In un periodo in cui abbiamo vissuto uno stato d’emergenza a livello mondiale e ancora oggi la guerra contro il Coronavirus non è vinta, è possibile conciliare la politica del bene comune con quella del bene individuale? In che modo? È questa la domanda centrale del saggio di Jürgen Habermas Proteggere la vita. I diritti fondamentali alla prova della pandemia (Edizioni Il Mulino, Bologna 2022), con la traduzione di Fernando D’Aniello e l’introduzione del costituzionalista e presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky.
Come si legge nella quarta di copertina, Habermas, filosofo, sociologo, storico tedesco ed esponente della Scuola di Francoforte, sostiene che “per accettare e legittimare la limitazione delle libertà individuali a favore della sopravvivenza collettiva è bene ripercorrere i fondamenti morali, politici e giuridici delle nostre costituzioni. Uno stato democratico non può scegliere politiche che comportino un aumento del numero dei contagi e, quindi, delle probabili morti”.
Centodiciassette pagine ricche di riferimenti storici, culturali, giuridici, di attualità e politica; un viaggio temporale che parte dal passato per arrivare ai giorni nostri, un invito alla ragionevolezza e al confronto in cui senza giudizi e pregiudizi si affronta un argomento che ha travolto e sconvolto la vita e le abitudini di tutto il pianeta.
In passato di fronte alle varie pestilenze ci si abbandonava alla natura, alla fatalità o alla volontà divina. Preghiere, processioni, penitenze, cercare di non avvicinarsi troppo gli uni agli altri e purificare gli ambienti, i corpi e le cose erano i modi per far fronte ai disastri che incombevano. Nel peggiore dei casi, si dava caccia all’untore. In seguito, con lo sviluppo della scienza e della tecnologia medica, la situazione è cambiata, con scambi di opinioni, differenti considerazioni e visioni di pensiero e relativi confronti anche all’interno della comunità scientifica. D’altronde, “la scienza”, sottolinea Zagrebelsky, “non è altro che ricerca scientifica e la ricerca procede cercando di vedere sempre qualcosa che non si era vista fino ad allora, formulando ipotesi da verificare o falsificare con l’esperienza. Se si è coltivata l’illusione che la scienza per essere vera o veritiera deve essere unica e infallibile, la non-unanimità della comunità scientifica, invece di essere percepita come una ricchezza e un antidoto ai dogmatismi scientifici, finisce per squalificare i risultati della ricerca… Non solo: se si crede che la scienza, per essere vera, debba essere anche monolitica, quando non lo è, è facile accusarla d’incompetenza o, peggio, di prostituzione a interessi economici che la muovono per i propri fini”.
I vari intrecci che si sono creati tra prospettive morali, mediche, giuridiche, genetiche, economiche ed ecologiche hanno rischiato e rischiano di alimentare e aumentare paure, pregiudizi, dicerie, pulsioni e passioni emotive, non sempre orientate dalla riflessione razionale. Si aprono così le porte a un’epoca inquieta, in cui la pandemia ha portato alla luce una tensione sociale e un conflitto mai spento tra visione comunitarista e visione individualistica della vita sociale; un’epoca in cui le parole non si usano più per comprendersi, ma per sostenere con maggiore forza le proprie convinzioni e accusarsi reciprocamente.
In un contesto così confuso, però, è difficile non pensare che l’esercizio delle proprie virtù e della propria libertà non possano comportare conseguenze che vanno al di là dello spazio individuale. “C’è, dunque, un’insopportabile albagia, un’odiosa violenza sugli altri in nome della propria superiorità morale, un ignobile disprezzo degli altri. È un estremismo mascherato da finto libertarismo che nasconde prevaricazione, violenza, alterigia. Quanto può essere ingiusto chi coltiva da sé e per sé le sue sublimi virtù!”, scrive Habermas. Quale la soluzione a questo intricato incastro?
Premettendo che ogni Paese ha una propria politica con relative scelte sanitarie, in generale è comune l’invito a un aiuto solidale tra cittadini che lottano per obiettivi comuni, l’invito alla ragionevolezza, al confronto e al rispetto reciproco. L’uguaglianza è condizione primordiale della democrazia sempre e in particolar modo quando sono in gioco beni senza prezzo come la salute e la vita.
Solidarietà, quindi, come parola chiave: un concetto che a prima vista può sembrare dolciastro e moralistico, forse sotto alcuni punti di vista addirittura anacronistico, ma che in realtà è essenziale alla democrazia. I regimi autocratici ne fanno a meno, bastandogli il potere e la forza; la democrazia presuppone la libertà, ma implica che si esprima nella solidarietà. Ricordiamoci che, così come aveva detto Aristotele, l’uomo è un “animale sociale”, non vivendo isolato ma tendendo per natura a stare in contatto con altri individui. C’è, quindi, un rapporto variabile tra libertà e autorità che oscilla pericolosamente tra due opposti: da una parte la disgregazione sociale quando c’è troppo poca solidarietà, dall’altra il dispotismo quando c’è troppa coercizione. Un complesso gioco di equilibri.
È significativo che sia Papa Francesco (il 27 marzo 2020 in una piazza San Pietro deserta) sia la regina Elisabetta (il 5 aprile 2020 nel castello di Windsor) abbiano voluto entrambi sottolineare l’importanza della condivisione e la necessità dello stare uniti anche nella lontananza. Discorsi che invitavano all’autodisciplina e all’attenzione, a non perdere mai la fiducia per il futuro e a valorizzare in qualche modo quell’opportunità di rallentare e riflettere su ciò che è davvero importante. Per ritrovare se stessi e gli altri. Per capire e capirsi. Non eravamo d’altronde noi a cantare sui balconi, tra disegni con arcobaleni e frasi di incoraggiamento, tra gesta di piccola e grande solidarietà?
“La non-unanimità della comunità scientifica, invece di essere percepita come una ricchezza e un antidoto ai dogmatismi scientifici, finisce per squalificare i risultati della ricerca” (Gustavo Zagrebelsky)
Sì, la pandemia è un tema ancora oggi delicato, anche se da mesi è passato in secondo piano nei media del nostro Paese, essendo stata posta maggiore attenzione ad altri eventi drammatici, quali la guerra tra Russia e Ucraina (pur non essendoci, purtroppo, nel mondo solo questa), la scomparsa della stessa regina Elisabetta II, l’alluvione nelle Marche con innumerevoli danni, vittime e dispersi , oltre alle elezioni politiche e ad altre notizie di cronaca.
Attualmente la situazione è migliorata rispetto al passato, ma può essere rischioso sottovalutare un nemico così subdolo e imprevedibile, capace di “mutare” per riprodursi e diffondersi nuovamente. In realtà, è insensato parlare di una vera e propria guerra contro il virus, come se fosse un essere raziocinante. Sarà lui stesso che si spegnerà quando non troverà più il terreno favorevole alla sua sopravvivenza. Nei casi in cui l’aggressore, per esistere, ha bisogno di potersi appoggiare all’aggredito, il vuoto è l’arma infallibile per sconfiggerlo. Da qui l’analogia con la campagna di Russia di Napoleone, terminata con la disastrosa sconfitta del suo esercito in una Mosca desertificata e con la vittoria del generale Michail I. Kutuzov, il quale aveva tolto terreno e punti di appoggio al nemico con una grandiosa opera di immunizzazione. Un’opera che, con differente strategia, si tenta di attuare nei confronti del Covid.
È un argomento che non è possibile e non sarebbe giusto dimenticare per molteplici motivi, tra dolori personali e relazionali, difficoltà finanziarie, cambiamenti di stile di vita e molto altro. Non è possibile e non sarebbe giusto dimenticare perché siamo consapevoli di aver assistito e di assistere ancora oggi alla scrittura di pagine di storia dal forte impatto emotivo. Il passato non si può cambiare, ma il futuro sì ed è nelle nostre mani. È per il bene nostro e della società in cui viviamo, per il rispetto dell’altro che non conosciamo, per il ricordo di chi non c’è più e per il messaggio di amore rivolto alle generazioni attuali e future.
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