David Crosby a Milano, nel settembre 2019, concedeva generosamente dal vivo il suo storico repertorio, con qualche sorpresa per la doppietta finale degli encore: Ohio e Almost Cut My Hair, cioè un bis duro per dire di una doppia irriducibilità, politica (la canzone di Young contro la repressione di Nixon) e personale, proclamata con orgoglio, quasi non fossero appassite la vecchia rabbia e il sarcasmo, il desiderio di rivolta e la fede nell’utopia.
Torniamo a quelle due “canzoni simboliche” che solo per il timing non furono eseguite a Woodstock – sono del 1970 – poiché con l’ultimo album, For Free (BMG), Crosby ne aveva aggiunta una terza, il brano del titolo, per ribadire il suo status di genio (della lampada) e di uomo sandwich di un’indimenticabile stagione di musica Usa.
For Free, rifatta con Sarah Jarosz, la conosciamo bene. Appartiene alla tracklist di Blue, il capolavoro di Miss Joni Mitchell uscito nel giugno del 1971 (tre mesi dopo If I Could Only Remember My Name che rimase per 18 anni l’unico solo di Crosby!) e da sempre cult per il piccolo grande uomo dai baffi tristi – una volta ha detto (a Uncut) che è il suo disco preferito di sempre, insieme a qualcosa di Miles Davis.
Spiegava Crosby: “Amo For Free per ciò che dice sullo spirito della musica e su ciò che ti spinge a suonare”. E che cosa dice? Semplice. Che la musica è una cosa dell’anima, gratuita in ogni senso, che non si fa per soldi e per applausi: la musica si incarna nell’immagine del clarinettista che – sarà cocciutaggine o sarà fede nell’armonia – suona per la strada prima ignorato da tutti e poi scoperto da chi sa ascoltare. Ma sì. Snob Crosby, scomparso il 19 gennaio a 81 anni; snob l’affascinante Miss Joni di ieri e di oggi. Ma non sarebbe poi davvero meglio un mondo che “suona” così?
Le foto sono di Marco Moro, prese di fortuna a un concerto milanese con Nash (prima di quale litigio?). Instagram: marcomoro_photography