Pleasure, piacere. Magari. Dietro i frammenti di un discorso masturbatorio che infestano Porn Hub e siti simili c’è una schiera di uomini e donne in carne, sesso e ossa: insieme fanno funzionare l’enorme e spesso artigianale macchina della pornografia, dentro e fuori dal web; artigianale nel senso che si affida a gruppi d’azione ristretti in possesso di telecamere e camere appena professionali.
Esistono ragazze che vogliono guadagnare e sfondare nel campo e che, a metà di un video, girato tra maschi pimpanti agli ordini di un maschio regista, mentre sono sull’orlo di una crisi di panico si sentono ripetere: “Se vuoi fermarti ok, no problem, nessuno ti costringe, è un film questo, è fiction, nessuno voleva essere violento”. Realmente violento, cioè violento nella realtà. Anche se, in balia di due maschi, il copione (il copione?) prevede schiaffi e sputi in faccia e l’imposizione di un blowjob, no anzi di un brutale deep throat in reverse, con schizzo di vomito prima dell’eiaculazione del partner, e con buona pace di santa Linda Lovelace.
Guardando Pleasure, opera prima di Ninja Thyberg, applaudita per la sincerità indie al Sundance Festival e a Cannes, ora in prima visione in streaming su MUBI, si seguono le peripezie di una debuttante. È una ragazza svedese, Bella Cherry, impersonata da Sofia Kappel, che sbarca nella Los Angeles del porno per farsi un’identità e un nome. Vorrebbe da subito affiliarsi al produttore più cazzuto – un uomo brutto e sgradevole sempre a piedi nudi (per un massaggio?) che sembra la versione trash dell’Orco Weinstein. L’Orco però le chiede delle prove di fuoco per rappresentarla, di accettare sul lavoro oltre all’uomo/donna e al donna/donna altre modalità di rapporto sessuale, diciamo più spettacolari. Il copione, come accennavamo, nei porno video altro non è che una serie combinatoria di cliché, i quali taggano le performance con sigle come BBC (Big Black Cock) o Cfnm (Clothed females naked men) o Bdsm (googlate voi).
Poiché il porno Weinstein non tratta con verginelle, la determinata Bella Cherry decide di arricchire il suo curriculum con il peggio/meglio che può fare una professionista dell’hardcore, vale a dire una doppia penetrazione anale interrazziale – l’interracial, apprendiamo, è tuttora una categoria del sesso che dà al pubblico (forse ai populisti razzisti?) un particolare frisson.
Comunque. La porno star migliore, la più brava, è quella che non fa mai casino. Che accetta tutto. Mentre viene doppiamente penetrata, i maschi neri e il regista maschio del video ripetono alla pallida ragazza svedese: “Se vuoi fermarti ok, no problem, nessuno ti costringe, è un film questo, è fiction, nessuno vuole essere violento”. Tra parentesi: se abbandoni il set a metà, cioè prima del cumshot, non ti danno i soldi, ma che cosa ti aspettavi?
Alla fine, tra un predicozzo e una constatazione ovvia sulla sorellanza tra attrici – non si può essere davvero amiche poiché la competizione e l’ansia di prestazione mandano fuori di testa – si capisce per certo che i cattivi sono gli uomini che tengono le redini del gioco; va bene, alcuni attori maschi non sono poi antipatici come l’industria che rappresentano, ma al massimo dell’empatia sono capaci di essere paternalisti o di fare i padreterni con Bella.
Quel che rimane impresso a film finito? Che la morale del viaggio – fintamente oggettivo tipo docu – sta in una scena iniziale sul serio hard. Un primo piano in POV (Point of View) di Bella su qualcosa di duro che la nostra deve (per forza?) ingoiare. E che il tutto finisce con un viaggio in limousine bruscamente interrotto. Meglio tornare in Svezia? Forse. Ma che merda di ambiente la Los Angeles del porno, un posto infame anche non ci fosse mai stato il politically correct e il MeToo, ecc. ecc.