Negli anni dell’agonia, i registi battono ciak pro domo loro, quasi in difesa della loro arte minacciata dalle sale disertate. Giovani e anziani che siano, snocciolano odi al cinema che è e al cinema che fu. Steven Spielberg con The Fabelmans ha raccontato con delicatezza la sua cine educazione, ed enunciato, rivendicandola, l’alterità dello sguardo di chi porta l’occhio all’obbiettivo.
Costui vede una realtà diversa, arricchita in quanto disvelatrice – non sfugge all’inquadratura del bambino aspirante regista che mamma tradisce papà – e reinventabile al montaggio, facendo apparire buoni i cattivi o viceversa – vedi il prepotente del college che, grazie alla cara vecchia pellicola, da stronzo si tramuta per qualche fotogramma in nobile eroe sportivo. Nonostante la commozione di critici e pubblico, in Italia The Fabelmans è fermo a 3 milioni di euro d’incasso, dato aggiornato al 12/1, con la buona scusa che Avatar sta oscurando ovunque ogni altro titolo.
Ora invece, il 19 gennaio, esce Babylon – che mi richiama alla mente nel titolo l’efferata Hollywood Babilonia dello storico della celluloide Kenneth Anger (Adelphi) – a firma Damien Chazelle, il più giovane ad aver alzato al cielo un Oscar. Chazelle si butta a piè pari nel survoltato mondo del cinema degli albori – muto e poi rivoluzionato dalle prime parole del sonoro – licenziando un kolossal di tre ore e passa che nei primi venti minuti di sfrenato party con molta droga e sesso, psico miliardari ed elefanti con la diarrea, divi improbabili e tanti pittoreschi imbucati in cerca di fama (tra cui la deliziosa Margot Robbie), fa apparire moscie le feste di Jay Gatsby allestite da Baz Luhrmann.
Mentre Spielberg passa per un nonno gentile – ma in fondo anche lui ha preso a pugni la storia del cinema ai tempi di Indiana Jones – Chazelle scalcia e non si capisce soltanto perché stabilisca che il cinema come meraviglioso world apart di magnifiche sfide e carriere ruspanti ed esagerate si chiuda così presto, appena dopo che si pronunciano i primi I love you – spiegazione possibile: forse perché l’industria uccide il vitale e amorale casino cui assistiamo divertiti in Babylon contando una valanga di ammicchi e citazioni, più o meno criptici, più o meno spettacolari? Al botteghino, in USA, Babylon è però partito fiacco per un film che deve riprendersi indietro almeno 200 milioni di dollari…
All’uscita dei due film, ero vagamente stordito, e ho ricontato sulle dita di una mano i cinema rimasti aperti a Milano. Ho riflettuto pure sul fatto che devono resistere le grandi sale avveniristiche accanto ai virtuosi cineclub perché se Spielberg per una volta si può anche vedere in intimità, il casinista e megalomane Chazelle, per rovinarne l’impatto, basta chiuderlo in uno schermo piccolo tipo tv.
Per farmi forza, ho acquistato il libro di cinema del momento, La formula perfetta. Una storia di Hollywood (Adelphi), raccolta di scritti del famoso critico cinematografico David Thomson. Sulla cover, c’è la locandina di Chinatown, storia losangelena quant’altra mai, quasi a dire che Jack, be’ sì, alla fine deve lasciar perdere, ma in fondo, anche riguardo a Hollywood, ha capito tutto. Torneremo sul libro.