«Tre anni fa mi chiama un amico e mi dice: vuoi far parte di un’associazione che intende comprare una nave per salvare i migranti nel Mediterraneo? Io ho chiesto tempo per decidere ma poi ho pensato: se stessi annegando vorrei che qualcuno venisse a salvarmi? Così ho risposto di sì». È stato questo l’esordio dell’impegno di Gherardo Colombo, ex magistrato, in ResQ people saving people, di cui oggi è presidente onorario.
Di ResQ («una bella storia italiana, dove le cose che sembrano impossibili diventano possibili» secondo Cecilia Strada) se ne è parlato durante l’ultima edizione di TorinoSpiritualità.
Gherardo Colombo e Cecilia Strada hanno raccontato un progetto coraggioso, il cui obiettivo è bene espresso nelle poche righe che si leggono sulla homepage di ResQ: “Ci siamo uniti per dare un segno concreto e contrastare la cultura dell’indifferenza, mettendo in mare un’altra nave che sostenga donne, uomini e bambini, costretti a spostarsi da situazioni drammatiche o volenterosi di inseguire il proprio sogno, come di diritto. Abbiamo aggiunto, con il contributo di chi non è indifferente, una nave alla flotta umanitaria che opera nel Mediterraneo”.
Colombo, per 33 anni prima giudice e poi Pubblico Ministero, ha passato una bella parte di vita «a decidere chi dovesse essere punito e chi no. Progressivamente ho maturato un’idea diversa, mi sono dimesso dalla magistratura con 14 anni di anticipo, e ho cominciato a diffondere l’idea che il carcere non serve a nulla. Pensavo fosse un male necessario, non è vero». Cecilia Strada, figlia di Gino fondatore di Emergency, proprio di Emergency è stata otto anni la presidente, fino a prendere una strada sua, sempre in campo umanitario. Oggi è responsabile della comunicazione di ResQ.
A Torino hanno insieme parlato delle fatiche, dei problemi, delle difficoltà ma anche della felicità di chi si impegna a salvare chi fugge da guerre e fame rischiando di morire in mare.
Un progetto dagli esordi tumultuosi («nel 2020 la pandemia ha reso tutto più complicato, solo a novembre abbiamo iniziato a raccogliere fondi»), fino all’acquisto della nave a luglio del 2021 («molto molto usata date le nostre scarse possibilità economiche»). Per arrivare alla prima missione che prese il via il 13 agosto 2021. Lo stesso giorno moriva Gino Strada «e agli amici che la chiamavano» ha ricordato Colombo «Cecilia rispondeva: “Mi trovo esattamente nel luogo in cui mio padre sarebbe stato contento mi trovassi in questa occasione”».
Quella prima missione salva 159 persone. Altre ne salva a ottobre, poi la nave si ferma, «d’inverno è quasi impossibile uscire, l’imbarcazione è vecchia e non è adatta al mare grosso A giugno salpiamo di nuovo ma l’imbarcazione si rompe e allora torniamo indietro, e ora stiamo aspettando che venga riparata definitivamente, ma occorrerebbero un bel po’ di soldi».
Durante le missioni «sulla nave si vive con fatica, con turni di giorno e di notte, 21 persone tra marittimi e volontari, dal medico al cuoco. Un equipaggio che dà la misura che nessuno si salva da solo, e che tutti devono fare la propria parte per raggiungere un obiettivo».
Quanto sia difficile salvare migranti lo ha spiegato bene Cecilia Strada: «È un enigma del nostro tempo. Il soccorso in mare scatena reazioni terrificanti, tra 30 anni ci vergogneremo di quel chiedersi se è giusto o no aiutare persone che stanno annegando. Certo che è giusto, ma è difficile come mai. Perché le persone che muoiono in mare non hanno volto, non sappiamo nulla di loro, non riusciamo a farli parte della nostra storia. A differenza di quello che è successo con gli ucraini, che ci assomigliano di più perché la loro pelle è bianca, perché professano la nostra stessa fede, perché li riconosciamo come nostri pari».
Tra chi tenta di migrare «c’è chi muore in mare e chi, per mare, viene riportato nei lager della Libia dalle motovedette della guardia costiera libica pagate con le nostre tasse, con violazione dei diritti umani, della convenzione Onu sui rifugiati, dei principi della nostra Costituzione. Nel Mediterraneo chi annega lo fa gridando il proprio nome, affinché chi si salva possa avvisare la sua famiglia».
Della Costituzione Gherardo Colombo ha ricordato l’articolo 10 comma 3, «che dice che lo straniero che non può usufruire nel proprio Paese delle libertà democratiche ha il diritto di essere accolto. Ma per essere accolti bisogna essere vivi». E poi il monito: «Se non ci mettiamo in testa l’idea che sta alla base della nostra Costituzione, secondo cui ogni persona è degna quanto tutte le altre, che ciascuno di noi è importante quanto gli altri, andremo verso la distruzione».
Mai pensato di smettere? La risposta di Cecilia Strada è un colpo nello stomaco. «Il soccorso in mare è la cosa più orribile che abbia mai fatto perché nessuno dovrebbe essere costretto a rischiare la vita. Abbiamo delle politiche sul controllo delle frontiere deliranti, inumane, stupide, perché pensare di bloccare le persone è come credere di poter fermare la Terra che gira. Non dovremmo essere noi a soccorrere chi fugge, ma i nostri governi e l’Europa con aerei e missioni di soccorso statali». Il soccorso in mare è quanto di più orribile esista, ripete ancora. «Nella prima missione il naufrago più piccolo aveva 9 mesi, nella seconda una donna aveva partorito sul gommone e la culla del neonato era una tanica di benzina tagliata a metà. Io non ho ancora incontrato una migrante che non sia stata stuprata in Libia. Quando finalmente sono salve sulla nostra nave, queste donne possono avere la prima notte di sonno senza il terrore di essere svegliate dai loro aguzzini. E allora il soccorso in mare diventa la cosa più bella».
Sulla storia di ResQ è in libreria, edito da People, ResQ. Storia di una nave e delle donne e degli uomini che la fecero di Alessandro Rocca, giornalista, che fa parte del gruppo che ha dato vita al progetto.
ResQ People Saving People organizza il 3 maggio al Teatro dal Verme di Milano Di mare in peggio, la Libia, i decreti e altri incubi per parlare di soccorso in mare e di accoglienza. Per partecipare, cliccate qui
credit foto in apertura Belén Sívori