Si può fare un film pasoliniano nell’anno di disgrazia 2022? La lodevole intenzione di Vincenzo Pirrotta (che dichiara esplicitamente l’intento) può però subito sprofondare nell’incerto significato accordabile alla definizione “film pasoliniano”. È forse una storia di miserabili dove “tutto è santo” (vedi mostra di PPP a Roma) o almeno tutto ciò che passa per la “consacrazione” di uno sguardo d’artista, davanti alla macchina da presa? È forse una vicenda che richiede o innesca, oltre alla compassione, un riscatto messianico nel senso che alla fine ci vuole un povero Cristo inchiodato in croce alla maniera di Stracci?
Comunque. La parola più pronunciata in Spaccaossa è “soldi” – detta in dialetto siciliano in un film che presenta utili sottotitoli. La condizione antropologica dei personaggi è quella del degrado assoluto, fisico e morale, cui la pratica delle ossa rotte in cambio di truffaldini rimborsi pecuniari è lo spettro di un protocapitalismo senza valori, pre-cefisiano, eppure già sedotto dalla modernità/alienazione del consumismo… Siamo cioè più vicini al fango e alla nostalgia di paradiso di Accattone che alla esplosa geometria borghese di Teorema.
Meglio prenderla, forse, da un’altra angolazione questa visione di Spaccaossa, che è bene illuminata da una luce molto poco siculo-turistica firmata proprio da Daniele Ciprì e rabbrividisce, a proposito di sacro, per la voce drammatica di Giuni Russo che intona O Vos Omnes dalle esplicite e solenni parole: “O voi che passate per la via, ditemi se quello che vedete non è dolore…”.
La trama (dal comunicato stampa). “In un magazzino abbandonato, alcuni uomini introducono dei pesi da palestra dentro un trolley che poi fanno precipitare dall’alto di un’impalcatura direttamente sul braccio teso della vittima di turno, dopo averla anestetizzata con del ghiaccio”. C’è chi si fa spaccare le ossa perché non arriva a fine mese e chi per futili motivi – ne conosciamo solo uno in verità e di certo è il miserabile più “progredito”: accetta il martirio per festeggiare la prima comunione della figlia con tanto di ingaggio di cantante neomelodico.
Nell’ignobile racket si impigliano due vite che potrebbero essere diverse, possibilmente aperte a un reciproco sentimento amoroso: Vincenzo, spaccaossa con complesso di Edipo attizzato a fuoco lento da una madre crudele, incontra e ospita una giovane tossicodipendente, e tra lui e lei balena fino al the end l’eventualità di una redenzione – sempre che a entrambi non si sia metaforicamente spaccata anche l’anima.
“Siamo due senza arte né parte, siamo nessuno mischiato col niente”, dice a un certo punto Vincenzo (il bravissimo Pirrotta) a Luisa (la bravissima Selene Caramazza), ma noi sappiamo che non è vero e ci troviamo a parteggiare per loro. Tutto questo anche se il film spesso è lento, soffre di cali di tensione, e sprofonda qualche volta in una sorta di buio realismo simbolico (pasoliniano?) su cui è difficile che regista e spettatore, contrapposti, si trovino a loro agio.
Comunque. Spaccaossa è un film tanto ambizioso quanto onesto, passato a Venezia e che si può vedere in sala dal 24 di novembre. Per la cronaca: tra i produttori e gli sceneggiatori figura, per una volta in vena di dramma, il duo composto da Ficarra e Picone.
Nella foto in alto, Pirrotta con Caramazza