«Domani ti mando il campione del mondo dei pesi massimi, trattamelo bene». La voce di Massimo Corcione, il mio capo redattore, mi arriva dalla redazione di Cologno Monzese una domenica di giugno del 1991 intorno a mezzogiorno.
Non capisco cosa intenda dire e, mentre mi interrogo, lui prosegue: «Visto che domani è una giornata tranquilla perché il campionato è finito, se ti va ti affiderei una cosa un po’ insolita, ma che potrebbe risultare molto divertente. In questi giorni è a Milano Mike Tyson, ospite di Berlusconi. Ha realizzato un’intervista con Rino Tommasi per Canale 5 e ora vorrebbe fare un po’ il turista. Non conoscendo Roma, ha espresso il desiderio di trascorrere due o tre giorni nella capitale, prima di tornare in America. Vorrebbe avere un ricordo filmato della sua visita e qui entreresti in campo tu: arriva domani pomeriggio a Ciampino con l’aereo di Berlusconi. Con lui ci saranno il suo manager Don King e il preparatore atletico. Dovresti accoglierlo con una troupe e accompagnarlo in giro per Roma vedendo quello che accade. Poi, quando ti sei stancato, lo saluti, torni a casa e il giorno dopo ci invii tutto il girato. Noi assembliamo le immagini di Milano e Roma e gliele regaliamo come ricordo della sua prima visita in Italia. Che ne dici?».
«Mi sembra interessante, lo faccio volentieri, anche per disintossicarmi dal mondo del calcio che francamente mi è venuto un po’ a noia”. E qui comincia l’avventura.
Ma prima, per quei pochi che non lo conoscessero, vediamo di delineare il personaggio Mike Tyson. Un’infanzia difficile a Brooklyn, contrassegnata da episodi di violenza che hanno il piccolo Mike come protagonista, ma anche come vittima. La boxe diventa lo sfogo naturale, quasi inevitabile per uscire da un ambiente deteriorato che lo segnerà per tutta la vita.
Iron Mike (iron significa ferro) vince i suoi primi 19 incontri da professionista per ko, 12 dei quali alla prima ripresa. Raramente si è visto un pugile dotato di tanta potenza e di altrettanta cattiveria. Nel 1986 diventa a vent’anni e quattro mesi il più giovane campione del mondo nella storia dei pesi massimi. Difende il titolo per due lustri, fino a cederlo nel 1996 a Evander Holyfield e nella rivincita viene squalificato dall’arbitro per avere staccato a morsi all’avversario un pezzo di orecchio.
Nel frattempo nel 1992 viene condannato a sei anni di carcere per avere stuprato Desirée Washington. Uscirà tre anni dopo, convertito all’Islam.
Ad accompagnarlo negli anni d’oro della sua carriera Tyson avrà il più importante manager e promoter della boxe mondiale: Don King, che era stato procuratore del più grande di tutti, Cassius Clays alias Mohamed Alì. Anche King, come Mike, ha trascorsi tempestosi, fatti di violenza e scommesse clandestine. Ma Don ha sulla coscienza anche due omicidi: nel dicembre del 1954, a Cleveland, sparò a uno dei tre uomini che stavano tentando di rapinare una delle sue case di scommesse e lo uccise. Nel processo fu assolto per legittima difesa. Dodici anni dopo, sempre a Cleveland, King picchiò fino alla morte un uomo che gli doveva dei soldi. Il giudice ridusse l’imputazione da omicidio volontario a colposo, gli fu inflitta una condanna di tre anni e mezzo, ma ricevette il perdono dall’allora governatore dell’Ohio James Rhodes.
Ecco i personaggi che mi appresto ad accogliere ai primi di giugno di più di trent’anni fa. Mi presento nel pomeriggio all’aerostazione dell’Aviazione Generale dell’aeroporto di Ciampino, la zona riservata ai voli privati di politici, manager, star dello spettacolo. Mi qualifico e spiego agli addetti cosa sono venuto a fare.
Mi fanno accomodare in un salottino e, quando mi dicono che l’aereo è in atterraggio, mi affaccio verso la pista: vedo il Gulfstream con sulla coda le insegne del Biscione, il simbolo del gruppo Fininvest, toccar terra qualche centinaio di metri davanti a me. Dopo un po’ si apre la scaletta e vedo scendere per primo Tyson, seguito da Don King con la sua inconfondibile foresta di capelli ricci e da un’altra persona in tuta sportiva che immagino sia il preparatore atletico. Dietro a loro, quello che ha tutta l’aria di essere il comandante dell’aereo di Berlusconi. Mi viene incontro, mi tende la mano e mi dice: «Lei è il signor Garbo, giusto? Il Presidente (Silvio Berlusconi) mi ha detto di affidarli a lei. In bocca al lupo». Sorrido perché suona come una minaccia e ribatto: «Crepi il lupo, mi sa che ne ho proprio bisogno».
Alle sue spalle sbucano i capelli ricci di Don King, che mi presenta Iron Mike e il suo preparatore atletico. Tyson mi stringe la mano e per un momento ho il timore che voglia stritolarmela. In un attimo penso a quanta gente quella mano, avvolta in un guantone da boxe, ha mandato al tappeto. Fortunatamente non ce l’ha con me e la sua stretta è gentile.
«Come siamo organizzati?» mi chiede Don King. Gli spiego che noi siamo in macchina e per andare al loro albergo, l’Hotel Hassler, dovranno prendere un taxi. In realtà di taxi gliene serviranno tre: uno per loro e gli altri due per la ventina di bagagli al seguito. E non bastano neppure, tanto che ci offriamo di caricare gli ultimi sulla nostra auto.
«Quanto ci vorrà per arrivare in albergo?» mi chiede Don. «Da 45 minuti a un’ora, più o meno, dipende dal traffico» gli rispondo.
Ci mettiamo in marcia in carovana, i taxi davanti e noi dietro a chiudere la fila. Arriviamo all’Hotel Hassler a Trinità dei Monti, uno degli alberghi più lussuosi della capitale, intorno alle 18.30. I tre dell’Ave Maria fanno il check in, Mike mi dice di aspettarlo che sale in camera, si fa una doccia e poi usciamo a fare due passi.
Scende dopo una mezz’ora e mi chiede: «Dove siamo qui?». Glielo spiego, aggiungendo che è uno dei posti più belli di Roma e quindi del mondo. Ci affacciamo sulla scalinata di Trinità dei Monti e Mike mi guarda come se avesse visto la Madonna: «Ma è fantastico» mi dice. «Hai proprio ragione!».
Insieme con l’operatore che riprende tutto scendiamo le scale chiacchierando fino ad arrivare alla fontana del Bernini. Un ragazzo, con lo sguardo sorpreso di chi non crede ai propri occhi, esclama: «Ma quello è Mike Tyson!». È il segnale che scatena l’inferno: in un attimo gli sono addosso dieci, cinquanta, cento, duecento persone che spingono da tutte le parti, gli chiedono l’autografo e gli scattano foto come fosse una sventagliata di mitra. Io mi trovo isolato, mi allontano dalla pazza folla, osservo Mike a una ventina di metri da me, mentre il mio operatore viene alleggerito del portafogli contenente soldi e documenti.
Lascio passare la buriana e dopo una decina di minuti incrocio finalmente lo sguardo di Tyson, che sembra quello di un bambino smarrito. Lui, il colosso, il campione del mondo dei massimi, uno che con un pugno può uccidere un uomo. Mi scappa da ridere, lui lo intuisce, si avvicina e mi fa: «Forse è meglio che torniamo in albergo».
Risaliamo faticosamente la scalinata di Trinità dei Monti, inseguiti da ragazzi impazziti, varchiamo finalmente l’ingresso dell’Hotel Hassler dove il personale dell’albergo ci trae in salvo arginando i nostri inseguitori.
Mike mi chiede se voglio bere qualcosa, nel frattempo ci raggiungono Don King e il preparatore atletico. Ci sediamo al bar, prendo un succo di pomodoro, Mike mi imita, scambiamo due chiacchiere ricostruendo l’accaduto. Tyson sembra divertito, non si aspettava di essere tanto popolare in Italia.
È ormai ora di cena, Don King mi dice che gli farebbe piacere se ci fermassimo a mangiare con loro. Conoscendo il dress code dell’Hassler, so che non si può entrare al ristorante del roof garden con i jeans e senza una giacca. L’unico in regola sarebbe proprio Don King, mentre il preparatore atletico indossa una tuta da ginnastica, Mike un paio di jeans bucherellati e una t-shirt bianca. Per questo declino l’invito, dicendo che mia moglie mi aspetta a cena, ma cerco di spiegargli che potrebbe essere difficile entrare al ristorante.
Loro decidono di tentare il colpaccio, chiamano l’ascensore e ci salutiamo. Siccome ho intuito come andrà a finire, rimango nella hall parlando con l’uomo del ricevimento, il quale mi spiega che non hanno nessuna possibilità di entrare al roof garden, come avevo immaginato.
Infatti passano cinque minuti e vedo aprirsi l’ascensore dal quale scende come una furia Iron Mike, sbraitando e agitando le braccia. Appena mi vede, si avvicina urlando e dicendo: «Ma in che c… di albergo mi avete portato, come si permettono di non farmi entrare al ristorante, io sono Mike Tyson!».
Lo lascio sfogare e poi cerco di spiegargli: «Innanzitutto l’albergo non l’ho scelto io e poi queste regole valgono per tutti, anche per il Presidente degli Stati Uniti d’America». Sono seriamente preoccupato per la sua possibile reazione, ma fortunatamente, con l’aiuto di Don King, un po’ alla volta Iron Mike si calma. Resta il problema della cena. «Dove possiamo andare?» mi chiede il suo manager. Mi consulto con la reception e decidiamo di puntare su Trastevere, un posto ideale per l’abbigliamento di Tyson, e chiediamo di prenotare uno dei ristoranti più noti ai turisti. Don King mi chiede di andare con loro, chiamiamo un taxi e li seguiamo con la nostra macchina.
Arriviamo intorno alle 21 e 30, ci fanno accomodare, ci portano il menù. Mike mi chiede un consiglio su cosa mangiare: gli consiglio di provare la carbonara oppure l’amatriciana e poi di prendere un piatto di carne.
Tyson opta per la carbonara, Don King e il preparatore vanno invece sull’amatriciana. Poi attendono che ordiniamo anche io e la mia troupe. Ma a quel punto mi sembra abbastanza, ringrazio e dico che noi ce ne andiamo casa. Saluto la simpatica compagnia e, mentre sto per andarmene, Mike mi ferma dicendomi: «Siamo stati insieme un po’ di ore, la gente ha fatto a pugni per avere il mio autografo e tu te ne vai così?». Mi rendo conto che dev’essere una questione dorgoglio e prontamente gli allungo un foglio bianco e una penna. Iron Mike scrive: «Al mio amico Daniele, grazie per avermi fatto conoscere Roma. Mike Tyson».
Credit foto di apertura: “Mike Tyson” by Luka Zou is licensed under CC BY-NC-ND 2.0