Cine prologo. Finora su grande schermo siamo fermi (credo) a S.A.S. à San Salvador di Raoul Coutard (1982), con l’ex Tarzan Miles O’Keeffe nei panni di Sua Altezza Serenissima il principe Malko Linge, e a Eye of the Widow (SAS L’œil de la veuve, 1991), di Andrew V. McLaglen – ripescabile integralmente su YouTube, quest’ultimo ha per protagonista un imparruccato e dimenticabile Richard Young, caratterista (anche per l’Indiana Jones di Spielberg) poi datosi alla fotografia.
Andrà meglio la prossima volta. Forse. Tre anni fa, si è parlato dell’acquisizione dei diritti della saga SAS di Gérard de Villiers (1929-2013, da ora GdV, più di 200 storie per 120 milioni di copie vendute) da parte di Lionsgate: SAS dovrebbe diventare un cine franchise con Michael Fassbender nei panni della nobile spia. Il progetto, mentre googlo qua e là, su IMDb e siti vari, sembra essere stato rallentato dalla pandemia – c’è però un titolo di lavorazione, Malko.
Aristocratico austriaco, occhi d’oro e cuore duro, dotato di una pistola ultra piatta e di un sesso in costante tensione, Linge è all’ingaggio degli americani della CIA per… rendere migliore il mondo? Forse no, l’uomo, a corto di denari, intende innanzitutto pagare le spese richieste dal suo castello di Liezen – sì, detto così fa un po’ strano, ma dovete vedere in L’œil de la veuve come una banda di terroristi gli devasta la magione. In ogni modo il tetto richiede una manutenzione continua.
Intanto. Malko Linge vive e sopravvive su carta in Italia in una collana dedicata dello storico Segretissimo (SAS, in edicola per Mondadori), che ripubblica ogni mese le avventure dell’agente austriaco. La collana ha iniziato le uscite nel gennaio 2008, con titoli già editi e inediti di GdV; a dicembre 2014, scomparso l’autore, la serie si è interrotta al numero 84, ma è ripartita nel gennaio 2015 ricominciando dal primo numero e procedendo in ordine cronologico.
I romanzi dell’ex giornalista parigino di Paris Presse e France Dimanche si distinguono subito per l’aderenza inventiva alla cronaca estera del momento: GdV tocca, con finezza da elefante in cristalleria, tutti i temi e i luoghi della politica internazionale, dalla Guerra Fredda alla questione islamica, dall’Africa in fermento all’Europa dopo la caduta del Muro. Esempio: gli arabi sono per lui «des gens moins évolués, d’une ethnie cruelle où l’on devient facilement hystérique». Chiaro.
Tra le caratteristiche della serie SAS, spiccano l’alto tasso di violenza, giustificato dal contenuto – GdV ci comunica che la lotta non è tra buoni e cattivi ma, più spesso, tra cattivi e un po’ meno cattivi – e una generosa dose di sesso – GdV ci avverte così che il potere disinibisce e gli adulti che giocano pesante sono tutt’altro che degli scolaretti tra le lenzuola (sul sesso saremo costretti a farci una domanda a fine pezzo). Rimangono evidenti nella costruzione del personaggio di Linge i prestiti dal Bond di Ian Fleming (prima avventura nel 1953, Casino Royale, oggi Adelphi!), cui del resto l’epigono francese si accoda spesso e volentieri – il debutto, SAS a Istanbul, è del 1965, e secondo leggenda nasce dalla pratica considerazione che la morte di Fleming ha lasciato libero uno spazio di mercato. GdV fa l’esatto contrario di Len Deighton che nel 1962 ha abbassato il tasso di superomismo della categoria spionistica creando Harry Palmer, l’agente problematico di Ipcress, parente stretto di tanti funzionari di Greene e le Carré – per farsi un’idea The Spy Who Came In From the Cold data 1963. Lo scrittore parigino schiaccia invece deciso sull’acceleratore dello spettacolo popolare: spari, bombe, inseguimenti, in un cocktail di azione e adrenalina. Andrebbe forse ripescato per ricostruire un quadro d’insieme – e per non dimenticare, tra l’altro, OS117 di Jean Bruce, francese della generazione precedente a quella di GdV, scomparso in un incidente nel 1963 – un prezioso saggetto di Giampaolo Rugarli, La faccia segreta del mondo (Liguori, 2012).
Bondismi, dicevo. Riscontro in Malko Linge un certo immoralismo da antieroe, modi da dandy, una spiccata sensualità ma, a dire il vero, per lunghi tratti si ha l’impressione che Linge esista unicamente come una mera funzione narrativa, per buttare avanti la palla del racconto. Tant’è che il lettore si stupisce quasi quando, all’improvviso, l’“agente fuori quadro della CIA” mostra reazioni umane – sgomento e stanchezza, ma anche voglia di farsi una doccia – o segue pulsioni ideali – per esempio, rendere onore a una terrorista libica cui era stato restio a sparare alla schiena. Linge (GdV) manca totalmente di humour e questo lo imparenta appunto con gli aridi manuali di scrittura o con i personaggi monodimensionali dei fumetti per i quali l’ironia è un di più se non un intralcio alla scorrevolezza della storia.
Ho riletto Malko Linge dopo anni poiché ho trovato per caso in edicola un paio di volumetti – identici per formato a quelli di un tempo, anche se hanno rinunciato alla (caratteristica ma scomoda) pagina con le riga tipografica divisa in due colonne. Sono ripartito con SAS Caccia all’uomo in Perù, datato 1985, intrigo comprendente pure uno stupro commesso dal principe con estrema nonchalance, e Il sorriso Kabilo (1984), altra caccia all’uomo, anzi alla donna, ma stavolta di ambientazione tunisina. Dovrebbero appartenere alla miglior covata, quella degli anni Settanta/Ottanta, quando GdV, secondo il suo collega Stefano Di Marino (Stephen Gunn), non aveva ancora appaltato ad altre mani il personaggio.
Comunque. Eccoci nel cartonato del Perù di qualche anno fa – e dimenticate per favore don Mario Vargas Llosa, oppure usatelo in un impietoso paragone quasi diacronico sfogliando Conversazione nella Cattedrale. Sua Altezza Serenissima deve “scovare il compagno Gonzalo, inafferrabile fondatore del Sendero, l’unico a possedere la chiave della rete di cellule terroristiche, in una città dove ogni fazione è infiltrata dagli avversari e si pratica il doppio o il triplo gioco”. Così in quarta di copertina.
Sono in lotta due schieramenti crudeli, governanti corrotti e ribelli del Sendero Luminoso, entrambi dediti alla tortura, dal taglio delle mani e dei genitali alle scosse elettriche. Vivono per accaparrarsi il plauso anzi lo spavento del gran paese degli indigeni e dei meticci, dei miserrimi cholos, di cui si può ben dire che sono “agili come scimmie” (sic).
Non c’è solo la politica a farci respirare un’atmosfera, per così dire, vintage. Ci si mette anche il sesso. Si palesano sulla strada di Malko “animaletti” (sic) tentatori, in forma di lolite dai seni prosperosi, strizzabili fino all’orgasmo sulla pista dei night di Lima. Altra sorte tocca a un’americana sulla trentina, semi svenuta per colpa del liquore del posto, l’insidioso Pisco Sour. È quasi naturale per Linge approfittarne mentre è incosciente, basta far piano e amen se, quando si sveglia, lei si incazza. Altri tempi.
Aggiungo che mi sono sorpreso quando un uomo del Sendero è definito “soldato ignoto di una guerra assurda”. Poi ho divorato l’altro SAS – sono infatti, al di là delle apparenti complicazioni inerenti ai destini del mondo, romanzetti di lettura velocissima: fabula e intreccio coincidenti, sequenze descrittive e riflessive ridotte al minimo, nessuna deroga alla paratassi.
Di stanza in Africa, Il sorriso Kabilo consente un ripasso da bigino della situazione geopolitica degli anni Ottanta, trattando di una faticosa marcia di modernizzazione osteggiata da terroristi musulmani – va specificato che GdV crede assai poco a una resurrezione post coloniale, forse perché influenzato dalla scarsa stima (ehm) per le etnie emergenti. Anche in queste pagine c’è un killer infallibile da mettere in gabbia, c’è un’affascinante e imprudente trentenne americana che fa da vittima sacrificale, e un Linge accaldato cui l’ambientazione esotica fornisce l’abituale e necessario trompe l’oeil.
La leggenda vuole che GdV, mal amato dalla Francia intellettuale, sia stato spesso contattato dall’intelligence di vari Paesi per passare “messaggi” o “avvertimenti” attraverso le sue pagine. Una sorta di consacrazione in vita gli arriva, quando ormai ha deposto ogni orgoglio e non ci spera più, per mano americana all’inizio del 2013 (GdV muore a novembre): il New York Times dedica un lungo ritratto a “l’auteur de romans d’espionnage qui en savait trop”, ovvero a uno scrittore letto dalle ambasciate e dai servizi segreti del pianeta, perché capace di prevedere l’assassinio del presidente egiziano Anwar al-Sādāt o il complotto contro il premier libanese Rafīq al-Harīrī. Comunque. GdV stava schierato a destra, anzi, era «résolument à droite, libéral, anticommuniste, anti-islamiste, anticommunautariste, antisocialiste», cui aggiungerei oggi, razzista (non molto più di un uomo del suo tempo, ma un po’ molto sì) e sessista (idem). Malko Linge, come capita a un eroe scorretto prima che si praticasse la political correctness, sembra l’incarnazione perfetta del machismo politico neanche poi “segretissimo” del suo creatore.
Ne ho ennesima conferma mentre trovo in una delle poche edicole milanesi superstiti il nuovo numero di SAS – dà soddisfazione comprare in edicola un prodotto che, anche una volta, era “da edicola” e non doverlo cercare invece in libreria travestito da sofisticato giallo o noir di pregiato editore. Seconda mossa, per finire il ripasso ordino su eBay la prima avventura del principe nella sua elegante e originale grafica nera (già, nera, e di che colore se no?).
Stupri o sesso d’antan?
Il mio piacere nella lettura di Malko Linge ha a che fare con il gusto insano di perdere tempo leggendo o leggiucchiando robaccia, e non (più?) con la gioia di consumare letteratura pulp sconveniente per via di politica, violenza o scene più o meno ardite… Ma sono convinto che il sesso è oggi un grosso problema dei libri di GdV, pur non essendo io propenso a “cancellare” nessuno. A tratti – prendiamo come campione SAS La talpa di Langley, scritto nel 1988 ma ri-uscito da noi proprio nell’agosto 2022 – si prova autentico e stupito imbarazzo. Per esempio, riguardo la descrizione di una ragazza di Santo Domingo così sexy da invitare allo stupro (constatazione dell’autore) o per l’annotazione su un personaggio gay: “si vedeva che era omosessuale anche a dieci anni luce” (pag. 46). Poi: uno stupro di gruppo si consuma davvero (da pag. 68) in un bordello e si ha l’impressione sgradevole che la condanna morale derivi più che altro dal fatto che viene perpetrato da dominicani (poi duramente puniti) su una ragazza americana. Ciliegina sulla torta: a Langley, nel finale, incontriamo una donna peraltro assai sofisticata i cui lineamenti marcati suggeriscono “una sensualità animalesca” (pag. 119), la stessa ragazza è così desiderata che “Malko si sentiva spinto allo stupro” (ancora!, pag. 136) – ma attenzione, questo non è un pensiero sconveniente attribuito a un personaggio negativo: non ho mai trovato in ciò che ho letto rimarchevoli distanze tra GdV e il suo personaggio, tanto che potrebbe essere Linge stesso a raccontare in prima persona le sue avventure. Ecco: il tutto è un po’ troppo, insomma, anche per essere un Mondadori vintage del 2022.