A Trieste, che qui fa la parte di una qualsiasi città italiana, né piccola né grande, cresce in silenzio Nadia, la protagonista di La ragazza ha volato: a sedici anni, sta facendo i conti con sé, con i suoi, con l’istituto alberghiero che frequenta. È il tipo introverso e forse ribelle che dimentica le scarpe nere proprio quando deve mettere il vestito di sala (e in All Star la rimandano a casa).
Nadia condivide almeno in apparenza la fredda esistenza della “gente normale”, per esempio quella dei genitori, rassegnati a che niente di buono possa più accadere – la madre va a dormire la sera prima che finisca il film in tv, il padre è un dispotico depresso – e noi non facciamo a tempo a capire che cosa ha in testa la ragazza, quali ne siano le vere aspirazioni e i veri desideri, da dove arrivi la rabbia repressa – non facciamo a tempo poiché Nadia è vittima di uno stupro.
Uno stupro come un avvenimento normale. Cioè: è un rapporto costretto di una violenza insopportabile perché la regista, Wilma Labate (1949), sceglie di raccontarne senza ellissi il prima, il durante e il dopo. Eppure tutto quanto sembra rientrare nel quotidiano, si tratta quasi di un piccolo slittamento nella realtà dei fatti ed ecco che il possibile flirt con un ragazzo, un meccanico disoccupato, si è trasformato in pura violenza.
Capiamo meglio ora perché Wilma Labate ha scelto Trieste – non voleva comunicare subito ai nostri occhi una situazione di degrado e di minaccia. Niente metropoli ferocemente impersonali o scassate periferie battute da lupi.
Questa storia, questo tipo di violenza – è la tesi che Labate strappa al suo film stilizzato ed essenziale in immagini e parole – tocca molte donne, presenta dinamiche di sopraffazione ben conosciute e sperimentate da tutte anche se non in versione così estrema. E pure si tratta una violenza accettata passivamente dalla società, non finisce sui giornali, e comporta comunque il senso di colpa della vittima. La vicenda di Nadia continua con un pancione, poiché è rimasta incinta, in un silenzio teso e carico di interrogativi, di domande che non sono solo individuali.
All’origine del film, prodotto da Tralab con Rai Cinema, c’è una sceneggiatura scritta dai fratelli Damiano e Fabio d’Innocenzo – prima dell’exploit con il grottesco nero di Favolacce – e completata da Labate che ne ha rispettato i dialoghi. I pochi dialoghi. Perché il film accompagna a tratti persino con eccessiva freddezza – e questo freddo si trasmette pure in platea – la crescita, il “volo” promesso di Nadia.
Labate è tornata al lungometraggio di fiction, a 14 anni da La signorina Effe, e ha visto debuttare il film in Orizzonti Extra a Venezia. L’attrice Alma Noce, già apparsa ne Gli anni più belli e negli sceneggiati con Gianni Morandi, è un punto di forza mentre porta in giro le sue piccole e grandi cicatrici.