È il 25 dicembre 1909. Siamo all’inizio di un nuovo secolo che sembra offrire incredibili possibilità: qualche settimana prima Guglielmo Marconi ha ricevuto il premio Nobel per l’invenzione della radio e il 31 marzo di quello stesso anno nei cantieri navali Harland and Wolff di Belfast sono iniziati i lavori per la costruzione del Titanic, la più grande nave mai realizzata. Quel giorno nei cinema degli Stati Uniti viene proiettato A Midsummer Night’s Dream, un cortometraggio prodotto dalla Vitagraph, la casa di produzione americana più importante dell’inizio del secolo.
Si tratta del primo adattamento cinematografico dell’omonima commedia di William Shakespeare. E in quel rullo di appena dodici minuti c’è tutta la storia. O almeno quasi tutta. C’è l’imminente matrimonio tra il Duca di Atene Teseo e Ippolita, ci sono le due coppie di giovani innamorati, i cui amori sono però contrastati e complicati dalle decisioni del vecchio Egeo, e c’è un gruppo di artigiani che vuole mettere in scena una commedia per festeggiare le auguste nozze. Ma è il solstizio d’estate, la magica notte in cui tutto può succedere, anche che gli esseri sovrannaturali entrino in contatto con i mortali. Qui c’è l’unica, grande, differenza con la commedia, perché nel film non c’è Oberon, non è per gelosia e dispetto che il Re delle Fate chiede a Puck di organizzare la sua vendetta contro Titania. Gli autori del film, probabilmente perché giudicano sconveniente introdurre una lite per il “possesso” di un bambino, inventano il personaggio di Penelope che, dopo aver litigato con la Regina delle Fate, dà al folletto l’erba magica che può far innamorare chiunque. E da qui la storia prosegue come la conosciamo: le coppie si “intrecciano” e Titania si innamora perdutamente dell’artigiano Bottom, anche se Puck ha trasformato la sua testa in quella di un asino. Alla fine di questa “notte degli imbrogli” Penelope si pente di quello che è successo e arriva l’atteso lieto fine, con i giovani che si sposano, ascoltando soltanto quello che dice loro il cuore.
Il cinema è ancora muto: non possono esserci gli splendidi dialoghi scritti dal Bardo e manca la divertente “commedia nella commedia” del quinto atto, con gli artigiani che mettono in scena la storia d’amore di Piramo e Tisbe, ma il film, nonostante le pose affettate dei suoi protagonisti, restituisce la magia della storia, grazie soprattutto alla tredicenne Gladys Hulette che è un Puck scanzonato e dispettoso: il vero motore della vicenda.
Gladys, per quanto giovanissima, calca le scene già da molti anni. A Broadway ha recitato insieme alla mitica Bertha Kalich, la “Jewish Berhardt”, come la chiamano i giornali. Dopo la sua interpretazione di Puck, la carriera di Gladys continua con altrettanta fortuna sia in teatro che al cinema: sul grande schermo è Alice, nel secondo film tratto dai romanzi di Carroll, mentre a Broadway interpreta Beth in una fortunata messa in scena di Little Women. Poi Gladys si dedica per lo più al cinema, perché è una delle prime a capire che quel nuovo mezzo è destinato a cambiare il mondo e che quelli che fanno i film non sono “bagnini di Coney Island”, come credono sprezzantemente i vecchi teatranti di Broadway. Ma il sonoro blocca la carriera di Gladys, che nel 1948, tornata a New York, lavora nella biglietteria del Radio City Music Hall. Chissà quante storie ha raccontato alle sue giovani colleghe.
La Vitagraph mette in campo i suoi nomi migliori per la realizzazione di quel film. La regia è firmata da James Stuart Blackton e Charles Kent.
La versione Vitagraph
Se guardate una vecchia foto di Blackton, con i suoi occhialetti tondi e l’incipiente calvizie, potreste pensare di avere di fronte un professore di Yale o un agente di Wall Street, invece questo inglese nato nel 1875 – emigrato negli Stati Uniti all’età di dieci anni – è uno degli uomini che ha “inventato” il cinema. Gli piace disegnare e con i suoi disegni vuole entrare nel mondo del vaudeville: prepara le diapositive per le “lanterne magiche”. Con lo spettacolo non guadagna abbastanza e il giovane James si adatta a lavori “normali”. Entra nella redazione del New York Evening World che lo manda a intervistare Thomas Edison che ha appena presentato una sua nuova invenzione, il Vitascopio, uno dei primi proiettori cinematografici. Al geniale inventore piace quel reporter che fa quei disegni buffi e gli regala uno di quei proiettori. James chiama i suoi vecchi compagni del vaudeville e fonda la propria compagnia, chiamandola Vitagraph. E fa tutto quello che serve: produce, dirige, scrive le sceneggiature, cura il montaggio, recita. Comincia con cortometraggi animati e poi passa ai veri e propri film. Insieme ai grandi classici della letteratura dell’Ottocento, Shakespeare ispira molte di queste sue prime opere: tra i titoli di questi anni ci sono Macbeth, Romeo and Juliet – che gira tutto in esterni, al Central Park – Richard III, Antony and Cleopatra, Julius Caesar, The Merchant of Venice, King Lear. E appunto A Midsummer Night’s Dream, alla cui regia collabora il suo connazionale Charles Kent, regista e attore, che nel film interpreta anche il ruolo di Teseo.
E nel film recitano i più importanti attori della Vitagraph, a partire da Maurice Costello, nel ruolo di Lisandro. Nato a Pittsburgh nel 1877 da una famiglia irlandese, Maurice, dopo una fortunata carriera nel vaudeville, arriva al cinema nel 1908 con Salome, uno dei successi della compagnia. L’attore diventa ben presto una star, una delle prime della settima arte, l’idolo del pubblico femminile, che segue la sua vita non solo sugli schermi, ma anche dalle cronache mondane dei giornali. E Maurice si sente davvero una star, tanto che sul set pretende di fare “solo” l’attore e non è disposto a fare altri lavori, come fanno tutti gli altri, che aiutano a costruire le scene o a cucire i costumi. William V. Ranous, il divertente Bottom del film, è uno di questi attori che “si sporca le mani”, anche perché, a differenza di Costello, lui di solito è il “cattivo”: Macbeth, Cassio, Riccardo III, Javert. E il pubblico preferisce gli eroi.
Ad accompagnare Titania ci sono due giovanissime fate, Dolores e Helene Costello, di sei e tre anni, figlie di Maurice e dell’attrice Mae Altschuk – ma anche lei usa il cognome “d’arte” Costello – al loro debutto sul grande schermo. Dolores e Helene diventano in pochissimo tempo due famosissime attrici bambine sia al cinema che a Broadway. Dolores fa una grande carriera, è soprannominata “The Goddess of the Silent Screen”. Sul set di The Sea Beast conosce John Barrymore e i due si sposano, anche se i ventitré anni di differenza tra i due sono motivo di scandalo. E così Dolores entra nella “Royal Family” del teatro americano. Per la “dea del cinema muto” il passaggio al sonoro è un dramma, anche se recita in alcuni film importanti e nel 1942 Orson Welles la vuole nel ruolo della decana Isabel in The Magnificent Ambersons. La carriera di Helene non è altrettanto ricca di quella della sorella maggiore: dopo i successi come attrice bambina e qualche ruolo importante – è tra i protagonisti di Lights of New York – il mondo del cinema si dimentica di lei, che cade in una triste spirale di dipendenza e scandali.
Nei ruoli di Hermia e Helena recitano Rose Tapley e Julia Swayne Gordon. Rose negli anni successivi viene chiamata “Mother of Movies”, per celebrare una lunga carriera: all’inizio del secolo è apparsa in un film di Edison e poi in The Money Kings, il primo a due rulli, nell’anno di A Midsummer Night’s Dream firma un contratto con la Vitagraph e per questo è considerata la prima attrice del cinema americano.
Naturalmente non può mancare “The Vitagraph Girl”, la bellissima Florence Turner, che interpreta Titania. Anche Florence ha cominciato a teatro come attrice bambina. Poi nel 1907, a ventidue anni, scopre il cinema. Blackton la mette sotto contratto e in pochi anni Florence diventa il volto della casa di produzione: il pubblico va al cinema per vedere la “ragazza della Vitagraph”. Anche se non conosce il suo nome, non dimentica i suoi grandi occhi scuri. La sua paga arriva alla cifra di ventidue dollari a settimana – che è più bassa di quella di Costello – ma la più alta per un’attrice. Florence Lawrence, che invece è “The Biograph Girl”, ne prende venti. Comunque il suo contratto prevede che Florence lavori anche in sartoria.
Nel 1913 Turner si trasferisce a Londra e qui comincia a scrivere e dirigere i film di cui è protagonista. Fonda anche la sua casa di produzione, la Turner Films. Durante la prima guerra mondiale si esibisce per le truppe e dopo l’armistizio torna in America. Ma il cinema sta cambiando e la sua stella si sta affievolendo. Negli anni Trenta Louis B. Mayer la mette sotto contratto per la Metro, ma si tratta di una sorta di pensione: recita in alcuni film, come comparsa o in piccoli ruoli non accreditati. Quel contratto è però il riconoscimento per una delle artiste che hanno fatto nascere il cinema.
La seconda première
Il 30 ottobre 1935 Florence, ormai dimenticata, è tra il pubblico che assiste alla première di A Midsummer Night’s Dream, il nuovo film prodotto dalla Warner Brothers. Sono passati solo ventisei anni da quello della Vitagraph, anche se sembrano molti di più. Il cinema ha fatto incredibili progressi. Non è più il pioneristico esperimento di alcuni artisti visionari, adesso è un’industria, una delle più importanti del paese. E non si fa più a New York e nelle altre città della East Coast, ma a Hollywood. E anche il mondo è molto cambiato. È come se le speranze del secolo nascente fossero naufragate insieme al Titanic. C’è stata la prima guerra mondiale, in Europa sono finiti i grandi imperi e sotto la cenere di quelle macerie sta covando un nuovo incendio.
Le vicende personali del regista Max Reinhardt raccontano proprio questa storia. È nato nel 1873 a Baden, a pochi chilometri da Vienna, da una ricca famiglia di origine ebraica. Il giovane Max capisce molto presto che il lavoro in banca non fa per lui, perché la sua passione è il teatro. Ama recitare, poi comincia a scrivere, si trasferisce a Berlino e qui diventa regista. In pochi anni questo genio innovatore rifonda il teatro tedesco. Nel 1905 è il direttore del Deutsches Theater e, accanto ai classici tedeschi, alle tragedie greche e a Shakespeare – di cui è uno dei grandi interpreti del Novecento – mette in scena assolute novità, come Spettri di Ibsen, chiedendo a un giovane pittore, Edvard Munch, di disegnare le scene. Reinhardt è uno degli artisti della Repubblica di Weimar, uno degli uomini di cultura che fa della Berlino tra le due guerre una sorta di “nuova Atene”. Nel 1924 mette in scena la versione tedesca di Sei personaggi in cerca d’autore, perché sente che quel gentiluomo italiano sta, come lui, creando un teatro nuovo. Come fanno i suoi amici Brecht e Weill. Max in questi anni scopre anche il cinema e dirige alcuni film.
Ma quel mondo balla sull’orlo della catastrofe: Reinhardt è ebreo, ma soprattutto è un uomo di sinistra, è un rivoluzionario, e il nuovo potere che si sta affermando in Germania non tollera quelli come lui. Nel 1933 si trasferisce in Austria, dove ha fondato nel 1918 il Festival di Salisburgo, spera di poter continuare a fare teatro, ma anche il suo paese diventa ostile e fugge negli Stati Uniti. Qui i produttori della Warner gli propongono di girare un film e Max pensa immediatamente a una nuova versione di A Midsummer Night’s Dream. È un testo che ama moltissimo e che ha messo in scena diverse volte. Nel 1905 è stato il suo primo grande successo: proprio in quell’occasione per la prima volta in un teatro è stato usato un palco girevole. E poi quel testo gli permette di usare la musica e il balletto, come ha fatto il 31 maggio 1931 in una storica messa in scena al Giardino dei Boboli, con le musiche composte da Felix Mendelssohn Bartholdy, con Eva Maltagliati nel ruolo di Titania.
Reinhardt non parla inglese, ma per fortuna da alcuni anni vive a Hollywood un suo giovane amico, William Dieterle, che ha recitato per lui a Berlino e ha diretto alcuni film in Germania. Ma anche lui è dovuto fuggire e da un paio d’anni lavora per la Warner. I produttori danno a Reinhardt carta bianca e lui pensa di realizzare al cinema lo spettacolo che aveva messo in scena a Firenze. Il giovane compositore Erich Wolfgang Korngold, anche lui austriaco di origine ebraiche, viene chiamato per orchestrare le musiche di Mendelssohn Bartholdy, mentre Bronislava Nijinska, la grande ballerina che ha debuttato con i Ballets russes, viene ingaggiata come coreografa.
Questo è il primo e unico film americano di Reinhardt, che preferisce dedicarsi all’insegnamento: fonda un’accademia teatrale e cinematografica. Gli altri diventano invece nomi noti a Hollywood. Dieterle è uno dei grandi artigiani dell’industria del cinema, dirige film, tra cui – uno dei suoi migliori – The Hunchback of Notre Dame del 1939 con il grande Charles Laughton e la sensuale Maureen O’Hara. Nel 1950 dirige un’intensa Anna Magnani in Vulcano. Korngold alla fine degli anni Trenta vince due Oscar, per le colonne sonore di Anthony Adverse e The Adventures of Robin Hood. Anche Nijinska si dedica all’insegnamento: molte ballerine di Hollywood vengono dalla sua scuola, compresa Cyd Charisse.
Per quel cast la Warner vuole mettere in campo gli attori migliori che ha sotto contratto. A Dick Powell non entusiasma affatto la proposta di interpretare Lisandro, ma non può rifiutarsi. Vorrebbe uscire dall’immagine del bravo ragazzo, dell’eroe romantico che Hollywood ha costruito per lui, ma è bello, sa cantare: è il ragazzo che le mamme vorrebbero come fidanzato per le loro figlie. Solo a metà degli anni Quaranta arriverà la svolta per la sua carriera, con It Happened Tomorrow di René Clair e soprattutto Murder, My Sweet di Edward Dmytryk, in cui interpreta Philip Marlowe, il primo di una lunga serie di attori a dare il volto al detective creato da Chandler. E così il bravo ragazzo dell’Arkansas diventa un duro dei noir.
Invece sembra un azzardo la scelta di affidare a James Cagney il ruolo di Bottom. È uno degli attori più noti della Warner, un nome spendibile al botteghino, ma non per una commedia, per di più di Shakespeare: James ha la faccia da gangster, è Tom Powers di The Public Enemy, il duro che schiaccia un pompelmo in faccia alla sua ragazza. Ma James è un attore che ha sulle spalle, nonostante la giovane età, una lunga gavetta, è un ottimo ballerino di tip tap, ha recitato nel vaudeville, sa destreggiarsi tra i generi. A Midsummer Night’s Dream sarà l’unico titolo shakespeariano della sua lunga e fortunata carriera, ma certamente una sfida vinta.
Vanno ricordati anche i nomi degli altri attori che formano la compagnia degli artigiani: Frank McHugh, Dewey Robinson, Hugh Herbert, Otis Harlan e Joe E. Brown. Sono tutti eccellenti caratteristi, facce e voci note agli amanti del cinema – Otis è Gongolo nel classico Disney – almeno quanto sono sconosciuti i loro nomi. Un accenno in più lo merita Brown, che nel film interpreta Flute. E lui sapete davvero tutti che faccia ha, perché nel 1959 Billy Wilder – un altro degli uomini fuggiti dalla natia Europa che hanno creato il grande cinema americano – gli affida la parte di Osgood Fielding II e la più memorabile – e citata – battuta finale di un film.
L’azzardo di Puck
Come detto, la Warner sceglie tutti gli attori tra quelli che ha sotto contratto, come la bionda e dolce Anita Louise per il ruolo di Titania, tranne una debuttante per il ruolo di Hermia. Una collaboratrice di Reinhardt ha notato questa ragazza interpretare il ruolo in una compagnia di Saratoga. Ha grandi occhi scuri. Prendono informazioni su di lei: è di origini inglesi, anche se è nata a Tokyo, ma vive da tempo in California, insieme alla madre e alla sorella, dopo che il padre, un avvocato specializzato in brevetti, ha abbandonato la famiglia. Lì in America ha cominciato a recitare. E dicono sia brava, anche se la ragazza vuole fare l’insegnante. Reinhardt e Dieterle pensano sia perfetta e così la Warner la mette sotto contratto per duecento dollari alla settimana. Quello di Olivia de Havilland è uno dei debutti più fragorosi di Hollywood.
Poi serve Puck. Nessuno degli attori bambini della Warner sembra soddisfare le esigenti richieste di Reinhardt. C’è questo ragazzino che viene da New York, ha debuttato a due anni nel vaudeville, esibendosi con il padre. Poi è arrivato a Hollywood e ha ottenuto la parte di Mickey McGuire – un personaggio dei fumetti ideato dal cartoonist Fontaine Fox – e l’ha interpretato in ben settantotto cortometraggi, dai sette ai tredici anni. Si è così identificato nel personaggio da scegliere come nome d’arte Mickey. Max Reinhardt capisce subito che quel Mickey Rooney è perfetto per interpretare Puck. Ma quando Mickey, andando in slittino, si rompe una gamba, i produttori non sanno cosa fare, metà film è già girato e non possono aspettare che il ragazzino guarisca. E così grazie a una controfigura e a parecchi trucchi, tra cui buchi ricavati nelle scene per nascondere la gamba ingessata e abbondanti dosi di foglie per celare quello che non deve essere visto, si riesce a terminate. Rooney dirà che Jack Warner era così furioso da minacciare di ucciderlo e poi di spezzargli l’altra gamba.
Il film si rivela un disastro al botteghino. Molti cinema decidono di non proiettarlo nemmeno. Non si capisce che roba sia. È una commedia? Ma il pubblico davvero può ridere con Shakespeare? È un film d’amore? Non si capisce. Meglio non rischiare. Anche i critici non sono particolarmente entusiasti. Ed effettivamente lo stile di Reinhardt è troppo moderno per i canoni dell’epoca.
Devono passare sessantaquattro anni prima che negli Stati Uniti venga prodotto un nuovo film tratto dalla commedia di Shakespeare. Nel frattempo ce ne sono stati uno cecoslovacco, un paio inglesi – entrambi con Helen Mirren, una volta Hermia e l’altra Titania – uno francese. Per tacere delle riduzioni, delle citazioni, delle parodie. Credo meriti ricordare che nel 1964 la BBC ha trasmesso uno speciale in cui quattro giovani e irriverenti musicisti hanno rappresentato la scena I dell’atto V della commedia: Paul come Piramo, John come Tisbe, George come il Chiaro di luna e Ringo come il Leone.
La terza difficile volta
L’ultimo A Midsummer Night’s Dream esce il 14 maggio 1999, un secolo dopo quello della Vitagraph. Certo anche il modo di fare film è cambiato, le tecnologie sono sempre più presenti – a volte troppo – ma, a pensarci bene non come nei ventisei anni tra i primi due di cui ho parlato. Il mondo invece è cambiato. Molto. Nel frattempo c’è stata un’altra guerra mondiale, e poi la cosiddetta “guerra fredda” e infine il 1989. È sparita l’Unione Sovietica. E ormai Titanic è solo un film, anzi il film – insieme a Ben Hur – che ha vinto il maggior numero di Oscar: ben undici.
È Michael Hoffman il regista che, poco più che quarantenne, accetta la sfida di riportare sullo schermo la commedia di Shakespeare, ambientandola in una Toscana immaginaria – e molto british – di fine Ottocento, in cui alle note di Mendelssohn Bartholdy si mescolano quelle di Giuseppe Verdi. I suoi film precedenti sono andati bene, ma non sono certo incredibili successi: Promised Land, Some Girls, Soapdish – il mio preferito tra questi, il più originale – Restoration, One Fine Day. E credo che A Midsummer Night’s Dream sia il suo migliore, ma d’altra parte con uno sceneggiatore come William Shakespeare è difficile sbagliare.
E grande merito va agli interpreti. Il cast è certamente la cosa migliore di questo film. La scelta di far interpretare a Stanley Tucci il ruolo di Puck è certo la più geniale. Perché Stanley è bravissimo e soprattutto perché ha una quarantina d’anni, è più o meno coetaneo di Oberon e Titania e certamente più vecchio dei giovani innamorati che si perdono nel bosco. Di conseguenza il suo Puck non è solo dispettoso, è anche a suo modo saggio, è un folletto che ha una certa esperienza delle cose del mondo e ne ha già viste parecchie. Osserva le vittime dei suoi incantesimi, specialmente i ragazzi, con un’aria benevola, quasi paterna, e anche disincantata. Come se sapesse che quelle loro parole, quei vaneggiamenti amorosi, non sono davvero causati dalla sua magia, ma da loro stessi. Puck è un mago che non crede più alle sue magie, ma lascia che ci credano gli altri.
E certo non serve una magia perché Bottom si innamori di Titania. Chi non cadrebbe ai piedi di Isabeau D’Anjou, di Marie de Tourvel, di Susie Diamond, di Catwoman, diventate la splendente Regina delle fate? E forse neppure serve un incantesimo per ricambiare l’amore di Kevin Kline, che rimane affascinante, anche con le orecchie d’asino, perché sono i versi che ci fanno innamorare. E Otto West, che oltre a essere un truffatore, è uno dei migliori interpreti shakespeariani della sua generazione, lo sa bene.
Quello di Hoffman non è l’ultimo dei cinematografici sogni shakespeariani. C’è anche un cartone animato in cui i giovani innamorati sono Topolino, Paperino, Minnie e Paperina. E Pippo è Bottom. Poi c’è un film del 2017 ambientato a Los Angeles. con la cantante Mia Doi Todd nel ruolo di Titania.
Arriverà al cinema un nuovo A Midsummer Night’s Dream? Certo, perché Shakespeare è immortale e perché tonerà sempre il solstizio d’estate, la magica notte in cui tutto può succedere.
Nella foto di apertura, la versione Vitagraph del Sogno
- Luca Billi ha pubblicato il romanzo Anything Goes (Villaggio Maori Edizioni), selezionato nella cinquina dei migliori libri musicali dell’anno dal premio CartaCanta
Credit: Vitagraph Set (1917) by www.brevestoriadelcinema.org is marked with Public Domain Mark 1.0.