Gente in fuga, da un giorno all’altro, in automobile, su due piedi, ricchi, poveri, così così. Parigi 1940 aspetta l’arrivo dei tedeschi, i parigini sfollano, scappano nel dramma comune di lasciarsi dietro la propria vita: siano borghesi abbienti o fieri intellettuali, banchieri con l’amante o impiegatucci, operai o orfani d’istituto, non possono portarsi dietro granché e hanno dinnanzi un futuro sconosciuto. Ecco per esempio i Péricand, grande famiglia della buona società, qui presa a paradigma e anche abbondantemente a schiaffi in un’epopea al contrario che dal drammatico può precipitare nel grottesco: i Péricand vanno via con due auto e la servitù come fosse la partenza per le vacanze estive, hanno sì un figlio sotto le armi e un altro che scalpita per battersi, ma in fondo all’animo c’è la ferma fede nel loro status di intoccabili. Ecco il mercante Charles Langelet che perde tempo tra i pezzi della sua collezione di porcellane trovando l’esodo “volgare”, e la coppia di bancari, i coniugi Michaud, almeno loro umilmente stoici nell’abbandonare l’appartamento di una rispettabile esistenza… La Storia e la sorte trovano messo peggio, e poi spaesato fino al dissesto mentale, chi ha i posti migliori in società, vedi l’insopportabile scrittore Gabriel Corte, che crede di vivere tra le Muse ma è rabbuiato d’improvviso dalla paura di un bombardamento.
Nemmeno scappare è facile: si fanno pochi chilometri al giorno, arrivare a Orléans è già un traguardo, si sta a lungo bloccati in una fiumana di disperati, rimasti presto senza viveri, oltre che privi di un tetto. Chi è ancora a Parigi invade le stazioni, cercando invano un treno.
Stiamo leggendo una nuova versione di Suite francese di Irène Némirovsky, pubblicata con il titolo Tempête en juin–Tempesta in giugno (Denoël 2020, Adelphi 2022): più precisamente è la prima parte della Suite, cui seguirà Dolce, la seconda, e poi basta, non c’è altro.
Rispetto alla precedente stesura, romanzescamente ritrovata in una vecchia valigia ed edita soltanto nel 2004, il paratesto con i titoli ai capitoli dà un ritmo più fluido al racconto, ci sono episodi aggiunti e tagli stilisticamente significativi – via le riflessioni dell’autrice e via i flashback per dare velocità e senso del presente all’azione – come spiega in una preziosa nota la traduttrice e francesista Teresa Lussone, che ha contribuito alla riedizione del romanzo basata sui fogli battuti a macchina dal marito di Némirovsky, Michel Epstein.
C’è qualcosa che ci tocca subito al di là del testo e delle gesta goffe degli “eroi ordinari”, degli Ulisse al contrario che fuggono da casa invece di tornarci, di una Francia attonita e intontita di fronte all’invasore. È il fatto, dicevamo, che la Suite è largamente incompiuta, come provano gli appunti per Dolce e Captivité (terza parte) datati 1942 e pubblicati a fine del volume: mancano dei movimenti, se vogliamo attenerci alla terminologia musicale scelta dall’autrice.
Il romanzo è incompiuto per la semplice ragione che Iréne Némirovsky viene arrestata il 13 luglio del 1942 e muore a 39 anni ad Auschwitz il 19 agosto. Quando lavora alla Suite nel 1941-’42, sfollata da Parigi a Issy-L’Évêque, ha la stella gialla degli ebrei cucita addosso ed è ben consapevole del fatto che sta attendendo a un’opera postuma. Scrive l’11 luglio, due giorni prima dell’arresto, al suo referente presso le edizioni Albin Michel: “Cher Ami… pensez à moi. J’ai beaucoup écrit. Je suppose que ce seront des œuvres posthumes, mais ça fait passer le temps”. Si trova dunque in un momento di estrema insicurezza e inquietudine, eppure vanta un controllo prodigioso sulla materia letteraria. Quando la Suite viene ritrovata, si pensa che contenga pagine di memorie, non “une photo pris sur le vif de la France et des Français” (Myriam Anissimov, Préface, Denoël, 2004).
Némirovsky è una scrittrice insieme popolare e sofisticata e nella Tempête sceglie di partire su un registro lieve e spalancato al romanzesco. È il suo modo di scrivere sulla “lava incandescente” del presente, spiega Lussone. Usa un montaggio cinematografico, adotta rigorosamente il punto di vista (accogliendo persino quello del gatto borghese Léonard), segue o rifiuta con manifesta nonchalance la lezione di Flaubert (il quale comanda impersonalità) o di Tolstoj (il quale si rovina con le idee), aprendo le sue pagine come mai prima al comico e al grottesco. Ovvero, riesce a raggiungere, nella costruzione del plot, nell’aprirsi e nel chiudersi di vicende singolari e corali, l’effetto cercato. La Suite è infatti il modo in cui Némirovsky fa “una satira della Storia in movimento, di quel colosso cieco che un romanzo è capace di far vacillare prima che ci crolli addosso” (Olivier Philipponnat). Satira per la quale ai personaggi può toccare in sorte un destino terribile e beffardo – si veda il capitolo La fine di un filantropo, dedicato al capofamiglia dei Péricand, Adrien, in fuga in camion con i giovani selvatici dell’Opera dei Piccoli Redenti da lui finanziata. Ogni personaggio (gatto compreso) non sa vedere oltre un palmo di naso, è prigioniero di un impasto di egoismo e di prepotenza, e finisce crocefisso alla propria miope meschinità – il peccato di immoralità e di stupidità più grande, sembra suggerire Némirovsky, è disinteressarsi degli altri in difficoltà e pensare che invece a noi andrà bene lo stesso, che tutto tornerà proprio come prima, che i nostri miseri possessi (i soldi, il prestigio sociale, la buona educazione…) contino qualcosa nelle repubbliche di Vichy come su Marte e, se volete, aggiungete voi altri posti geografici più attuali, vicini e lontani. Grande e coraggiosa Irène Némirovsky, scrittrice che, lei sì, conosce il futuro, poiché conosce gli uomini, e scrivendo cerca generosamente – per passare il tempo, questa insanguinata “tempesta” sarebbe quindi un passatempo? – di irriderlo e di condannarlo.
I LIBRI Irène Némirovsky, Tempesta in giugno, traduzione Laura Frausin Guarino e Teresa Lussone (Adelphi 2022), Suite française (Denoël, 2004)