Il femminicidio, parola relativamente nuova che siamo abituati a usare per indicare un preciso crimine, soffre le messe in scena che ne fanno l’informazione/spettacolo o lo spettacolo, teatro o cinema che sia. L’ambiguità di un’inutile, morbosa o lucrosa spettacolarizzazione a uso di un pubblico troppo curioso se non voyeur, di un pubblico comunque, tocca le “storie criminali”, ricostruite con attori fantoccio, le pettegole “Italie in diretta”, i sinistri “chi l’ha visto?”, e s’incaglia nella suspense di qualsiasi thriller in cui compare omicidio o prevaricazione dell’uomo sulla donna, in cui i due sessi si dividono nettamente in carnefice e vittima.
Arriva così gradito La notte del 12, presentato con applausi in selezione ufficiale al Festival di Cannes, e sorpresa dell’estate al botteghino francese.
Il film, nelle sale italiane con Teodora dal 29 settembre, è ispirato a fatti realmente accaduti, ed è piaciuto soprattutto per il modo – cauto, prudente, pensieroso e infine critico – in cui rilegge la tradizione del noir in chiave femminile (femminista)?
Sinossi. Da poco arrivato a capo della polizia giudiziaria di Grenoble, Yohan deve confrontarsi con un terribile omicidio. C’è chi dice che ogni investigatore abbia un crimine che lo ossessiona e per Yohan quel caso diventa l’uccisione della giovane Clara. Insieme al collega Marceau porterà avanti le indagini su tutti i conoscenti della ragazza, svelando i molti segreti di una provincia all’apparenza tranquilla…
Le sequenze del film possono aprirsi cautamente alle metafore: per esempio, tra uno scacco e l’altro nelle indagini, Yohan si tiene in forma correndo nell’anello di una pista di ciclismo, dando così l’impressione di comportarsi come un criceto sulla ruota – come un uomo impotente? – e cioè di girare a vuoto. Il fatto che si presentino nelle indagini più possibili colpevoli – scartati subito o portati più volte sotto i riflettori, ma tutti possibili assassini – diventa significativo della pericolosità dell’intero genere maschile entrato in contatto con l’uccisa, una ragazza seria e disinvolta in amore (nessuna contraddizione in questo). Ogni uomo è un potenziale colpevole e a cercare di individuarlo – questo è il paradosso detto a chiare lettere – sono in prevalenza altri uomini. Alle donne spetta dunque una parte precisa: quella di chi non conta o, al peggio, quella della vittima.
Insomma, Dominik Moll, facendosi carico di tutta la serietà e l’intelligenza di Yohan, ha firmato il noir più sessualmente onesto in circolazione, non il più politically correct (che vorrebbe solo dire “di moda”), appoggiandolo sul suo solido mestiere. Moll, di origini tedesche, ma di madre francese e di studi cinematografici americani è stato collaboratore di Laurent Cantet (e si vede), ed è noto in proprio per Due volte lei – Lemming (un film con le due Charlotte, Rampling e Gainsbourg) e per Il monaco con Vincent Cassel.
A margine. Dominik Moll: “Il film si ispira a uno dei casi raccolti da Pauline Guéna in 18.3-Une année à la PJ, libro inchiesta per cui ha passato un anno a stretto contatto con la polizia giudiziaria. Il caso che raccontava e che mi ha colpito di più era quello di una giovane donna bruciata vivamentre rincasava. Ammetto che la natura sordida del crimine mi ha fatto esitare, perché spesso sono turbato dal modo in cui certi film sembrano affascinati dalla violenza. Ma quelle poche pagine hanno cominciato a perseguitarmi allo stesso modo in cui la morte di quella donna ha perseguitato Yohan, il protagonista. Il libro dice che ogni investigatore incontra un crimine che fa più male degli altri, che per un motivo misterioso si deposita dentro di lui come una scheggia e che la ferita non può rimarginarsi. Il libro di Pauline Guéna è già estremamente ben documentato, ma per me era importante vedere un gruppo di investigatori al lavoro con i miei occhi, così ho passato un periodo in un commissariato di Grenoble. Ho potuto osservare da vicino la macchinosità delle procedure e delle relazioni, i rapporti all’interno di un gruppo, il contrasto tra la tensione degli interrogatori e la banalità dei momenti di relax che permettono ai poliziotti di sfogarsi. Passare del tempo con loro mi ha aiutato a essere più accurato nel tono del film e a evitare spettacolarizzazioni, facendomi invece avvicinare al lato umano, al disagio e alla passione che guidano queste persone. Il rapporto tra uomini e donne è centrale nel film. Sappiamo che molte notizie di cronaca sono direttamente legate a casi di violenza perpetrati dagli uomini contro le donne. È una cosa folle se ci pensi e non la si può vedere solo come una fatalità. Gli ufficiali che devono combattere questa violenza sono di fatto quasi esclusivamente uomini. A cosa pensano questi uomini quando indagano sui crimini commessi contro donne che potrebbero essere le loro figlie, le loro partner, le loro amiche, le loro sorelle? Come vedono i sospetti? E le vittime? Quali sentimenti provoca in loro tutto questo?”.