- Mercoledì 4 gennaio alle 21.15 su Sky Cinema Due, in streaming su NOW, on demand e 4K
Dovendo dopo qualche minuto di proiezione tributare a La figlia oscura un’ascendenza letteraria, sarei andato a frugare fra i vecchi romanzi di Patricia Highsmith (ma quando la riscopriranno davvero?) o addirittura dalle parti di zia Daphne Du Maurier.
Questo per il senso di minaccia, un po’ molto da noir, che incombe subito sulla storia e che più precisamente si addensa su una straniera, quando questa entra in contatto con un gruppo chiuso (geografico o famigliare che sia) solo apparentemente empatico e ospitale…
Be’, qui la straniera è assai prosaicamente una signora americana che va in vacanza in Grecia, nella solita isoletta. Vero, ma a prescindere dal fatto che in un flashforward che fa da esergo al film l’abbiamo vista accasciarsi in riva al mare, tutto sembra destinato a vivere in una fastidiosa e faticosa tensione, a partire dall’accoglienza che le riserva l’affittacamere Lyle, un Ed Harris scolpito di rughe ma troppo untuoso e presuntuoso per essere gentile sul serio.
Neanche lei, Leda (un’aristocratica Olivia Colman), brilla per cordialità. È una cinquantenne di Boston, docente universitaria di letteratura italiana, e ha l’atteggiamento annoiato e un po’ superiore di chi non è abituata a riposarsi e forse anche, secondo il noto cliché, di chi dal nord si reca a sud.
Parte bene The Lost Daughter, primo film da regista di Maggie Gyllenhaal, che è un efficace “riarrangiamento” de La figlia oscura di Elena Ferrante (E/O, 2006), definito da Gyllenhaal un romanzo “totally, shockingly honest”.
Il “riarrangiamento” è consistito nell’accrescere di enfasi emotiva gli eventi del testo d’origine, che è invece secco come un caso clinico e, nel suo svolgimento, affida la protagonista a una sorta di svelamento psicoanalitico. I cambiamenti geografici risultano accessori (inizialmente si doveva girare in New Jersey): nel romanzo, Leda è un’insegnante italiana di inglese, che si concede una (poco esotica) vacanza sulla costa ionica nel momento in cui la famiglia, con apparente sollievo, non è più a suo carico e lei può disporre a piacere del suo tempo e della sua esistenza…
Ferrante, che ha collaborato via mail con Gyllenhall, si è complimentata: “Ero preparata, devo dire, all’idea che, di fronte alla materia nuda del racconto – non la gioia, ma il peso della maternità nella vita di una donna – Maggie si sarebbe spaventata e avrebbe accantonato il progetto. Invece no…”.
Ecco il tema. Leda si trova molto presto a osservare con partecipazione le mosse di una mamma, Nina (Dakota Johnson), giovane e casinista. E quando la figlia di lei scompare è proprio Leda che la ritrova e compie poi un inspiegabile (sul momento) gesto infantile: ruba una bambola della bambina.
Scopriremo che Leda sconta un peccato con le sue, di figlie, non appena il film si apre su generosi (e riusciti) flashback, che ne raccontano la brillante vita di college. A interpretare Leda ragazza, precoce sposa e mamma in difficoltà di due creature, è una umorale Jessie Buckley. Che non riesce a mettere insieme vita di famiglia e ambizioni professionali. Infatti. Quando incontra il professor Hardy (Peter Saarsgard), un docente barbuto come un guru e vanitoso come una scimmia, lascia che lui le rovini la vita con nonchalance, proprio mentre lei crede di poter dire (come nel romanzo di Ferrante): “Ho lasciato mio marito e le mie figlie in un momento in cui ero sicura di averne il diritto, di essere nel giusto…».
È interessante notare che Gyllenhaal, prima di trovare difficoltà produttive, avrebbe voluto girare I giorni dell’abbandono (“basically a perfect book”), già portato sullo schermo da Roberto Faenza: un titolo, come La figlia oscura, della Ferrante più problematica e dolorosa, precedente la saga fortunata anche Oltreoceano de L’amica geniale.
Prima di augurarvi buona visione aggiungo che tutti i maschi della storia sono ambigui e vagamente predatori, a cominciare dal marito violento di Nina e dal suo amante senz’arte né parte. E che tra cotante interpreti (Colman si sa, Buckley era candidata all’Oscar come non protagonista) appare in un cameo Alba Rorwacher per invitare alla libertà Leda (neanche fosse il viaggiatore all’inizio di Morte a Venezia) stregheggiando e facendo gli occhi da pazza.