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Allonsanfàn
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Nel mio nome, 4 storie di transizione nel docu di Bassetti

Nel mio nome. Perché nel nome c’è già o ci starà tutto. Questo il senso del titolo. Dopo il nome – raggiunto e conquistato, ma anche a lungo soppesato prima di pronunciarlo e trovarvi identità – non è necessario aggiungere altro, tanto meno una specifica di genere…

Alla fine del viaggio, al termine di quell’attraversamento che è una transizione, non si cambia un sesso con un altro, semmai si trova altro, lo specchio di un nome in cui ci si può guardare senza distogliere subito gli occhi, avvertendo invece conforto.

Questo è il punto di arrivo di un docu bello e complesso, il frutto della capacità di ascolto e di narrazione di Nicolò Bassetti – già ideatore e scrittore del Leone d’oro 2013 Sacro GRA – che riprende quattro transizioni F to M, di quattro amici, meglio: di quattro persone di diversa età che si scoprono su una strada simile. Quattro persone che a loro volta affidano a un regista – empatico anche perché padre di un figlio trans – le loro parole e le loro immagini, il loro essere inquadrati in un corpo che cambia.

Dei quattro, colti a età diverse, Nico cambia a trent’anni quando possiede già una vita precisa, adulta (ha una donna e un lavoro), gli altri tre, Andrea, Leo e Raff, che si distribuiscono sull’arco della ventina, non hanno rete, camminano di più sul vuoto, cambiano mentre crescono e intanto che ragionano su quello che sentono.

Nel mio nome è un film di tantissime parole (ma sono mai troppe?), di quadri di vita semplici e forti, quasi mai esposti al pericolo dell’esemplare o del simbolico, è un film di intrecci di sguardi, che si sciolgono a poco a poco mentre individuano qualcosa di finalmente visibile, cioè la mutazione del corpo…

È privo di luoghi comuni, di volontarismo progressista, di prosopopea da DDL, di istrionismi didattici il docu di Bassetti e non scade mai dal livello dell’intelligenza acuta (e persino pedante a tratti) al compromesso di una faciloneria buonista (o poco partecipe).

Anzi, Bassetti e i suoi protagonisti non nascondono i problemi, pur se – questo va detto – l’Italia in qualche modo avventurosa che ci raccontano, (credo) a Bologna e dintorni, è un microcosmo dove si può vivere umanamente, ognuno col proprio nome, appunto, e sembra lontanissima dall’alienazione e dall’intolleranza delle nostre metropoli e delle nostre periferie (anche mentali).

Il minisito del film, qui, per la tre giorni di proiezioni in sala il 13, 14 e 15 giugno

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