Quelli della mia generazione hanno scoperto Milan Kundera grazie a Quelli della notte di Renzo Arbore. Il non ancora del tutto sciroccato Roberto D’Agostino cazzeggiava ogni sera di edonismo reaganiano e de L’insostenibile leggerezza dell’essere, titolo quest’ultimo pubblicato in Italia da Adelphi. (Ancora recentemente D’Agostino si vanterà d’aver salvato il bilancio di Calasso promuovendo un libro che assicura di non aver mai letto).
Non so quanti dei miei 27 amati lettori abbiano letto Kundera; stimandoli nonostante perdano tempo con me, ritengo che per loro sia diventato un testo di culto. A loro affido questo messaggio nella bottiglia: se non lo avete già fatto correte in libreria e comprate Un Occidente prigioniero (Adelphi, 12 euro). Le prime 35 pagine le potete anche saltare. Trattasi di una furbata editoriale che, per giustificare il prezzo, alla ciccia ha unito anche la prolusione che Kundera tenne nel 1967 in occasione del IV Congresso dell’Unione degli scrittori cecoslovacchi; prosa che al confronto i discorsi di Ciriaco De Mita paiono quelli di Pericle agli ateniesi. Ma la ciccia, ovvero la trentina di paginette di Un Occidente prigioniero, è di qualità talmente alta da valere anche il prezzo della vergogna che auspicabilmente proverà il lettore avveduto.
Un Occidente prigioniero è uscito su Le Débat verso la fine del 1983. Purtroppo sembra scritto ora. Leggendolo mi sono vergognato della mia ignoranza e della mia supponenza: non abbiamo capito niente (non abbiamo voluto capire niente) di quelli che noi stupidamente chiamiamo Paesi dell’Est mentre Kundera giustamente chiama con loro nome: Mitteleuropa, Europa di centro. Un pezzo di noi che abbiamo sempre considerato “altro” per pavidità, per ignoranza, per stupidità. Kundera accusa l’Occidente di aver assistito inerte e indifferente alla scomparsa di Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia. Paesi che fanno parte dell’Europa e che dal 1956 al 1970 hanno dato vita a grandi rivolte.
Nel Medioevo il perno dell’unità europea era la religione, nell’età Moderna furono i Lumi. Ma oggi? si chiede Kundera. Non basteranno tecnologia, cultura dello svago e (aggiungo io) moneta comune e libera circolazione di persone e merci a ricreare l’idea di Europa. Kundera rammenta che a Praga, capitale di un Paese di dieci milioni di abitanti, la più importante rivista culturale vendeva duecentomila copie a numero, esaurite il primo giorno di distribuzione in edicola. Fu chiusa dall’occupante russo che liquidò immediatamente tutte le riviste culturali ceche: l’Europa centrale delle piccole nazioni rappresenta insieme compresa alla “nazione ebrea” il “massimo di diversità nel minimo spazio”, contrapposta alla Russia, il minimo della diversità nell’immensità degli spazi. L’occupante russo non tollera nessun genere di diversità.
Impossibile non pensare all’Ucraina. Impossibile non pensare al vergognoso trattamento che i nostri media le riservano. Al fastidio che suscita il fatto che la nazione più povera del continente dia lezioni di dignità e di coraggio. Ricordate il “fuori onda” in cui due famosi e stimati giornalisti furono sorpresi a definirla la patria delle nostre badanti?
Il libro. Milan Kundera, Un Occidente prigioniero (Adelphi)
In apertura: Milan Kundera in una foto del 1980. Credit: “Milan Kundera, 1980” by Elisa Cabot is licensed under CC BY-SA 2.0.