In questi giorni in cui la terra in cui sono nato e cresciuto è colpita dall’alluvione, guardando quelle immagini, provo a immaginare cosa sarebbe se all’improvviso mi trovassi senza una casa, senza questa casa, su cui abbiamo mia moglie ed io abbiamo investito i nostri risparmi e su cui grava un impegno che dovremo onorare ancora per molti anni prima di poter dire: finalmente è nostra. Non credo di avere il diritto di usare l’espressione abbiamo fatto dei sacrifici, non sarebbe rispettoso verso i miei genitori, verso quelli di mia moglie, verso quella generazione che li ha fatti davvero, ma questa casa rappresenta comunque per noi qualcosa di importante, qualcosa senza cui non sapremmo pensare alla nostra vita. Forse c’è qualcosa di arcaico in questo attaccamento alla terra, forse è sbagliata questa eccessiva considerazione verso la roba, eppure non ci sento nulla di egoistico, perché è qualcosa che noi abbiamo costruito e soprattutto che non abbiamo tolto a nessuno.
Per questo penso con sgomento a chi oggi ha perso la propria casa, e non so immaginare come mi sentirei. Per questo credo che quelle donne e quegli uomini abbiano diritto prima di tutto al nostro rispetto: provare a capire quello che sentono – anche se noi possiamo al massimo intuirlo – credo serva per farci evitare di dire cose stupide, come troppe volte ci succede in occasioni del genere. E serva per farci capire noi, gli altri, il mondo, serva magari per non farci commettere sempre gli stessi errori.
Tra le cose stupide che sento in questi giorni c’è la frase, ripetuta come un mantra, ricostruiremo tutto come prima. Naturalmente capisco la necessità retorica di questa espressione, capace di dare entusiasmo a chi sta ancora spalando e di rinfrancare chi ha perso tanto. Ma una classe dirigente che voglia essere tale dovrebbe ammettere che, dopo questo ennesimo segnale che la natura stuprata ci ha lanciato, la cosa peggiore sarebbe proprio fare tutto come prima. Perché se troppe persone sono morte, se i danni sono stati così ingenti, non è solo colpa dell’acqua. Perché l’acqua nella nostra grande pianura c’è sempre stata ed è stata di volta in volta una minaccia mortale e una inestimabile fonte di ricchezza – ma molto più la seconda che la prima naturalmente, altrimenti non si spiegherebbe come mai siamo una delle regioni più ricche dell’Europa. La colpa è che abbiamo costruito molto e male, che abbiamo superato i limiti che la natura impone a noi che abbiamo deciso di vivere in una terra letteralmente creata dall’acqua e che gli uomini hanno via via plasmato per adattarsi a essa. E lo dico, con rammarico, anche perché io ho fatto l’amministratore in questa terra e ho conosciuto tanti che hanno lavorato per preservare questo territorio, attraverso una serie di politiche virtuose, che sono stati progressivamente traditi. I modelli industriali, agricoli e turistici che hanno fatto la ricchezza della nostra regione sono evidentemente troppo pesanti da sopportare per una terra che è fragile, che lo è sempre stata e lo sarà sempre. Ricostruire come prima significa mettere le basi per la prossima alluvione. Fa male sentirselo dire, specialmente se si è in mezzo al fango. E se non si ha più una casa. Ma è proprio in questo momento che occorre fare un’opera di verità. Se vogliamo che non più come prima.
- Luca Billi ha pubblicato il romanzo Anything Goes (Villaggio Maori Edizioni). Anything Goes è anche uno spettacolo teatrale. Per tenersi informati, qui