È il 15 maggio 1860: a Calatafimi il sole tramonta su mille camicie rosse vittoriose. L’esercito borbonico è in rotta, la strada per Palermo aperta e tuttavia Garibaldi indugia nell’inseguire gli sconfitti. “Perché temeva un’imboscata del nemico” diranno quelli che hanno studiato storia o sbirciato Wikipedia. La verità è un’altra: l’eroe dei due mondi è bloccato da un esercito di morti viventi.
Trovate la shockante rivelazione in Garibaldi vs Zombies (Emmetre Edizioni), fumetto scritto da Andrea Guglielmino e disegnato da Fabrizio De Fabritiis. Un’opera nata sostanzialmente con la formula del crowdfunding che fino a oggi è stata un po’ difficile da reperire. Non tanto perché qualcuno era intenzionato a nasconderci come il “Risorgimento” fosse anche quello dei corpi, ma soprattutto per l’irresistibile copertina di Alberto Dal Lago con Garibaldi e Bixio circondati da ondate di famelici non morti. Un richiamo sanguinolento per me e per qualsiasi nerd cresciuto con gli epigoni di Romero, e che si è trasformato in un successo due volte esaurito in pre-ordine. In totale 1.000 copie vendute, un numero di tutto rispetto per questo mercato, destinato ad aumentare visto che è di nuovo disponibile sul sito dell’editore e che nel suo futuro vede la fumetteria.
Vi confesso che, con queste premesse, per un attimo ho pensato di farne anche una recensione seria. In fondo gli zombi moderni da L’Alba dei Morti Viventi a I morti non muoiono di Jim Jarmusch sono una consacrata parodia della società consumistica. E quindi quale recondito significato ci sarà se “si scoprono le tombe e si levano i morti” ma a risorgere non sono i “martiri nostri”, ma i loro: quelli che 150 anni di retorica ci hanno dipinto come i nemici dell’Unità d’Italia? Quale sottotesto si nasconde in un Garibaldi nerboruto che spacca vigorosamente crani di non morti? Un vagito neoborbonico? Un velato riferimento a un amor patrio che si sta decomponendo? Perché è chiaro: se sei morsicato da uno zombi, non è così sicuro che sia ancora valido il motto tornato di moda: “Qui o si fa o l’Italia o si muore”. C’è anche un’altra opzione… e non è per niente gradevole.
In ogni caso a pagina 12 vi sarà piuttosto chiaro che forse dovrete cercare riferimenti culturali un po’ meno complessi: diciamo che l’apertura della vicenda con tavole spettacolari che ci immergono nella battaglia si muove dalle parti del crossover tra storia e intrattenimento, come dichiara anche l’introduzione di Andrea Cavalletto, citando come modelli Orgoglio e Pregiudizio e Zombie e Abramo Lincoln in La leggenda del cacciatore di vampiri.
Arrivati a pagina 18 forse anche questi presupposti vi appariranno un po’ troppo pretenziosi: siamo più dalle parti di Deadpool, con tanto di sfondamento della quarta parete, ma al contrario rispetto a quanto fa il dissacrante eroe Marvel. Qui è il mondo esterno che si proietta nella vicenda, con una linea di dialogo tra le voci di due spettatori. I commenti ricordano molto le obiezioni di mia moglie mentre cerco di convincerla a vedere Il ritorno dei pomodori assassini spacciandolo per un capolavoro.
A pagina 25 c’è l’entrata in scena di uno scienziato pazzo con tanto di servo deforme e occhialini steampunk. A quel punto penserete che ormai mancano solo gli alieni: ed è proprio allora che arrivano i dischi volanti. Quando in un duello a spade laser Garibaldi esclama “è finita, sono più in alto di te”, il vostro Cervello starà telefonando a un istituto di ricerca di Pavia per farsi donare alla scienza.
Perché la verità è che Garibaldi vs Zombies è tamarrissimo.
Con qualche neurone rimasto mi sono chiesto se fosse davvero il caso di proporlo ad Allonsanfàn. Davvero accetteranno di far convivere, nello stesso indice, una recensione su Joan Didion e la rivelazione che le spoglie di Anita Garibaldi non riposano al Gianicolo? (spoiler: NON riposano proprio!). Poi ho avuto un’illuminazione, o quanto meno un’idea con cui far finta di darmi un tono.
Lo stile Tamarro non ha l’involontarietà imbarazzante del trash e nemmeno l’inadeguatezza contestuale del kitsch. È vero che sfrutta queste sofisticate categorie estetiche, ma solo come base per costruire qualcosa di unico attraverso strati sovrabbondanti di significati. L’arte tamarra è la sola capace di mettere in relazione contesti differenti fino all’eccesso.
Un esempio: comprate un’Alfa Arna del 1983 convinti che sia una prestigiosa auto d’epoca: siete trash. Ci mettete i coprisedili di pelo di Hello Kitty: diventate kitsch. Ma se la modificate con le portiere ad ala di gabbiano della DeLorean di Ritorno al Futuro (che poi in effetti un po’ alla Arna ci somiglia), l’iperpropulsione del Millenium Falcon e i sub woofer recuperati da un palco dei Pooh, siete dei meravigliosi tamarri.
Il trash è rivalutare ciò che già esiste, ma, di norma, non vuole nessuno. Il kitsch è un misto di meraviglia e disgusto. Ma l’essenza del tamarro è sorprendere sempre con nuovi particolari che non ti aspetti. Entri nella Arna-DeLorean e scopri che diventa un Transformer rosa ispirato a Gundam. Ci vuole del genio ed è così che Tamarro ha da tempo smesso di avere un significato negativo: Tamarro is new Nerd.
Basterebbe questo a nobilitare l’opera di Guglielmino/De Fabritiis, ma aggiungiamo anche che avrete tra le mani un ottimo prodotto grafico, in cui è possibile vedere ben delineato lo stile preciso in cui la Emmetre edizioni sta forgiando una fucina di autori (si veda la serie altrettanto tamarra di Guardiani Italiani). Alla base c’è il solido tratto della tradizione bonelliana che però si arricchisce di particolari e del dinamismo tipico del fumetto supereoistico USA. E visto che c’è un’attenzione tutta nostrana per l’architettura e la storia patria si può ben dire che, forse, sta nascendo qualcosa destinato a creare una riconoscibile corrente fumettistica.
Quindi, se vi piace il genere “tamarro estremo”, ora potete fare due cose: aspettare che escano i sequel annunciati dai coming soon in fondo al volume (Garibaldi Vs Frankenstein, Nino Bixio Cacciatore di Vampiri e un Giuseppe Mazzini Lupo Mannaro Italiano a Nizza), oppure cambiare completamente contesto e tuffarvi nell’altrettanto geniale Mecha Guevara di Andrea Tridico (ed. ManFont, 2018), dove l’eroe della rivoluzione cubana viene trasformato in un potentissimo cyborg per sconfiggere una Margaret Thatcher di acciaio organico mutante. Un consiglio, però: se per apprezzare in pieno Garibaldi vs Zombies dovete farvi un ripassino delle Guerre di Indipendenza, qui vi tocca almeno una rilettura de Il Capitale. È da un pezzo che tamarro non vuol dire più ignorante.