Credo che molti trovino difficile accettare che l’eleganza e la bellezza siano arte, vogliono vedere messaggi sociali, sofferenza, espressioni interiori, tutte cose per le quali non ho alcun interesse (Alex Katz).
È una decisa dichiarazione d’intenti questa dell’artista americano nato a New York nel 1927, protagonista nelle sale del Mart di Rovereto, che fino al 18 settembre ospita la mostra Alex Katz-La vita dolce, da un’idea di Vittorio Sgarbi, a cura di Denis Isaia, catalogo Sagep editori.
Una quarantina di tele con ritratti e paesaggi di dimensioni notevoli.
Le sue creazioni sono state accostate alla Pop Art, a Hopper, a De Chirico e addirittura, in qualche testo, si può leggere di una sua pennellata impressionista.
Ma in Woods (immagine in alto) è evidente che la luce non si fonde nel colore per creare un’impressione. È un paesaggio messo in posa e, come dice Sgarbi nella presentazione, un rapporto tra pieno e vuoto. La pennellata che fissa la luminosità è ordinata, estranea a qualsiasi velleità impressionistica. I suoi paesaggi non sono un luogo di azione, ma di contemplazione, dove gli alberi reali sono trasferiti in un’altra realtà, che è quella del linguaggio dell’arte. E in questo passaggio l’artista gioca con lo slittamento tra vero e falso, che coinvolge qualunque osservatore.
Nei ritratti di Katz le figure sono distanti e mute, i modelli appartengono alla società newyorkese o del Maine, dove l’artista trascorre le sue estati, e sono sempre gli stessi, perché non è il soggetto a interessarlo ma l’immagine, l’attimo del presente che diventa universale sulla tela. Per Katz, è lui a dirlo, esiste solo il presente. Nei suoi ritratti nulla si avvicina al mistero alla malinconia o alla morte, come invece s’intuisce davanti a Hopper e ancora a De Chirico. I suoi personaggi sono rispettosamente l’uno accanto all’altro, soli e separati, ma con un sorriso accennato, in una visione per nulla amara. Se le scene di Hopper ci trascinano dentro, di fronte alle creazioni di Katz si finisce per assumere lo stesso atteggiamento dei suoi personaggi, educati, eleganti, in posa e consapevoli di essere guardati. E lo spettatore li guarda con discrezione, rimanendo a distanza.
Lo sfondo appiattito al massimo e riempito di giallo, di arancione, di azzurro, di verde è senz’altro debitore delle origini russe dell’artista, in grado di rielaborare il rapporto figura-contesto delle icone russe.
Circondati dalle tele di Katz, l’angoscia è l’ultimo sentimento che può nascere, piuttosto spunta il desiderio di appartenere a quella sospensione temporale, dove sui visi il trucco cancella segni e rughe (e nasconde l’inconscio), dove le figure eleganti, in rigide pose, come nelle fotografie dei giornali di moda, vengono cristallizzate e fanno un grande effetto. Camicie, giacche, sciarpe e mani sembrano illuminate dai riflettori.
Le sue modelle, come le sue foglie, infine, si allontanano da qualunque estasi materialistica della Pop Art.
Chi è dunque Alex Katz? Un pittore felice, che crea immagini dal carattere forte, composizioni pulite dove è evidente l’influenza del cinema nei volti selezionati al bordo della tela, e della fotografia nella messa a fuoco, nell’istantaneità come sospensione temporale, nella messa in posa.
Vittorio Sgarbi ha scelto come titolo della mostra La vita dolce, un’inconscia o volontaria inversione del titolo del film di Fellini, perché i personaggi di entrambi sono semplicemente figure, apparizioni inconsistenti, distanti da sé e da noi, dice il critico d’arte. Non c’è rumore.
Percorrendo le sale del Mart e ritornando a osservare le grandi tele, anche lo spettatore potrà per qualche minuto far parte di questa età dell’oro.
Da vedere.
La mostra. Alex Katz-La vita dolce, da un’idea di Vittorio Sgarbi, a cura di Denis Isaia, Mart di Rovereto, da martedì a domenica dalle 10 alle 18 (venerdì dalle 10 alle 21), fino al 18 settembre.
In apertura: Alex Katz, Woods, 2004, Collezione privata, Modena, Courtesy Alex Katz Studio.