A teatro per vedere l’effetto che fa la musica sul nostro cervello. Qui siamo nel mezzo di un esperimento scientifico, qualcosa che gli spettatori nostri antenati non avrebbero mai immaginato: quelli, nei loro palchi, facevano sì, di tutto – ascoltavano la musica ma anche cenavano copulavano spettegolavano lanciavano il guanto di sfida per un duello – ma mai avrebbero pensato di entrare come tester di una ricerca nel grande libro della Scienza.
E dunque. Nel teatro comunale Claudio Abbado di Ferrara, alla prima delle Nozze di Figaro (30 giugno, ore 21, trasmessa in contemporanea dal vivo in tutto il mondo su YouTube e in streaming dalle 20,30 a questo link in replica il 2 luglio) una termocamera ad altissima sensibilità misurerà a distanza – in modo non invasivo e nel completo rispetto della privacy – la temperatura del volto di tutti gli spettatori allo scopo di studiare gli effetti della musica sul loro sistema neurovegetativo. Già attuato a Roma, a Milano e all’Opera di Bilbao, il test fa parte del progetto di ricerca coordinato da Luciano Fadiga, professore di Fisiologia all’Università di Ferrara, da cui provengono anche novanta studenti che si sono candidati a partecipare all’esperimento come spettatori della prima teatrale. Non so se la celebre “opera buffa” di Mozart sia stata scelta perché particolarmente adatta alla ricerca in atto. Sta di fatto che questa edizione delle Nozze, diretta da Massimo Raccanelli, ambientata dal regista Adrian Schvarzstein in una degradata periferia urbana degli scorsi anni Sessanta, risulta quanto mai calda e vivace – e qui il merito va anche al cast di cantanti, tutti giovani talenti selezionati dal “mago degli scopritori” Leone Magiera – che durante le prove hanno portato le note di Mozart anche fuori dal teatro, per le strade di Ferrara dove il “non più andrai farfallone amoroso…” e “ogni donna mi fa palpitar” e le altre arie cantate tra le bancarelle del mercato hanno appassionato i passanti, ambulanti, negozianti…
A indagare sulla “straordinaria forza neurale” della musica e i suoi nessi con le funzioni e disfunzioni del cervello ci aveva già messo del suo (con una scrittura assai brillante) il neuroscienziato Oliver Sacks nella raccolta di saggi Musicofilia (Adelphi 2010), partendo da un incontro a New York con un batterista e una trentina di persone tutte affette dalla sindrome di Tourette, tutte con tic che scompaiono miracolosamente appena si mettono a seguire il ritmo del batterista.
Si deduce, insomma, che la musica fa bene, permette di aumentare il nostro livello di dopamina, “il neurotrasmettitore della felicità”. È un farmaco naturale che può ridurre la frequenza cardiaca, aiutare gli ipertesi, persino alleviare il dolore oncologico (archiviata, invece, la “teoria dell’effetto Mozart”: sosteneva che ascoltare la Sonata in re maggiore per due pianoforti (KV448) rafforzerebbe i processi cognitivi e creativi dell’emisfero destro. Di contro resta statisticamente confermato che le sonate mozartiane diffuse nelle stalle fanno aumentare la produzione di latte…).
Se la musica fa bene a tutti, i musicisti sono i più curiosi a voler sapere il quanto e il come, e se non è un “dono divino” ma un fenomeno umano che si può indagare con i metodi della scienza, allora sono pronti a farsi esaminare. Ed ecco Sting offrirsi (qualche anno fa) a un gruppo di neuroscienziati che ha scansionato la sua attività cerebrale per studiare tramite risonanza magnetica come reagisce il suo cervello di musicista all’ascolto di armonie diverse. L’esito dell’esperimento è stato pubblicato sulla rivista accademica Neurocase.
Poi ci sono gli scrittori ispirati dalla musica: sarebbe una lunga lista. Pescando in ricordi trasversali emergono titoli come Sonata a Kreutzer di Tolstoj (Feltrinelli 2014), dove drammaticamente la sonata beethoveniana del titolo scatena un evento fatale (verrebbe già voglia di rileggerlo, questo terribile contestatissimo librino sulla gelosia pubblicato tra innumerevoli difficoltà). Come anche il delizioso Il contrabbasso di Patrick Süskind (Guanda 1986): nato come monologo teatrale, ti porta – dall’inizio con la Seconda sinfonia di Brahms alla fine con Schubert, Quintetto della trota – dentro la desolata solitudine del contrabbassista dell’orchestra di Stato, io narrante altalenante in picchi bipolari tra amore e odio, esaltazione e frustrazione verso se stesso e verso il contrabbasso, “il più femminile degli strumenti… così pieno di curve e bisognoso di abbracci…”. E non si può non citare il giapponese Haruki Murakami, appassionato di musica americana tanto da aver aperto da giovane un Jazz Club, occupazione che ha mantenuto mentre scriveva i suoi primi romanzi, da Norvegian Wood ai racconti di Ritratti in jazz pubblicati in Italia da Einaudi. I titoli delle sue canzoni preferite, citate nei libri, hanno fatto registrare clamorosi aumenti nelle vendite: la Sinfonietta di Leoš Janáček, dopo essere stata usata nel suo romanzo 1Q84 ha venduto in una settimana più copie che nei precedenti vent’anni.
Sarà per questo che ultimamente anche in Italia alcuni romanzi riportano nelle prime pagine la playlist delle canzoni citate nel testo: si ascolta su Spotify. Chissà se farà leggere più libri o ascoltare più canzoni.
Info: Teatro Comunale di Ferrara tel. 0532/202675
Nella foto in apertura, un frame registrato dall’equipe di Fadiga al Teatro dell’Opera di Bilbao
- Jonne Bertola, giornalista milanese. Autrice del romanzo Swinging Giulia, di Piacenza (Morellini) e di Di chi è questo corpo (Luoghinteriori)
Credit: Oliver Sacks’ Lucid Hallucinations by jurvetson is licensed under CC BY 2.0.