Cognome e nome Artificial Intelligence, intelligenza (di una macchina, un computer) creata dall’uomo a somiglianza della propria intelligenza naturale. Che ci piaccia o no, AI (in Italia IA) è tra noi. Monitora lo stato di salute dei nostri organi, ci algoritma gusti consumi desideri e perversioni. Innestata in robot di forma più o meno androide, li costringe a lavori fisici troppo faticosi per l’uomo, o a elaborare in pochi minuti montagne di dati che richiederebbero intere giornate (sindacali) di fatica umana. E fin qui, a inquietarsi un po’, è stato solo qualche gruppo neo-luddista.
Ora però può succedere che l’Intelligenza Artificiale produca anche arte: è in corso a Roma fino al 18 giugno allo Spazio Wegil in Largo Asciaghi 5 la mostra Re:Humanism – Sparks and Frictions, dedicata al rapporto tra arte contemporanea e Intelligenza Artificiale. Presenta le opere di dodici artisti provenienti da tutto il mondo, con l’assegnazione di un premio speciale nel nome di Salvatore Iaconesi, ingegnere robotico, designer, “artista visionario”, recentemente scomparso.
Arte figurativa, dunque, ma non solo: AI la troviamo sempre più impegnata anche nell’arte “letteraria”. A produrre sceneggiature e romanzi, a comporre testi nuovi assemblando frasi e parole prese qua e là (metatesti?) che servono a generare storie nuove (metaromanzi?) di cui, comunque, alla fine, AI risulta l’unico “autore”. E qui è scattato l’allarme globale: Warning! Attention! Achtung! Perigro!, insorge l’immenso universo di scriventi umani, compresi gli sceneggiatori hollywoodiani scesi in sciopero, di fronte alla nemica ChatGpt, modello linguistico artificiale allenato da OpenA1, progettato per interagire con gli utenti come in una normale conversazione (si inserisce nel box la richiesta e in pochi secondi la chatbot elabora la risposta): non conosce crisi da “pagina bianca” e può sfornare un romanzo in poche ore (pure gratis o quasi).
Ma allora qui come la mettiamo con “la fatica di scrivere”, con il tormento dello scrittore umano, con “la voce, lo stile, il ritmo, la visione del mondo” (al momento non risulta esistere una AI capace di riflessioni da saggio di critica letteraria) e, infine, come la mettiamo con il “diritto d’autore”?
Verrebbe da rispondere che però, alla fine, è sempre l’uomo a fornire il materiale perché l’operazione abbia inizio, è l’uomo a dare gli input… Comunque qualche rischio ci deve pur essere se Geoffrey Hinton, 75enne psicologo cognitivo e scienziato informatico, pioniere dell’AI, ha recentemente lasciato il suo importante posto di lavoro in Google per poter denunciare liberamente i pericoli dell’Intelligenza che lui stesso ha collaborato a creare, affermando che AI “comincia a ‘fare ragionamenti’: il chatbot potrebbe presto superare il livello di informazioni di un cervello umano, per cui bisogna continuare, sì, a lavorarci, ma creando, però, attenzione!, con delle precise normative ad hoc”.
Opere “letterarie”. Nel marzo del 2017 Ross Goodwin, artista delle arti visive, già ghost writer nel team di Obama, ha viaggiato da New York attraverso l’America (do you remember Kerouac?) fino a New Orleans, su una Cadillac noleggiata, generando, con l’aiuto di una AI, il romanzo sperimentale 1 the road, per il quale utilizza una base di dati testuali ricavati da circa duecento romanzi, e li fa elaborare da sistemi visivi e geografici (fotocamera e sensori GPS); in macchina sistema un microfono per l’audio ambientale, il tutto è collegato a un portatile (connesso a sua volta con una piccola stampante dalla quale vengono sfornate in tempo reale le pagine del romanzo). Se l’incipit: “Erano le nove e diciassette del mattino e la casa era pesante” vi intriga, potete seguire il video su Youtube.
Ma come li crea, AI, i suoi racconti? Fondamentalmente combinando testi diversi con la tecnica della scrittura vincolata da un input, e l’utilizzo di mezzi informatici, già divulgato dal gruppo OuLiPo fondato nel 1960 da Raymond Queneau insieme al matematico Francis La Lionnais (di quest’Ouvroir de Littérature Potentielle faceva parte anche Italo Calvino) che produsse Cent mille milliards de poèmes.
In Italia. Nel 1962 Nanni Balestrini pubblicò sull’Almanacco Bompiani Tape Mark 1, componimento poetico creato combinando in vari modi, in base a un algoritmo, diversi frammenti testuali di alcuni autori, usando un computer IBM 7070 messo a disposizione della Cariplo (che lo impiegava per le comuni pratiche bancarie). L’intera (affascinante) operazione, a cui vennero invitati ad assistere Umberto Eco e Luciano Berio, si svolse nel caveau della Cariplo in via Verdi a Milano e si trova documentata sull’Almanacco Letterario Bompiani 1962 (rintracciabile in rete).
Persino Primo Levi, scrittore e chimico (e perciò anche scienziato), ha avuto di che scrivere su un’antesignana Intelligenza Artificiale nel racconto Il Versificatore (un marchingegno atto a sfornare versi poetici). L’editore che gli aveva pubblicato Se questo è un uomo, leggendo il manoscritto non ci credeva, che fosse di Levi, non ne ritrovava lo stile, e gli consigliò di firmare il libro (Racconti naturali, pubblicato nel 1966) con uno pseudonimo (Levi usò Damiano Malabaila: era il nome che vedeva ogni giorno sull’insegna di un elettrauto vicino a casa). Nel 1971, Il Versificatore divenne un cortometraggio televisivo diretto da Massimo Scaglione (ora visibile online) con Gianrico Tedeschi e Milena Vukotic (entrambi strepitosissimi!).
Nel 2022 è stato pubblicato Non siamo mai stati sulla Terra (ed. Il Saggiatore) presentato come “il primo libro scritto da un umano (Rocco Tanica, scrittore e musicista, tastierista delle Storie Tese) insieme a un’intelligenza artificiale (OutOmat-B13)”. Si tratta in realtà di un gioco letterario, una conversazione un po’ “da bar”, un po’ su tutto e su niente, dove il bizzarro computer spara la sua demenziale (e divertente) visione del mondo, fino a dire a quell’altro che lui sa come “fare un’intervista a Dio”.
E il lettore? Come la prende, il lettore, questa AI (o IA) scrivente?. Dipende. A volte capita di affezionarsi, se non addirittura di innamorarsi. Leggendo Klara e il sole di Kazuo Ishiguro (Einaudi), ho amato la AA (Amica Artificiale) acquistata in un negozio di robot per far compagnia a un’adolescente malata che poi, una volta cresciuta, si dimentica di lei: Klara bypassata da modelli più nuovi, finita nel buio sgabuzzino delle scope, lei che si nutre di sole… beh, io l’ho amata, Klara. Come se fosse fatta di carne e di sangue. Come se fosse “umana”.
Nella foto grande, Farming 3 di Federica Di Pietrantonio, in mostra a Roma, in Re:Humanism – Sparks and Frictions
- Jonne Bertola, giornalista milanese. Autrice del romanzo Swinging Giulia, di Piacenza (Morellini) e di Di chi è questo corpo (Luoghinteriori)