Mia Hansen-Løve (Parigi, 1981): “Malgrado non creda in Dio, per me il cinema non può essere altro che ricerca di luce, è quindi ricerca dell’invisibile e dell’infinito”.
Il cinema di Mia H-L in Un bel mattino – Un beau matin (in questi giorni su MUBI) è molto umano, all’apparenza umile e votato alla realtà spicciola, sempre quotidiano, forse perché spesso autobiografico. È un cinema spalancato al dolore provocato dalle cose della vita e, di seguito, trasformato in un diario delle difficili ricomposizioni nei rapporti tra donne e uomini e di donne e uomini dentro se stessi.
Qui, Sandra, una spigliata Léa Seydoux, è una madre single parigina: lavora come interprete ed è a una svolta dell’esistenza, che la carica di incertezza. Ha un anziano padre malato la cui cultura (è un filosofo) non serve a evitarne un declino anche intellettuale difficile da gestire, mentre l’incontro casuale con un vecchio amico, Clément, si trasforma per Sandra prima in una prudente relazione, poi in qualcosa di più. Clément è sposato e Sandra non può abbandonarsi all’amore, come altrimenti capiterebbe…
Viene subito alla memoria il nitido Eden (2014): ispirato a Mia H-L dalle esperienze del fratello Sven, dj della scena house e sodale addirittura dei Daft Punk, descriveva la discesa all’inferno della “gioventù pacata” parigina degli anni Novanta con una noncuranza nichilista che richiedeva in un finale non consolatorio l’accettazione di una ragionevole quotidianità. Anche Sandra-Léa è una “giovane pacata”, ma nasconde nel profondo, dietro l’aria giudiziosa, una ricerca molto poco arrendevole di un’esistenza piena, di vita pura, che non va sprecata.
È il “ricominciare a vivere” l’atto che unisce due tra i film più belli di Mia H-L, l’ancora acerbo Le père de mes enfants (2009, Premio della Giuria a Un Certain Regard) e il maturo L’avenir (2016, Orso d’argento per la regia a Berlino). Il primo è dedicato a un amico suicida, il produttore Humbert Balsan: la morte di un uomo diviene il banco di prova per una famiglia di donne, compresa simbolicamente la regista, lontana qui da ogni poetica dell’eccesso. Nel secondo, un’algida Isabelle Huppert è una professoressa di filosofia vittima di un “divorzio tardivo”, che scopre come la sua tranquilla vita “intelligente” sia stata un’insostenibile routine.
L’amore, l’abbandono, la crescita e la rinascita sono stati finora i temi cruciali di Mia H-L, figlia di due insegnanti di filosofia (ecco!), lei stessa laureata in filosofia, esordio da attrice in Fin août, début septembre (1998) di Olivier Assayas, suo storico compagno oggi lasciato, e debutto alla regia di un lungometraggio con Tous est pardonné (2007).
Con Un bel mattino aggiunge una riflessione sul rapporto tra i figli e i genitori che stanno morendo, o almeno scomparendo: come la sua Léa Seydoux, non trova l’impossibile lieto fine ma con il film cerca la luce o almeno il barlume, che esorcizza la sofferenza.
Mia H-L adora l’atto di fare cinema – ha lavorato anche ai mitici Cahiers – e possiamo immaginare che pensi del cinema quello che Huppert crede per l’editoria, quando ne L’avenir prova disgusto per i colori forti di una collana di libri e per il fatto che il richiamo per il “grande pubblico” passa oggi attraverso la volgarità delle forme (ma poi anche dei contenuti). Infatti con Un bel mattino firma un altro dei suoi film privi di sentenziosità, studiati fino ad apparire leggeri leggeri, autentici senza civettare con la presa diretta, e forse è per questo che i critici francesi la coccolano tanto e, parlando di lei, citano persino Rohmer e Truffaut.