Potrebbe anche essere vero che i luoghi comuni rispondano alla verità dei fatti e a quella dei luoghi fisici. E forse a Milano Il grande gioco – è il nome della serie di Sky sul calcio e sul giro d’affari miliardario che ne deriva – si pratica davvero quasi esclusivamente ai piani alti dei nuovi e archistellati grattacieli meneghini.
Lassù si svolgono i faccia a faccia, nascono le liti e le intese, si scambiano strette di mano e cianchette tra procuratori e kingmaker del mercato – russi feroci contro italiani cattivi meno l’outsider che parte radiato ma è un Lone Ranger in cerca di riscatto… Meglio arricchirsi e fottersi a un passo dal cielo, con lo champagne in mano e i piedi a sciaguattare in piscinetta, sulle terrazze e negli attici prospicienti al neoquadrilatero di piazza Gae Aulenti o al modaiolo campo aperto attorno alla Fiera vecchia.
La metafora nascosta nel luogo comune dello skyscraper è chiara: tutto si svolge in alto, ai piani alti, e si decide ben al di sopra alle nostre teste di umili tifosi che stanno andando allo stadio con la Gazza arrotolata sotto il braccio e la maglietta tarocca. Il grande assente tra i grattacieli, inquadrato solo al buio e abbastanza al volo è il già mitico Bosco Verticale, ma forse ciò accade perché non si è voluto pagarne i diritti di riproduzione o perché alla fin fine risulta bruttocchio, inversamente rampante al suo creatore.
Certo, i giornalisti dentro e fuori la serie fingono di essere dalla nostra parte ma poi ci raccontano solo i segreti di Pulcinella. Tra i periodisti veri di Sky che si mescolano ai personaggi d’invenzione, partecipando “as himself”, spicca Gianluca Di Marzio che ha tutti gli scoop sui trasferimenti e però pronuncia in modo orribile Paris St. Germàn – forse apposta, forse all’argentina, forse proprio a cazzo. Mentre i figli degli dei, cioè i calciatori, si riassumono nella parabola di un bomber (finto), capriccioso ma molto conteso, però poi forse no, il macho Carlos Quintana: degradato ormai da calciatore a influencer che qualche volta gioca a calcio – la fine distinzione appartiene al Lone Ranger Corso Manni, il corrucciato Francesco Montanari – Quintana è per caratteristiche tecniche disegnato su Mauro Icardi, “un finalizzatore che però non fa gioco per gli altri, nessuno dei quali in campionato finisce mai in doppia cifra” e che, tra parentesi, non fa un passo senza l’assenso della fidanzata (un’altra Wanda?).
Il tono della serie è reboante e agiografico e, più che alle meschinità di un cda della Juventus, pare ispirato alle pagine farlocche e dorate dei finanzieri da romanzo del sussiegoso Guido Maria Brera. Esempio: tra le squadre vere, oltre alla Samp, compare il Milan, dipinto come una società manageriale ipermoderna, più desiderabile (da Quintana e soci, boom!) del Paris St. Germàn, appunto, e dei due Manchester. Le misere magie nere del culto “piolista” sono solennemente ignorate.
Il grande gioco è una serie Sky in 8 episodi ideata da Tommaso Capolicchio, Giacomo Durzi, Filippo Kalomenidis, Marcello Olivieri e diretta da Fabio Resinaro e Nico Marzano
Tra i luoghi comuni milanesi che potrebbero anche essere veri, annoto la vicenda laterale del calciatorino ribelle, Antonio Lagioia, orfano dai piedi buoni di Quarto Oggiaro il quale quartiere è descritto in un flash come un girone dell’inferno popolato da bande motorizzate di rapper e da automobilisti che si scontrano in stile Gioventù bruciata.
Ma finora abbiamo parlato di quisquilie nel mentre che Il grande gioco è in essenza, come sovente nel caso delle serie, un dramma famigliare (avete presente Succession?). Il plot si regge su ascesa e declino della famiglia De Gregorio a capo della mitica ISG a un certo punto scalata dal russo Kirillov – il padre padrone Dino De Gregorio alias Giancarlo Giannini ha la concorrenza in casa organizzata da un figlio maschio imbelle e dalla figlia/squalo che Dino stesso ha cresciuto a sua immagine e somiglianza, la quale figlia ha poi diviso burrascosamente il letto con Corso Manni, prima che questi venisse infangato e privato del tesserino da procuratore… Ecco, Corso, proprio lui: vendicatore in Porsche nera vintage, ce la farà a riprendersi il posto nel mondo che ama? E insieme a rimettere a posto tutti i tasselli, cioè uno per uno i suoi calciatori nei club migliori? Ma sì, vedrete… La sorpresa vera è che il finale ha una spiega psicologica freudiana, che ci porta davvero a fare i complimenti agli sceneggiatori della serie, tra cui spicca Tommaso Capolicchio (figlio dell’indimenticabile Lino).
Altra certezza. Non mi è parso che ci siano sponsor di rete telefonica ma tutti hanno l’iPhone e la gran parte dell’intrigo si gioca sul bzzz bzzz bzzz degli smartphone tenuti bassi. La quinta puntata, per esempio, pare girata in un alveare.
Il tutto da un’idea di Alessandro Roja, attore e guarda caso genero del “Fettina” Ranieri.