Ormai siamo spesso in attesa. Di cosa? Di una delle tantissime serie trasmesse in tv, per lo meno quelle più trendy. Fremiamo perché stanno per arrivare gli episodi conclusivi dell’ultima stagione di The Walking Dead; oppure perché è iniziato House of The Dragon, il prequel de Il Trono di Spade. Oggi l’offerta di questo genere di prodotti è assai maggiore rispetto a solo dieci anni fa, grazie al boom delle piattaforme di streaming, arrivate in Europa nel 2012 con l’esordio di Netflix (in Italia dal 2015), seguita da Prime Video, Disney+ ed Apple Tv, per citare le principali.
Siamo dunque sommersi, oltre che dal caleidoscopio di Web e social network, anche da un’ondata di racconti seriali più o meno ben fatti. Roba da far apparire preistoria, nella memoria dei meno giovani, l’offerta dei vecchi canali generalisti del secolo scorso, pubblici e privati, nonostante il grande successo di serie come La piovra o Dallas.
«È l’entertainment digitale, bellezza! E tu non puoi farci niente», potrebbe affermare qualcuno, parafrasando lo straordinario Ed Hutcheson-Humphrey Bogart alla fine del film di Richard Brooks Deadline – U.S.A. (in italiano, L’ultima minaccia, 1952). Ammesso e non concesso che qualcuno voglia farci qualcosa, viene comunque da chiedersi: questa novità ormai decennale è davvero una novità? No, secondo Gian Mario Anselmi, professore dell’Alma Mater Università di Bologna, dove è stato a lungo ordinario di Letteratura italiana e Letteratura italiana medievale. Perché mai? Il professore lo spiega nel suo libro White Mirror. Le Serie TV nello specchio della letteratura, edito da Salerno Editrice.
Secondo Anselmi, la novità consiste nell’uso della narrazione. Tuttavia quella narrazione affonda ancora le radici nei nostri miti ancestrali e nella nostra storia letteraria (dove per “nostra” s’intende soprattutto quella del mondo occidentale): quindi, per molti versi, vediamo in streaming la riproposizione dei temi al centro del nostro passato culturale, da quello più remoto a quello recente. Un esempio? «E fu sera e fu mattina» è il modo in cui si conclude ogni giorno della creazione del resoconto biblico della Genesi. Fine e rinascita. Buio e luce. «Ogni narrazione, anche la più dura, prende avvio da lì, da quella sera e da quel mattino, nessuna tenebra potrà mai spegnere le stelle che si sono accese all’inizio dei tempi», scrive Anselmi.
Aggiunge: «Nella migliore produzione seriale, la sceneggiatura è divenuta ormai centrale ed essenziale: ovvero scrittura, apprendistato letterario e drammaturgico, commistione coi classici e persino con la Bibbia sono decisivi nel costituirsi della serialità narrativa (delle Serie TV come del cinema) e lo sono proprio per quei generi come le Serie TV di nuova generazione, che si sono ormai accampate come le nuove frontiere della narrazione, raggiungendo per altro pubblici amplissimi. Lì la letteratura, il teatro, la ripresa dei classici, il dialogo con la grande narrativa romanzesca hanno fondato un nuovo modo seriale di raccontare. La letteratura è la vera vincitrice: le sceneggiature e le trame delle Serie piú popolari e di alto livello se ne nutrono in un interscambio che ha mutato per sempre il nostro modo di percepire la realtà».
Cosicché, in un tripudio di citazioni, l’autore ci spiega, perché può essere arduo capire il successo di Squid Game senza la Poetica di Aristotele. È difficile anche comprendere, senza conoscere il Medioevo, quanto il medievalismo (cioè il modo in cui noi oggi immaginiamo l’Età di mezzo) contamini, più o meno esplicitamente, tante serie. Non solo: dove si intrecciano la Divina Commedia e l’immaginario horror che imperversa sui canali televisivi? Per quale motivo i personaggi di Game of Thrones c’entrano col pensiero di Niccolò Machiavelli? Come si può associare Giacomo Leopardi al protagonista della serie True Detective? Che cosa ha a che fare Carlo Emilio Gadda con Zerocalcare? Anselmi ci svela il legame che la letteratura di tutti i tempi – e in particolare quella italiana – ha con la forma di intrattenimento che negli anni Venti del XXI secolo sta ipnotizzando il pubblico globale. Insomma, quello schermo nero che anticipa una serie televisiva (il black mirror, appunto) non è che il foglio bianco che, nei libri, viene subito dopo la copertina. Entrambi – nonostante siano frutto di tecnologie diverse, una secolare, l’altra avveniristica – sono legatissimi alle radici semantiche e intellettuali della nostra civiltà.
Nel libro, di fronte al successo dei racconti seriali e al moltiplicarsi esponenziale dei canali attraverso i quali vederli, si pone anche questa domanda: perché, mai come oggi, agli esordi del XXI secolo, siamo così affamati di storie; in particolare di storie “lunghe”? Anselmi offre questa risposta: «Al crollo delle ideologie “messianiche” proprie della storia novecentesca, alla fine dei percorsi tradizionali della vecchia politica e dei suoi sogni utopici depredati da un consumismo onnivoro ed imperante non potevamo “disperarci”, avevamo bisogno di “sognare” ancora; non per mera evasione ma all’opposto per ansia di libertà, per poter riaffermare il nostro diritto al sogno, all’utopia, alla memoria». Cosicché «da almeno due decenni a questa parte ci siamo abbandonati esclusivamente alle storie, in letteratura certo, ma in ogni mezzo che ce li proponesse. Una sorta di “narrare infinito” che sta scandendo i nostri giorni…. Mentre in letteratura il romanzo impera, in fertile intreccio proprio con il romanzo, è esplosa la serialità televisiva». Questa «ha ampliato a dismisura le modalità della narrazione imponendo… un mutamento impressionante e di portata ancora imprevedibile sul terreno di quello che usualmente chiamiamo “immaginario”».
Viene la tentazione di affermare, seguendo questa traccia, che – più di mezzo secolo dopo il Sessantotto – ci è stato offerto un altro modo per dare “tutto il potere alla fantasia”, come recitava un celebre slogan di quei tempi. Il risultato, sul piano sociale, è uno straniamento dalla realtà che ha poco a che fare con gli obiettivi della rivolta giovanile sessantottina. È soprattutto un arroccamento nel mondo di Fantàsia, per citare il romanzo La storia infinita, scritto da Michael Ende nel 1979 e ambientato principalmente in un mondo fittizio (chiamato Phantásien nell’originale tedesco). Nel romanzo di Ende, Graogramàn, il leone signore del deserto di Goab, dice a Sebastiano, che l’ha appena creato: «Ma tu non sai che Fantàsia è il Regno delle Storie? Una Storia può essere nuova eppure raccontare di tempi immemorabili. Il passato nasce con lei». Nel libro l’obiettivo del protagonista è fermare il Nulla che avanza. Le Serie tv forse ci aiutano a contrastare (o ci abituano a sopportare) il niente che è già tra noi.
Gian Mario Anselmi, White Mirror. Le Serie TV nello specchio della letteratura, Salerno Editrice, Roma 2022
Nella foto di apertura, House of The Dragon, serie televisiva statunitense creata da Ryan Condal e George R. R. Martin. Prequel de Il Trono di Spade è in onda su Sky Atlantic