Sulle facciate dei palazzi novecenteschi rimesse a nuovo dalle onnipresenti ditte Stramigioli e Pescarzoli – due nomi che si ripetono su grandi cartelloni per tutta Nizza – stanno le innumerevoli placche dorate di legulei e di notai, di professionisti della salute e di esperti di pratiche rigeneranti pronte per i clienti anziani o in retraite che abbondano in loco attirati dal clima di una città di mare.
Nizza richiama pure i clochards d’inverno e in tutte le stagioni fornendo loro il soleil des mourants, titolo straziante di un romanzo (più sociale che noir) del marsigliese Jean-Claude Izzo. Ma non è a lui che penso oggi, anche se in giro, e non solo in un accaldato maggio in Costa Azzurra, si respira aria di total chéops…
Leggendo le targhe poste sui condomini anonimi e lussuosi di Nizza, rivado invece alle pagine del premio Nobel 2014, il parigino Patrick Modiano. Questi nomi, come del resto Stramigioli e Pescarzoli, sono nomi di lingue mescolate, alcuni persino buffi, portatori comunque del fascino di riunire in sé più nazionalità: francese e italiana, prima di tutto, ma un tocco di russo o d’inglese spesso non guasta.
Tutti i nomi già pronti
In uno studio di avvocati in Boulevard Victor-Hugo – ma potrebbe essere un centro di osteopatia o di fisiatria o un luogo votato a pratiche kinestesiche – spiccano tra i soci Paul Patrice Barzotti e Antoine Renucci. Più sotto, offre i suoi servigi un dottore che potrebbe avere un nome d’arte (e quindi falso: si chiama Paul Bonhomme) e una non meglio precisata ed esotica Alizée Bahadrian.
Sono tutti nomi da Modiano, penso. Nel senso che Modiano potrebbe prenderne uno, di questi nomi, e adoperarlo come parola chiave in un’associazione libera di stampo freudiano; comincerebbe così a farci credere e forse lui stesso a credere di aver incontrato una volta, tanti ma tanti anni fa, qualcuno che si chiamava così.
Ebbene sì, quel N. Russiano, che di professione fa lo psychologue poco discosto da Avenue Jean Médicin, può essere qualcuno che Modiano ha incrociato in una lontana Parigi fioccosa di nebbia, nell’alba di un bar dalle luci acide, magari locato dalle parti di Porte de Clignancourt.
Modiano sa benissimo che la letteratura, la sua in particolare, è un faticoso e meraviglioso artificio
Barzotti o N. Russiano, inizierebbe a ricordare lo scrittore francese, comandavano una comitiva di poveracci, un circo di derelitti, e intanto trattavano strani affari da dopoguerra, forse erano neri d’anima come il loro indecente mercato; facevano forse anche sedute spiritiche presso una medium per un breve periodo assai celebrata, che si chiamava, ma certo, lo rammento!, madame Bahadrian… Poco dopo, sulla Promenade des Anglais, scovo sul citofono di un Cabinet de dermatologie et laser il docteur (senza nome di battesimo) Zakaria. Dermatologo? Mah. Era un uomo brusco, non si vedeva al café prima delle due di notte…
Basta cazzeggiare: quando Modiano in trasferta da Parigi ambientava nel 1986 Dimanches d’août in Costa Azzurra – apro a caso una pagina del libro così come a caso sto passeggiando – si sovveniva piuttosto di Mme Efflatoun Bey, “fantasma simpatico” che viveva all’angolo tra Victor-Hugo e una piazzetta e nel pomeriggio andava a sedere a due passi da dove mi trovo adesso, lasciata la Promenade, tra le panchine del giardino d’Alsace-Lorraine. Ci sarà ancora Mme Bey? Magari sì. “Le fantômes ne meurent pas” chiosava Modiano. “C’è sempre luce alle loro finestre…”.
I fantasmi e i clochards
Mi capita sotto gli occhi una pila di copie di Chevreuse in una vetrina della libreria Masséna: è il nuovo romanzo di Modiano, datato ottobre 2021, inquadrato nell’iconicità (pardon!) grafica senza tempo della collana nrf di Gallimard (in Italia, sarà edito Einaudi come La strada di Chevreuse, traduzione di Emanuelle Caillat).
Sfogliandolo, mi ricordo che i romanzi del parigino sono pieni zeppi non solo di fantasmi ma pure di cultori del mistero: aspiranti scrittori che si occupano di esoterismo, gente d’insuccesso che in brutte stanze d’albergo celebra a chissà quali dèi, latori di strane teorie ed extravaganti esercizi contabili, che ricostruiscono per esempio i passaggi della gente nella notte di un café, segnandone per mesi le entrate e le uscite, come se un grafico di frequenza svelasse vicende nascoste e conferisse identità precise agli avventori.
I personaggi di Modiano si imparentano ai clochards di Izzo, essi stessi sono dei clochards della Storia o di una storia
Identità misteriose. Identità labili o perdute, alla stregua di quelle dei generosi – e revenantes qui per un attimo – clochards di Izzo, cui i personaggi di Modiano in fondo si imparentano: essi sono dei clochards della Storia o di una storia. Identità spettrali per metafora e persino per cupo realismo: non ci basta avere in mano un loro slavato documento per saperlo, e poi, chissà mai chi siamo noi…
Identità e una possibile verità. Ecco che cosa cerca Patrick Modiano, con la pacatezza di un uomo elegante e costantemente spaesato (privo di Heimat), nel suo pellegrinaggio di scrittore tra quelle piccole evocative parole che sono i nomi e i cognomi – un pellegrinaggio chiaro fin dal 1974 quando firmò per Louis Malle lo scénario di Nom et prénom: Lacombe Lucien (nome e cognome!) su un ragazzo confuso e velleitario, collaborazionista con i tedeschi per ignoranza di sé, della sua classe, del suo grande Paese.
Cerca Modiano un’identità e una verità che lo mettano (e ci mettano) in salvo o in pericolo di vivere per davvero almeno per una volta, ma forse – e a volte lo suggerisce la sua andatura quasi sonnambolica su piste improbabili – da svegli, con la ragione, non si può conoscere nessuno. Possiamo intravedere o immaginare qualcosa solo all’interno di una quest poetica, specchiarci nell’artificio di una pagina di libro. Modiano, anche se può far finta di niente per accalappiare i lettori dei normali noir, o di quelli sofisticati di Izzo, sa benissimo che la letteratura, la sua in particolare, è un faticoso e meraviglioso artificio.
Il ricordo di Louki
Modiano va a caccia del suo di nome nel nome degli sconosciuti, cerca – con la stessa confidente pedanteria con cui Marcel Proust scannerava in un viaggio in treno i nomi di una villeggiatura – la vita in una parola. Preso in un’ossessione che lo ha costretto a scrivere lo stesso romanzo tante volte e poi tante ancora.
“Le fantômes ne meurent pas” chiosa Modiano. “C’è sempre luce alle loro finestre…”
Acquisto Chevreuse e lo sfoglio: si apre sulle peripezie di una vecchia conoscenza, Bosmans, già alter ego di Modiano ne L’horizon (2010), e sono sicuro che subito arriverà la traccia di una ragazza sconosciuta da cercare sia pure nella memoria. Sarà Camille/Tête de mort a rivaleggiare con la mia preferita, quella che tutti chiamavano Louki dans le café de la jeunesse perdue? Che cosa importa avere una identità, sapere la verità, se non abbiamo un amore, o qualcosa che somiglia alla probabilità di un amore, da inseguire o da ritrovare?
Sono tornato con Chevreuse tra le mani nel giardino d’Alsace-Lorraine, dopo la mia mattina nizzarda passata a leggere i nomi degli specialisti sui citofoni e sulle placche negli atri e nei portoni. È pomeriggio ormai. Credo che la vecchia madame Bey di Dimanches d’août potrebbe accomodarsi su una panchina poco più in là e farmi compagnia mentre leggo. Secondo Modiano – è evidente al punto di rendere superflua ogni spiegazione – i fantasmi non muoiono mai anche perché servono a farci sentire meno soli.
***
Una nuova puntata In Francia è già fresco di stampa un altro Modiano, La danseuse (Gallimard, 2024) “La danseuse arrivait, le matin, à sept heures quarante-cinq, gare du Nord. Ensuite le métro jusqu’à la place de Clichy. Le bâtiment du studio Wacker était vétuste. Au rez-de-chaussée, une dizaine de pianos d’occasion, rangés en désordre comme dans un dépôt. Aux étages, une sorte de cantine avec un bar et les studios de danse. Elle prenait des cours avec Boris Kniaseff, un Russe que l’on considérait comme l’un des meilleurs professeurs… Une odeur particulière de vieux bois, de lavande et de sueur” (continua, speriamo per sempre).