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Allonsanfàn
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Riletture. Primo Moroni in Vicolo Calusca

Nel romanzo Vicolo Calusca di Umberto Lucarelli entriamo subito nella cosiddetta city, nella Milano diventata per sempre (orribile definizione) “da bere”, e pure da consumare mentre poi consuma noi: adesso non si direbbe, eppure una volta esistevano strade diverse, case e locali diversi, facce e corpi diversi da quelli in cui si imbatte un uomo invecchiato e piuttosto scazzato, appartenente all’area ormai fantomatica della sinistra extraparlamentare.

L’uomo passeggia per un centinaio di pagine dense, ma fatte di prosa scorrevole da stream di coscienza – molte virgole e pochi punti a capo – mentre gli si affastellano nella mente frammenti di ricordi e prendono forma riflessioni concentriche – su cui ri-camminare e ri-tornare più volte nel pensiero e nel testo che è poi il pensiero stesso – riguardo i tempi andati, lasciando nell’uomo un profondo senso di disillusione sul vivere insieme e di rabbia verso l’egotismo dominante pure nella nostra condizione di miserabili esseri umani.

La Milano differente si poteva trovare al quartiere Ticinese nella libreria Calusca che dal 1971 cambiò più sedi partendo dal vicolo omonimo – l’etimo di Calusca batte sul presunto “losco” di antiche e leali malavite. In mezzo alla stampa alternativa di ogni gruppo e di ogni rivolta conosciuta, lì siede su una poltrona da barbiere, ispirandosi alla City Lights di Larry Ferlinghetti, l’ex ballerino Primo Moroni, attivista politico e principe della controcultura italiana, di lotte e utopie sociali che arrivano a segnare, tra generose accensioni e dolorosi spegnimenti, i tardi Settanta, cioè il mitico o mitizzato 1977. Primo Moroni, davanti a cui un giorno di tanti anni fa, a metà degli Ottanta, lo scrittore Umberto Lucarelli accende il registratore a cassette, è la figura politica e sentimentale cui è dedicata questa passeggiata politica e sentimentale (per molti versi postuma, Moroni muore nel 1998), che è anche il making of di quell’intervista sbobinata ma mai edita – il libro doveva chiamarsi Una vita di carta.

Torniamo a camminare. Ecco che riappaiono com’erano piazza Sant’Eustorgio e il Corso o, nella Milano proletaria, le vie della Barona, dove si incontrano i compagni (a quel tempo siamo tutti compagni!), impegnati con ciclostili e riunioni, prove di cinema libero e di teatro alternativo, scontri duri non solo verbali e mai troppo privati amori allergici alle stereotipie borghesi – offrono questi ultimi delle note quasi ridicole a leggerle oggi, se non fossero dolenti. Accade poi che l’enorme fluidità di un momento magico incontri il brusco stop di un epilogo avvelenato dalla violenza – l’uomo che passeggia riesce a sottrarvisi forse solo per un paradosso, grazie (!) alla violenza subìta sulla propria pelle da parte dello stato che lo ammanetta ingiustamente. Le BR e le altre formazioni combattenti segnano la fine di tutto – in specie del grande sogno dei cani sciolti – e ci sarà in più la beffa di ritrovare a posteriori i leaderini dell’Mls trasformati in parlamentari o direttori di giornali borghesi.

All’uomo che passeggia da solo non rimane che nominare tanti amici persi o scomparsi, molti sono non per caso morti suicidi, molti inghiottiti appunto dalla lotta armata. L’uomo cerca forse un sollievo nelle parole di Moroni, che parla sempre di “universo concentrazionario” e che comprende sempre tutto fino a spezzare se stesso, vi trova forse – come nell’evocazione vivida della propria sorella maggiore – la saggezza per andare avanti senza diventare lui stesso disumano.

Nel suo romanzo su Primo Moroni, Lucarelli mi porta alla memoria altri precedenti e illustri scrittori passeggiatori seppure lontani da qui nel tempo e nello spazio – mentre il racconto procedendo acquista respiro e profondità. Si rivela lucido e sincero, acuto e autocritico quel tanto che serve perché in tanti ci si possa riconoscere tra le pagine di una sconfitta come in uno specchio rotto in tanti pezzi luccicanti di parole. Alla fine, Lucarelli non può fare altro che consegnare le sue righe, nutrite di ribellione e di amore – e lo fa quasi giudiziosamente, nel segno di un pessimismo azzerante – “al vuoto e al nulla”.

Di lato. Accanto ai baffi sfilacciati da gatto di Moroni, compaiono più volte i baffoni biondi di Bellini, leggendario capopopolo del Casoretto – sto rileggendo queste righe su una panchina della “sua” piazza Durante -, una sorta di generale Custer che in manifestazione fugge da ogni cul de sac preparatogli dalla polizia. Il terribile (il violento) Bellini, forse perché proletario e dapprima in miseria davvero, campeggia come uno dei pochi personaggi allegri e vitali in un’orgia di sconfitti, alcuni già in partenza… Grazie a Lucarelli di aver scritto e rammentato.

Vicolo Calusca edito da Bietti è uscito per la prima volta nel 2018. Non ho trovato una foto in cc di Moroni, ma basta googlare

Del 1977, è capitato di scrivere anche qui

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