A Liegi, nel 1924, qualche anno dopo la prima guerra mondiale, a pensione dalla signora Lange si trovano ospiti di diverse radici e dalle differenti possibilità finanziarie: lo studente lituano-polacco Élie sta immalinconito al freddo della sua miseria nella camera verde, mentre il romeno Michel (o Mikhail), giovane misterioso, cerca la sua via da vincente mangiando lokum inviati da casa e leggendo affettuose lettere famigliari nella stanza granata. Louise, figlia della padrona, intanto, lavoricchia giù in cucina dove fa caldo. Cherchez la femme, certo, è lei la femme anche se malaticcia, all’apparenza senza alcuna attrattiva.
Simenon l’ha presa alla lontana: scrive Delitto impunito (Adelphi, traduzione di Simona Mambrini) una manciata d’anni dopo l’altro dopoguerra, nel 1953, quando dimora in USA, a Lakeville nel Connecticut, e viene perciò spontaneo chiedersi perché gli sia servito, narrando, tornare così indietro nel tempo.
C’è un motivo pratico: il belga doveva staccare di netto i due quadri simmetrici di cui è composto il breve romanzo. Lasciando in mezzo l’Atlantide di un quarto di secolo annegato chissà dove. Ma c’è anche, nella scelta di un set così distante, una ragione meno prosaica: la lontananza nel tempo immerge la prima tranche di storia (storia come sempre con la minuscola) in un’atmosfera di primordiale e pericolosa quiete – l’inferno è alle spalle e forse non del tutto – e infatti il testo vive qui nell’indeterminatezza sentimentale dei giovani personaggi, nelle sfumature di emozioni adolescenziali, in uno stallo tanto sorprendente per Élie e i suoi compagni di avventura, quanto per il lettore che vede tramutarsi lo stallo in un gesto di “giustizia” irreversibile.
Simenon fa il Simenon dei Romanzi Duri, affrancato dal poliziesco ma non dal conflitto (famigliare, uomo-donna, amicale), dall’indagine su un’umanità solitaria e irrisolta, media e mediocre, cui ha dedicato il suo non medio né mediocre talento. La prova più evidente sta nel realistico bozzetto dell’iniziale luogo dell’azione. Ci troviamo subito anche noi in pigione a Liegi, mentre Simenon costruisce e smonta, colora e sfuma nel bianco e nero, con la mano di un incredibile mestiere: ferma, capace e sveltissima. Ho scritto “bozzetto” per fare un appunto alla troppa abilità artigianale (almeno qui) del belga? Rimprovero il metodico Simenon perché scrivendo Delitto impunito è troppo distante nell’anima dal suo sfigato protagonista?
Non so. La seconda parte del romanzo lascia di primo acchito stupiti per i tempi e per l’ambientazione americana: dovrebbe trasferire, 26 anni dopo, la nera favola europea, esistenziale (e un po’ esistenzialista), nel campo geografico di una nuova consapevolezza. È una trovata di senso: l’identikit di una vecchia Europa in pezzi non poteva che avere nell’America il polo di attrazione e di apparente ricomposizione dei contrasti.
L’eco della violenza delle guerre – che in Simenon è elusa come tutto ciò che non è tangibile, che cioè non è individuale – ha ormai lasciato il posto a crimini borghesi, tutt’al più valutari. Un quarto di secolo dopo, Élie, ingrassato, anzi sfatto, sta in Arizona dietro la reception di un hotel le cui fortune sono legate alla compravendita di una città mineraria. Élie non è abbastanza discosto e cauto per sfuggire, durante una trattativa tra nuovi padroni e vecchi servi, a un appuntamento fissato dal destino. O da uno scrittore che non ama lasciare al lettore – e lui ringrazia, anche se talvolta vorrebbe più libertà – le porte aperte dell’interpretazione. Neanche uno spiffero. Élie grasso e indecente portiere di notte si ritrova davanti un vincente, che vive d’azzardo e incanta le donne anche se…
“È dalla crudezza dei dettagli, dalla quotidianità più sordida che emerge la mitologia di Simenon” (François Audouy). Delitto impunito docet.
A margine. Lo so, ho messo in apertura di post una foto di Georges Simenon vicino a una statua dedicata a Maigret, e qui si parla di un roman dur… Ma mi piaceva l’espressione dello scrittore, che pare soddisfatto del suo lavoro.
Credit: File:Belgische detective schrijver staat model bij het beeldje van Maigret in het Ams, Bestanddeelnr 919-5213.jpg” by Joost Evers / Anefo is marked with CC0 1.0