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L’animale della foresta. Calasso nella tana di Kafka

Si può leggere Franz Kafka (18831924) come se fosse un Dino Buzzati praghese assunto dal Corriere – è stato un resistente luogo comune che il giornalista (per lingua e sintassi) Buzzati fosse il Kafka italiano. Oppure si può immaginarlo, Kafka, nei panni fumettistici di un impiegato dell’incubo – ecco un altro cliché -, portandogli la reverenza forzata che si dedica ai maestri dell’horror o agli stakanovisti della sventura. Ma è anche possibile, oggi, ripesare e ripensare il misterioso Kafka frase per frase, ingrandendo le sue parole con la lente dell’intelligenza e della cultura, per comprendere in quale codice illuminante si pone la sua spaventevole chiaroveggenza.

Sceglie questa opzioneingrandire le frasi fino a perderci dentro la testa, fino a stabilizzare le vertigini – il kafkiano Roberto Calasso nel breve e concentrato L’animale della foresta (Adelphi). È uno dei piccoli libri di cui l’editore/scrittore ha deciso l’uscita prima di morire, e non per caso ha scelto di occuparsi dei tre estremi racconti di Kafka.

Sono Ricerche di un cane, Josefine, la cantante o Il popolo dei topi (l’unico che il praghese vide pubblicato in vita), e l’incompiuto La tana, che si ferma a mezzo di una frase ma la cui speculazione deduttiva potrebbe continuare non dico ad libitum, perché sarebbe un paradosso, ma all’infinito.

Da questi testi, sono stati espulsi gli uomini, come fossero un di più indifferente, una specie insignificante. Esistono solo le bestie, e nei primi due racconti compaiono animali – un cane tra i cani, una scaltra genia di topi -, appena sfiorati o indifferenti alla musica, o più specificamente al canto, di cui infine si afferma l’inutilità o l’inesistenza – il canto di Josefine si mescola ai fischi dei sorci, forse è esso stesso, altro che arte, un ottuso fischio… Difficile non ricordare lo svelarsi della musica al sordo Gregor Samsa ne La metamorfosi.

Ma è il terzo racconto il clou del libriccino e dell’interesse di Calasso. Ne La tana appare una creatura non specificata – è forse una talpa? – che in età avanzata, quando scopre di non potersi più difendere in campo aperto, non appena avverte di essere aggredibile e mortale, si chiude in un rifugio sotterraneo, la cui piazzaforte è preparata a colpi di fronte.

La tana è allestita per difesa da un “intollerabile” mondo di superficie, ma è egualmente un luogo dove covano preoccupazione e sofferenza e da cui può capitare di dover fuggire da un momento all’altro.

Calasso aveva già parlato di questo testo/testamento scritto da Kafka all’incirca sei mesi prima della morte, giustapponendone l’indefinito protagonista, avvezzo alla riflessione, all’impulsivo Gregor Samsa, il quale rimane in modo atroce vittima della sua stessa stanza a tre porte. Si può trovare il paragone nel capitolo La coltre di muschio di K., il tour de force kafkiano pubblicato nel 2005, che Calasso ha deciso di affrontare da un’altra prospettiva, aggiungendo queste nuove pagine che spesso si risolvono in una ispirata parafrasi.

Per capire che cosa è accaduto nel percorso del praghese, Calasso riavvolge la pellicola fino a tornare a Kafka ventenne, quando questi si presenta con le prose di Betrachtung (1904-1912), le prime delle quali sono all’apparenza walseriane, in realtà semplicemente lontane dall’espressionismo e dall’estetismo fin de siècle. Sono pronte invece, predestinate quasi, all’incontro con i fantasmi di un mondo notturno, che Kafka ha il “privilegio” di vedere e valutare nella realtà della veglia – e la confessione di questo “privilegio” avviene proprio ne La tana.

Il Kafka dei testi di Betrachtung può sviarci e sorprenderci – basta una frase, appunto – fino ad aprirsi compiutamente a una diversità irriducibile ne La sentenza (noto anche come La condanna), racconto del 1912 e non antologizzato, sentenza che viene pronunciata in una scena allucinata – o dovremmo piuttosto dire onirica ma vissuta da sveglio – da un laido e “gigantesco” padre, cui riesce intollerabile il fidanzamento del figlio.

È la lucidità terminale di Kafka che interessa a Calasso ne L’animale della foresta, il Kafka chiamato all’assalto rivolto all’“ultimo confine terreno”, capace di inoltrarsi oltre i “bassifondi vergognosi della letteratura”, in un luogo di misteriosa sapienza, che non calcola sconti e ignora la necessità di facciate presentabili.

Calasso cerca nell’ultimo Kafka la possibilità di una dottrina segreta – una saggezza altra che richiama una costante della sua riflessione e della sua ricerca. Intanto, ci ripresenta l’immagine indelebile di un Kafka uomo stupito di fronte all’enigma spicciolo della vita – così in una lettera di Milena a Max Brod – che, ne La tana, sa di non poter più vivere nella luce accanto a Milena, lui che è, forse come tutti noi, un animale del buio.

Credit: National Library of Israel Franz Kafka: Pictures of a Life by Klaus Wagenbach (1984), 

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