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Kiev di Nello Scavo. Perché bisogna raccontare le guerre

«Le guerre sono il peggio che l’umanità possa esprimere, sono la grande paura, il grande incubo, il grande demone, e mettono l’umanità stessa a nudo di fronte alle proprie responsabilità. Le guerre sono la chiave per capire i tempi in cui viviamo. E vanno raccontate». Nello Scavo, inviato del quotidiano Avvenire, di guerre ne ha seguite tante «non dalla parte del mirino di chi spara, ma attraverso le storie di chi le subisce». Oggi – in un mondo in cui ci sono 169 conflitti in corso e 80 milioni di profughi – i suoi reportage ci aiutano a capire cosa sta succedendo in Ucraina.

Nello Scavo Kiev Garzanti

Proprio alle prime fasi della guerra – che si annuncia lunga e complessa – è dedicato Kiev (Garzanti) che Nello Scavo ha presentato al Salone del Libro di Torino. Un instant book scritto in presa diretta, un diario che copre il periodo dal 21 febbraio al 10 marzo di quest’anno. Che rivela aspetti importanti del sorgere del conflitto, della tragedia vissuta dalla popolazione, dell’emergenza umanitaria, ma parla anche dei pensieri, dell’impegno, delle paure di chi – come Scavo – è un giornalista che va dove le cose accadono, e vede e sente. E poi racconta.

Vista da dentro, la guerra è un tormento. Perché non hai una visione d’insieme ma solo pezzi di un puzzle. Il giornalismo non è storiografia. È il racconto dell’istante, con la promessa di mettere insieme i fatti alla tua portata e trovare le connessioni.

Il 21 febbraio Scavo era a Kiev. «La convinzione comune era che la guerra sarebbe esplosa nel Donbass. Ma un diplomatico europeo con cui avevo contatti mi disse che dopo settimane di report ai superiori nei quali si spiegava che a Kiev la guerra non sarebbe arrivata, quella mattina ne aveva spedito uno in cui si annunciava l’inizio del conflitto nella capitale entro 3 giorni. Insieme a un paio di colleghi italiani e ad altri stranieri abbiamo deciso di rimanere. Fino alla sera prima la città non credeva nella guerra, per fatalismo e anche per diffidenza nei confronti delle parole di Vladimir Putin. Noi però nel pomeriggio in piazza Maidan avevamo assistito all’arresto di 10 uomini definiti “sabotatori russi” da parte delle forze speciali della polizia. Dopo aver ascoltato il discorso di Putin nel quale si negava persino l’identità ucraina, siamo andati a dormire vestiti, come accade quando sai che ci sarà un attacco. Alle 4.50 del 24 febbraio siamo stati svegliati dalla prima esplosione. Così violenta da farci capire subito che non sarebbe stata una guerra come le altre».

Nello Scavo Salone Libro Torino
Nello Scavo (a destra) presenta Kiev (Garzanti) con Antonio Sanfrancesco al Salone del Libro di Torino.

Una guerra che la Russia stava progettando da tempo.

«Si ricorderà che a settembre dello scorso anno ci fu una specie di crisi isterica nel nostro continente – che ha più di 700 milioni di abitanti – a causa di 12 mila profughi che il presidente bielorusso Lukashenko aveva fatto ammassare ai confini con la Polonia, la Lettonia e la Lituania». In Kiev Scavo bene spiega quella che fu la prova generale del conflitto. «Fonti della diplomazia russa» ha raccontato a Torino «mi hanno detto che il calcolo era: gli europei, così allarmati per 12 mila profughi, il giorno in cui dovessimo intensificare il conflitto in Ucraina e centinaia di migliaia di ucraini provassero ad attraversare i confini, non sarebbero in grado di far fronte a una simile emergenza. Questo è stato uno dei tanti errori di calcolo, perché l’Europa si è invece rivelata molto generosa con i profughi ucraini».

Se un “effetto benefico” questa guerra ha avuto è infatti proprio la disponibilità all’accoglienza. «Italiani compresi, e senza per questo che ci fossero i soliti a lanciare accuse di traffici di esseri umani o a invocare la chiusura delle frontiere».

Ma la guerra in Ucraina ha messo in luce, sul fronte umanitario, anche tante contraddizioni.

«Tante ipocrisie. Penso per esempio a quanto accade sulla rotta balcanica, quella seguita soprattutto dai profughi della guerra in Afghanistan, che accolti non sono ma vengono picchiati e respinti dalle polizie dei Paesi europei».

Noi possiamo andare, vedere, ascoltare, interrogare, infine raccontare. Ma non abbiamo il potere di cambiare le cose. Magari aggiustarle per un po’. Attraverso il nostro modo di ascoltare e vedere, però, possiamo far sì che domani nessuno abbia l’alibi del “non sapevamo”.

A Torino Scavo ha messo in luce aspetti della guerra poco trattati da gran parte della stampa italiana come la questione religiosa. Dalla richiesta di indipendenza da Mosca avanzata nel 2018 dalla chiesa ortodossa ucraina anticipando quello che poi sarebbe avvenuto a livello politico alle recenti prese di posizione del patriarca di Mosca Kirill (ex ufficiale dei servizi segreti del Kgb dell’Unione sovietica). «Da lui la popolazione di Kiev si aspettava che chiedesse a Putin di abbassare i toni dello scontro. Invece Kirill ha sostenuto che questa guerra non solo sia giusta ma sia anche santa».

La religione come pretesto per giustificare azioni militari e anche crimini. «Questo non significa che all’interno del mondo ortodosso non ci siano divisioni. A Odessa, dov’ero, durante uno dei bombardamenti più aggressivi è stato danneggiato per errore un complesso religioso ortodosso affiliato al patriarcato di Mosca. Il Pope ci ha detto che non avrebbe preso le distanze da Mosca perché sarebbe stata una mossa politica, ma di non essere affatto un sostenitore della guerra».

Solo se sei sul posto dove le cose accadono puoi raccogliere testimonianze come queste, e farle sapere a chi ti legge. Inevitabile la riflessione sull’informazione. «Rientrando in Italia la prima volta mi ha fatto molto paura accendere la tv e vedere dibattuto un conflitto diverso da quello in cui mi ero trovato». Un esempio per tutti: «Noi reporter di guerra i morti li abbiamo visti davvero eppure in Italia c’era chi, dal suo divano da casa, ci diceva che era tutta propaganda».

Conosco vecchi corrispondenti di guerra che la notte non sognano più. Ma di giorno bevono per tenere spento l’interruttore della memoria.

E ora cosa succederà, è stata la domanda.

«Gli ucraini vogliono continuare a combattere, spinti come sono da una motivazione forte. Giorni fa a Odessa a una chiamata alle armi per 200 civili hanno risposto in 2 mila. Ragazzi, ragazze, adulti, anziani con i fucili da caccia. C’è voglia di rivalsa. Ho sentito persone dire: “Da secoli i russi ci considerato russi inferiori, contadinotti stupidi che puoi uccidere favorendo una carestia, o puoi intortare con una propaganda, ma noi ora gli facciamo vedere chi siamo”. E poi c’è desiderio di libertà».

Putin è in evidentissima difficoltà «però dispone ancora di un potenziale bellico importante. Molti escludono che possa fare ricorso alla bomba atomica e a quella sporca, caricata con radioattività, anche perché le radiazioni arriverebbero nella Bielorussia di Lukashenko e nella stessa Russia». Resta un’arma non convenzionale ma potente: la fame. «In Ucraina 13 milioni di persone sono intrappolate nelle aree di conflitto. I campi sono minati, i porti sono bloccati».

La prospettiva, secondo Nello Scavo, è che «Putin tenterà di diffondere l’instabilità, usando come “bombe a orologeria” enclave filorusse come la Transnistria e la Gagausia. Poi ci sono i Balcani, sempre pronti a esplodere, e la Libia sulla quale la Russia ha un’influenza enorme. È come se Putin ci stesse dicendo: “Forse sto perdendo questa guerra, forse sarò costretto a negoziare, però posso farvi male altrove”».

Ero stato altre volte in guerra, ma erano conflitti cresciuti di intensità giorno dopo giorno. Una sparatoria, una famiglia contro un’altra famiglia, poi una faida, poi una città contro l’altra, un Paese contro un altro e infine tutti contro tutti. Di solito i giornalisti arrivano quando già si contano i morti. Non mi era mai accaduto di trovarmi sul posto prima della guerra e di vederla scoppiare, improvvisa e ineluttabile. Dalla pace all’inferno, nel volgere di un fulmine scagliato in piena notte.

Il libro. Nello Scavo Kiev (Garzanti)

Foto in apertura: La torre della tv colpita a Kiev.

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