tradimento dei chierici (Einaudi) di Julien Benda, un saggio visionario sul ruolo dell’intellettuale nella società contemporanea. Pubblicato nel 1927, anticipò con chiaroveggenza quello che pochi anni dopo sarebbe successo nella Russia di Stalin e nella Germania di Hitler grazie all’assiduo lavoro di lucide intelligenze, le élite spregiatrici della democrazia: “I chierici qui in causa assicurano spesso che loro ce l’hanno solo con la democrazia bacata, com’essa si è dimostrata più volte nel corso di quest’ultimo cinquantennio, ma che sono tutti per una democrazia pulita e onesta. Non è vero niente, dato che la democrazia più pura costituisce, per il principio di uguaglianza civica insito in essa, la formale negazione di quella società gerarchizzata che essi vogliono”.
Il saggio Il tramonto della democrazia (Mondadori) di Anne Applebaum prende le mosse proprio dal lavoro di Benda. L’accusa è rivolta a coloro avrebbero il dovere di ricercare la verità, scrive la Applebaum, élite intellettuali che come negli anni Trenta sono fautori di idee illiberali e autoritarie che stanno ottenendo un crescente consenso tra le masse. Nonostante che americani, inglesi, italiani, francesi, polacchi e ungheresi abbiano ampiamento goduto dei benefici della democrazia, sono attratti da leader autoritari, populisti e nazionalisti. “Sebbene il dominio culturale della sinistra più intransigente stia crescendo, gli unici moderni ‘chierici’ che hanno conquistato un potere ‘politico’ reale nella democrazia occidentale – gli unici che operano dentro ai governi, che fanno parte di coalizioni di governo, che guidano importanti partiti politici – sono i membri di movimenti che siamo abituati a chiamare la ‘destra’”, scrive la Applebaum.
Come i Bibanesi, gli shampoo antiforfora e qualunque altro prodotto di largo consumo hanno bisogno di lucide intelligenze per farsi largo nella foresta dei consumi, così “nessun despota contemporaneo può avere successo senza l’equivalente moderno: scrittori, intellettuali, libellisti, blogger, spin doctor, produttori di programmi televisivi e creatori di meme che possono vendere la sua immagine al pubblico. I despoti hanno bisogno di persone in grado di promuovere la rivolta o preparare un colpo di Stato. Ma hanno anche bisogno di persone in grado di usare un linguaggio giuridico sofisticato, persone in grado di sostenere che infrangere la costituzione o alterare la legge sia la cosa giusta da fare. Hanno bisogno di persone che diano voce alle lamentele, manipolino il malcontento, canalizzino la rabbia e la paura e siano in grado di immaginare un futuro diverso. Hanno bisogno, in altre parole, di membri dell’élite intellettuale e istruita, che li aiutino a lanciare una guerra contro il resto dell’élite intellettuale e istruita, anche se questo comprende i loro compagni all’università, i loro colleghi e i loro amici”. Con la non piccola differenza che i prodotti di largo consumo non attentano la mia libertà, anche se implicano uno stile di vita da piccolo borghesi ammazza lucciole e lanterne che tanto faceva soffrire il pur integratissimo Pier Paolo Pasolini.
Lo spettacolo dei chierici va in onda ogni giorno, più volte al giorno, sulle reti televisive e sulle pagine dei giornali. C’è chi afferma sulle pagine di un quotidiano di cui non scrivo il nome perché altrimenti il Mac mi si impalla che gli invasori d’Italia nel ’45 furono gli americani, bombaroli e violentatori di femmine, in vece degli eleganti e civilissimi tedeschi; c’è chi nelle aule di una prestigiosa (sic) università privata sostiene che Hitler porello lui “non aveva intenzione di far scoppiare una guerra mondiale. La Germania invase la Polonia; Inghilterra e Francia si erano alleate con la Polonia e scattò un effetto domino che Hitler non si aspettava”; è c’è chi sostiene che le armi all’Ucraina debbano essere difensive, vivaddio come lo spray anti-stupro al peperoncino. Si sono rotti gli argini: “la bussola va impazzita all’avventura / e il calcolo dei dadi più non torna”.
Credit: Mass production / consumerism by mr.beaver is licensed under CC BY-NC-SA 2.0.