Bernard nasce a New York il 3 giugno 1925. I genitori, Emanuel ed Helen, sono ebrei ungheresi. Il padre fa il sarto e la famiglia, a cui presto si aggiungono altri due bambini, vive nel retro della sua piccola bottega del Bronx. In casa si parla solo in magiaro e fino a sei anni Bernard non conosce una parola di inglese. Sono poverissimi, per un periodo i genitori lasciano i figli in un orfanotrofio. A dieci anni Bernard, che ha smesso di andare a scuola, è un teppista che insieme alla sua banda commette furti nei negozi di quartiere. La madre e uno dei fratelli, Robert, soffrono di schizofrenia, l’altro fratello Julius muore investito da un camion, il destino di Bernard sembra segnato, ma un vicino di casa lo toglie dalla strada e lo manda negli scout. La disciplina imposta in quel campo raddrizza il ragazzo, che riesce a diplomarsi.
Roger nasce a Londra, nel quartiere popolare di Stockwell, il 14 ottobre 1927. Il padre George è un poliziotto e la madre Lilian una casalinga. Come altri ragazzi durante la guerra lascia Londra, frequenta le scuole prima a Devon e poi in Cornovaglia, dove si diploma.
Dopo Pearl Harbor, Bernard si arruola in marina. Viene imbarcato sul sottomarino USS Proteus e ci rimane fino alla fine della guerra con il grado di segnalatore di terza classe. Dal ponte della sua nave, ancorata nella baia di Tokyo, assiste il 2 settembre 1945 alla resa del Giappone. Congedato, grazie agli aiuti per i veterani, si iscrive al City College di New York e studia recitazione alla New School del Greenwich Village, diretta dal regista Erwin Piscator. Quell’anno insieme a lui ci sono Harry Belafonte, Walter Matthau, Rod Steiger e due ragazze che diventeranno regine di Broadway, Elaine Stritch e Beatrice Arthur. È qui che lo nota Joyce Selznick, il nipote di David e uno dei suoi principali talent scout: capisce che quel ragazzo può fare cinema.
Dopo il diploma, Roger viene assunto come apprendista in uno studio di animazione, è bravo a disegnare, ma non ha la pazienza di applicarsi a quel lavoro metodico. A causa dei troppi errori viene licenziato. Nel 1945 il padre George deve indagare su un furto a casa del regista Brian Desmond Hurst: coglie l’occasione per parlargli di suo figlio che sta cercando lavoro. Hurst, che sta collaborando alla produzione di Caesar and Cleopatra, il film di Gabriel Pascal con la grande Vivien Leigh e Claude Rains, lo assume come comparsa. Il regista nota che, durante le riprese, le donne che lavorano negli studi sembrano tutte innamorate di quel bel giovane prestante e così decide di pagargli le tasse per frequentare la Royal Academy of Dramatic Art. Nella sua classe ci sono Yootha Joyce, la Mildred di una fortunata serie della BBC della fine degli anni Settanta, e Lois Maxwell, la prima Miss Moneypenny e quella che interpreterà il personaggio in ben quattordici film della serie dedicata al personaggio di Ian Fleming. Roger si dimostra uno studente volonteroso: proprio alla Rada assume il suo caratteristico accento sofisticato. Alla fine della guerra anche Roger viene arruolato: si occupa di organizzare gli spettacoli per le truppe inglesi di stanza ad Amburgo nella Germania occupata.
Nel 1948 il ventitreenne Bernard è a Hollywood, con un contratto con la Universal Pictures, con il nome di Anthony Curtis. L’Universal lo manda a scuola di scherma e di equitazione, anche se quel bel giovane del Bronx sembra più interessato alle ragazze che ruotano attorno agli studios. Per qualche settimana esce con una giovanissima attrice che non sembra proprio riuscire a sfondare a Hollywood e che, come lui, ha avuto un’infanzia complicata, ma tra Bernard e Norma Jean non scocca la scintilla.
Il suo primo film, anche se non è accreditato, è Criss Cross del 1949: balla la rumba insieme a Yvonne de Carlo. In The Lady Gambles, sempre del 1949, recita quattro battute. Il giovane è bravo e l’Universal lo impiega in diversi film. Non si tratta di pellicole memorabili, ma Tony Curtis – come si fa chiamare dal western Kansas Raiders – diventa un volto popolare al cinema. All’Universal ricevono molte lettere di sue fan e così nel 1951 ottiene il primo ruolo da protagonista in The Prince Who Was a Thief, accanto alla splendida Piper Laurie, con cui reciterà anche in altre commedie del genere.
La carriera di Tony è ormai lanciata. Dal 1951 al ’60 interpreta ben ventinove film, quasi tre ogni anno. Nel 1953, sul set di Houdini recita per la prima volta con la moglie Janet Leigh, che ha sposato due anni prima, nonostante l’opposizione degli studios che lo vorrebbe celibe, con cui ha aperto una propria casa di produzione. Poi nel 1956 è il coprotagonista di Trapeze, con Burt Lancaster e Gina Lollobrigida. Con il drammatico The Defiant Ones del 1958, in cui recita accanto a Sidney Poitier, ottiene la sua unica nomination all’Oscar. Ma la commedia è il genere in cui Tony dà il meglio. Nel 1959 è il protagonista in due classici del genere: è la bellissima Josephine di Some Like It Hot, il capolavoro comico di Billy Wilder – dove ritrova “Sugar” Marilyn – e il tenente Holden in Operation Petticoat di Blake Edwards, in cui torna, anche se solo nella finzione, a imbarcarsi, sotto il comando di Cary Grant, in un sottomarino, il più celebre della storia del cinema. Ma l’anno successivo è Antonino in Spartacus di Stanley Kubrick. Tony è ormai una star di Hollywood, una sicurezza al botteghino. Peccato che non arrivi la consacrazione di un Oscar.
Negli anni Sessanta continua a lavorare senza posa, specialmente nelle commedie – ritrova l’amico Jack Lemmon in The Great Race – ma nessuno di quei titoli riesce a eguagliare il successo del decennio precedente. Per non rinchiudersi in questi ruoli brillanti e dimostrare di essere un attore completo, nel 1968 accetta una riduzione di centomila dollari al suo consueto cachet, pur di tornare a un ruolo drammatico, per The Boston Strangler. È un successo di critica, ma il pubblico lo vuole vedere nelle commedie e i produttori, attenti agli incassi, non vogliono deludere gli spettatori.
Congedato dal Combined Services Entertainment con il grado di capitano, Roger Moore torna a Londra. Interpreta piccoli ruoli in alcuni film, senza essere accreditato. In Trottie True lavora con un altro attore alle prime armi, uno un po’ più vecchio di lui che, dopo una bella carriera nell’esercito, ha deciso di recitare, Christopher Lee. Nel 1949 Roger debutta anche in televisione, ma in questi anni soprattutto fa il modello pubblicitario di prodotti di maglieria, tanto che ottiene il soprannome “The Big Knit”, e anche di un dentifricio. Agli inizi degli anni Cinquanta va a Hollywood e la Metro lo mette sotto contratto per sette anni. Il suo primo film negli Stati Uniti è del 1954, The Last Time I Saw Paris, in cui ha il piccolo ruolo di un giovane che corteggia Elizabeth Taylor. Sembra che la sua carriera possa finalmente iniziare, ma dopo il fallimento del film in costume Diane, in cui recita accanto a Lara Turner, la MGM rescinde il contratto dopo soli due anni.
Torna nel Regno Unito e qui ottiene finalmente il suo primo ruolo da protagonista, nelle serie televisiva Ivanhoe. Si tratta di una serie dedicata a un pubblico molto giovane, ma per Roger è il primo vero successo. Non si risparmia nelle tante scene di battaglia: si rompe alcune costole e grazie al suo vero elmo di ferro evita un colpo d’ascia alla testa. I trentanove episodi vanno in onda dal 1958 al ’59. Roger capisce che il suo mezzo è la televisione. Torna negli Stati Uniti e qui viene messo sotto contratto dalla Warner che lo vuole tra i protagonisti della serie western The Alaskans, altri trentasette episodi tra il 1959 e il ’60. La Warner sfrutta il successo e scrittura Roger per la quarta stagione di Maverick, quella in cui non c’è più James Garner nel ruolo del giocatore d’azzardo Bret Maverick. Roger è il cugino Beau, quello dall’accento inglese.
La carriera di Roger è finalmente decollata, ma grazie a The Saint diventa una star. Questa serie va in onda per sei stagioni, dal 1962 al ’69, per centodiciotto episodi. Moore è anche uno dei produttori e dirige nove episodi. Simon Templar, il ladro gentiluomo che, sfuggendo alla polizia, riesce a colpire i “cattivi” quando la giustizia non riesce a farlo, elegante e sofisticato, impenitente seduttore, diventa un personaggio molto popolare e Roger un divo acclamato in tutto il mondo.
Nel 1970 è il protagonista del thriller The Man Who Haunted Himself, una delle sue migliori interpretazioni, in cui finalmente dimostra di non essere solo capace di alzare il sopracciglio.
Dopo il successo di The Saint, i produttori Robert Baker e Lew Grade sono alla ricerca di un’idea per una nuova serie. In una puntata della sesta stagione, Simon Templar per risolvere uno dei suoi casi collabora con un ricco petroliere texano. Pensano che forse mettere insieme due personaggi, un inglese e un americano, entrambi molto ricchi, ma di estrazione completamente diversa, potrebbe funzionare. Poi basta aggiungere qualche ambientazione esclusiva, ad esempio la Costa Azzurra, molte belle ragazze in bikini e qualche auto sportiva e la serie si scrive da sola.
Per la parte dell’aristocratico inglese, educato a Oxford, impenitente playboy ed ex-pilota automobilistico, Roger Moore – di cui da qualche anno si parla come il nuovo Bond – è perfetto, un nome di sicuro richiamo per il pubblico. Baker e Grade non faticano a convincere l’attore, anche perché la telefonata di Broccoli non arriva e sembra probabile che Connery torni a vestire i passi dell’agente segreto con licenza di uccidere, dopo il disastroso esordio di George Lazenby.
È più difficile trovare un attore per il personaggio del petroliere, uno che è nato povero, in un quartiere popolare di New York e che è riuscito a sfondare negli affari, e adesso viaggia per il mondo, godendosi i soldi che ha guadagnato. Serve un attore americano, in modo che la serie abbia mercato anche negli Stati Uniti. Andrebbe bene Rock Hudson, uno dei belli del cinema degli anni Cinquanta e Sessanta, un attore capace a destreggiarsi tra vari generi, ma rifiuta. Glenn Ford potrebbe funzionare, anche se tra lui e Moore ci sono undici anni di differenza; comunque sarebbe un nome di sicuro richiamo, ma non vuole fare televisione. Tony Curtis sa di non essere la prima scelta, ma ha bisogno di lavorare, di qualcosa che lo faccia tornare nel favore del pubblico.
Nella primavera del 1970 cominciano le riprese di The Persuaders!, la serie che in Italia arriverà con il titolo Attenti a quei due. Curtis e Moore discutono a lungo con i produttori e con gli autori della serie: i loro due personaggi, Danny Wilde e Brett Sinclair, devono essere messi sullo stesso piano, a partire dalla sigla di testa. Il pubblico non deve mai avere l’impressione che uno prevalga sull’altro. E proprio quella sigla, grazie alla musica di John Barry, l’autore delle colonne sonore dei più famosi film su James Bond e già vincitore di tre Oscar – saranno in tutto cinque nel corso della carriera – eseguita da un qanun, uno strumento tradizionale arabo, diventa indimenticabile. Sullo schermo appaiono due cartellette, una rossa e una blu, intestate ai due protagonisti con alcune foto che raccontano la loro vita. La foto di Danny bambino è una foto del piccolo Bernard e anche quella del servizio in marina è originale. Il piccolo Brett è invece il figlio di Moore. E poi ritagli di giornali in cui si raccontano le “gesta” dei protagonisti e immagini delle loro auto fiammanti auto sportive e di belle ragazze.
La cornice è piuttosto semplice. All’inizio della serie i due protagonisti ricevono un misterioso invito in Costa Azzurra. Si incontrano e ovviamente non si piacciono, si sfidano in una corsa d’auto, vengono alle mani e quasi distruggono un ristorante. La mattina successiva scoprono che quell’invito è stato inviato dal Giudice Fulton che li mette davanti a una scelta: o collaborano con lui o passeranno novanta giorni in prigione. L’anziano uomo di legge che compare in alcuni altri episodi e diventa inaspettatamente amico dei due giramondo – oltre che il “motore” delle loro avventure – è interpretato da Laurence Naismith, un ottimo caratterista, specializzato nel ruolo del gentiluomo inglese, del medico, del comandante di una nave, ma anche Merlino in Camelot.
Le trame dei ventiquattro episodi della serie sono abbastanza prevedibili nel loro svolgimento, e siamo all’inizio degli anni Settanta, non c’è una particolare attenzione al politicamente corretto: i cattivi hanno la faccia da cattivi, meglio se italiani, latini o orientali, le donne devono essere attraenti e cadere ai piedi dei due protagonisti, le ambientazioni devono far sognare gli spettatori e le auto devono essere veloci. Brett guida una Aston Martin DBS a sei cilindri gialla, con guida a destra, mentre Danny una Ferrari Dino 246 GT, ovviamente rossa, e con guida a sinistra.
L’Italia non ci fa una gran figura: un paese arretrato in cui la mafia impera, con poliziotti corrotti e incompetenti. Siamo più o meno alla celebre copertina di Stern con gli spaghetti e la P38. E così la Rai non trasmette l’episodio con una bellissima Joan Collins, intitolato Five Miles to Midnight – che non viene neppure doppiato – e fa in modo, con un abile lavoro di doppiaggio e gli opportuni tagli in montaggio, che in un altro caso Danny e Brett arrivino in Spagna invece che nel nostro paese.
Ma al di là di tutto, la forza – e la fortuna, che dura tuttora – della serie è tutta nei due personaggi, nei loro continui contrasti, e nella bravura dei loro interpreti. Anche se nel doppiaggio perdiamo il mirabile gioco degli accenti tra l’americano Curtis e l’inglese Moore.
E ci sono molte storie sulle difficoltà sul set per tenere insieme quei due attori, che in qualche modo hanno finito per incarnare i loro personaggi. Il compassato – e molto british – Moore non riesce proprio a sopportare l’imprevedibile Curtis. Una cosa che Roger proprio non tollera è che Tony faccia uso di marijuana durante la lavorazione. Un giorno sulla Croisette Tony, particolarmente “alterato”, tratta malissimo tutti quelli che lavorano sul set e Roger non riesce a trattenersi. Afferra il collega per la giacca e sembra che lo stia per picchiare, poi sbotta: “E pensare che queste labbra una volta hanno baciato Piper Laurie…”. Tutti, compreso Curtis, scoppiano a ridere. E la crisi viene risolta. Molti anni dopo entrambi, ormai vecchi, negheranno i dissidi, ma immagino si tratti della saggezza della vecchiaia.
Le scene tra loro due vengono girate in genere due volte. Nella prima gli attori seguono il copione, mentre nella seconda gli autori lasciano che Roger e Tony improvvisino e in genere questa è sempre quella migliore, perché quei due scafati professionisti trovano in quegli scambi un’incredibile alchimia. Probabilmente si stanno davvero reciprocamente sulle scatole, ma lo fanno come solo loro sono capaci.
- Luca Billi ha pubblicato il romanzo Anything Goes (Villaggio Maori Edizioni), tra i cinque migliori libri musicali dell’anno per il premio CartaCanta. Ora Anything Goes è anche uno spettacolo teatrale, le prossime date qui
Nella foto di apertura, uno screenshot della sigla di Attenti a quei due
Credit: Roger Moore by YorkieBoy is licensed under CC BY-NC 2.0. File:Sir Roger Moore 3.jpg by Allan warren is licensed under CC BY-SA 3.0. Roger Moore in Ivanhoe” by Truus, Bob & Jan too! is licensed under CC BY 2.0. Tony Curtis by twm1340 is licensed under CC BY-SA 2.0. Tony Curtis and Marilyn Monroe by Movie-Fan is licensed under CC BY-NC-SA 2.0.