La nozione del tempo è quella che più ci sovviene nel corso della nostra vita, specialmente quando la vecchiaia ci avverte che il termine può arrivare da un momento all’altro e, nel tempo che resta, pensiamo un po’ di più ai ricordi delle gioie e dei dolori, delle sconfitte e delle vittorie, delle passività e delle attività che ci hanno caratterizzato. Subito dopo, ma persino durante o prima, la domanda che si pone è sempre questa: ma perché il tempo di vivere che ci è dato è toccato proprio a noi… e chi ce l’ha dato?
Ci sono grandi menti che si sono impegnate a sciogliere questi nodi, anche se sembrano facili da districare perché è un fatto che il tempo di vivere lo riceviamo dai nostri genitori; in diverse forme e qualità, senz’altro, ma è da loro che lo riceviamo. Si potrebbe discutere anche su questo, naturalmente, perché all’ordine del giorno del dibattito pubblico odierno non mancano i temi della fecondazione assistita, della monogenitorialità etc. etc., ma non possiamo negare che sempre si nasce da un seme maschile e dalla fecondazione di un ovulo femminile.
Epperò questo atto o processo che ci fa nascere solo in parte determinerà il tempo che ci è dato di vivere. Esistono circostanze che lo condizioneranno: l’ambiente in cui cresciamo, la fortuna o la sfortuna che penderà dall’una o dall’altra parte in grado maggiore o minore ma tuttavia penderà. E poi il tempo di durata di una vita, nel suo insieme, che non lo determina nessuno a meno che non si pensi a uno o più demiurghi, potenze che vedono e provvedono in tutto e per tutto.
Qui subentrano la fede e le tradizioni che, bene o male, fin dalla lontana antichità si costituirono in forma di teologie più o meno funzionali a dare un ordine e un senso alla nostra esistenza. Ciascuno di noi ne avrà assunto le credenze oppure le avrà ignorate o persino negate. Molti, cioè, ci avranno vissuto all’interno con fede all’incirca robusta, e cert’altri non le avranno prese neppure in considerazione anche perché ce n’erano, e ce ne sono ancora, di monoteiste o pagane, di caritatevoli o crudeli.
Ciascuna di queste teologie non di rado prevede premi e punizioni: promesse per il momento in cui non saremo più in vita, annunciate da profeti o presaghi nell’ambito di cosmogonie in cui spiegano l’universo con disegni talvolta di grande valore estetico ed etico, ma non di rado veicolo di mestatori adusi a farsi schermo delle credenze per esercitare il potere secolare in nome delle religioni. Più tardi però, bisogna ammetterlo, si sono prestate anche a spiegazioni che si ponevano in termini di ragioni oltre che di sentimenti.
Due libri, nel 2023, ce ne parlano e potrebbero essere una buona lettura, nemmeno troppo difficile sebbene trattino di argomenti che richiedono un po’ di preparazione. Il primo è di Carlo Rovelli, fisico teorico, accademico ma anche abile divulgatore; il secondo è di Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, storico dell’arte che tratta quotidianamente con giovani e studenti. Il libro di Rovelli s’intitola Buchi bianchi, sottotitolo Dentro l’orizzonte, Adelphi. Il libro di Montanari s’intitola Se amore guarda, sottotitolo Un’educazione sentimentale al patrimonio culturale, Einaudi.
Avrei potuto parlare di questi libri già qualche mese fa, ma non l’ho fatto perché i due autori furono all’attenzione delle cronache soprattutto per delle polemiche e io preferivo ne fosse calato un po’ il polverone. Ricorderete, difatti, che pronunciando un monologo durante il concerto del 1° maggio a Roma, Rovelli disse: “Tutti dicono pace, ma aggiungono che bisogna vincere per fare la pace, solo che volere la pace dopo la vittoria vuol dire volere la guerra”. E criticò aspramente il governo e in particolare il ministro della difesa Crosetto per l’acritica adesione alla politica di riarmo dell’Ucraina.
Non mi tratterò su quest’argomento e passo subito alle altre parole pronunciate da Montanari dopo la morte di Berlusconi del 12 giugno. Disse: “Inaudita decisione del governo Meloni di indire tre giorni di lutto nazionale nei quali le bandiere sugli edifici pubblici dovrebbero essere poste a mezz’asta”, e aggiunse che lui nell’università di cui è rettore non lo avrebbe fatto. Del resto su Rovelli e sul suo ultimo libro, qualcosa aveva già scritto Alice Caroli su Allonsanfàn nell’aprile di quest’anno (Buchi bianchi, andare a vedere senza stelle che fanno luce); e io stesso qualcosa sul penultimo di Montanari nel marzo del 2021 (Eretici, il coraggio di scegliere la propria strada).
La chiave di volta di Rovelli nel libro di cui sopra, sta nel delineare una teoria secondo la quale potrebbero porsi buchi bianchi dall’altro lato dell’orizzonte infuocato in cui si vedono spegnere le stelle che precipitano nei buchi neri, ormai accertati anche dal punto di vista dell’osservazione astronomica sebbene immaginati a partire dalle equazioni di Einstein e confermati da Hawking e altri con lo sviluppo della meccanica quantistica: un orizzonte, aveva detto Einstein, in cui per un istante lo spazio e il tempo non dovrebbero esistere più.
Il buco bianco, si legge nell’articolo di Caroli, “…è quello che inizia quando un buco nero finisce, quando la stella morente che l’ha fatto nascere arriva al fondo della sua interminabile caduta”. E domanda se, quando “sbattiamo sul fondo, il buco nero e noi con lui e il tempo stesso, non potrebbero semplicemente rimbalzare e tornare indietro”. Badate: non si tratta di fantasia, ma di ciò che per Rovelli è affascinante, seppure incerto perché resta un’ipotesi immaginabile precedente la vera e propria scoperta scientifica.
Anche Montanari, nel suo ultimo libro, sembra fare la medesima operazione teoretica, ma partendo dal punto di vista della storia dell’arte. Cito due frasi che mi sembrano esplicative. All’inizio: “[…] è il patrimonio culturale l’unico possibile luogo materiale di una comunione tra i vivi e i morti. Una comunione in senso letterale: comunicare, avere uno spazio (e dunque un tempo) comune”. E infine: in “ciò che appare ai nostri occhi come patrimonio culturale, è il luogo–tempo in cui sono vivi coloro che ci hanno preceduto”.
Tutto questo, mi chiedo, possiamo considerarlo come l’orizzonte infuocato del buco nero in cui sparirà il nostro sistema solare un giorno e, sbattendo sul fondo, tornerà indietro con il rimbalzo? Rovelli e gli altri scienziati con cui sta elaborando l’ipotesi, hanno l’onere della prova. Ma intanto non possiamo escluderlo alla luce delle opere del passato e, chissà, del futuro che possiamo immaginare se non vogliamo affogare nelle angosce o nelle speranze di un angusto e complicato presente, talmente breve nello spazio e nel tempo da risultare impercettibile.
Concludo. Anzitutto mi assumo tutt’intera la responsabilità per le affinità e i collegamenti che ho rilevato tra il libro di Rovelli e quello di Montanari in quanto non so nulla di ciò che corre tra i due se non che sono tra le grandi menti dell’Italia contemporanea: Rovelli che è nato a Verona e Montanari che è nato a Firenze. Trovo, tuttavia, molta contiguità nelle frequentazioni culturali dei due: quella con i filosofi/fisici dell’antica Grecia che ricorda lo scienziato, e quella con gli eretici del Novecento cui Montanari spesso si affida. In proposito cito dalla mia stessa recensione che Allonsanfàn pubblico nel marzo del 2021 e ricordo che per lui essere eretico vuole dire solo “scegliere la propria strada”, “pensare con la propria testa”.
Credo, inoltre, che lo stesso valga per Rovelli riguardo ai grandi progenitori della nostra cultura partendo dal modello meccanico del mondo di Anassimandro, all’atomismo di Democrito, alla visione di Eraclito per cui lo spazio e il tempo presenti non puoi mai trattenerli in quanto “tutto scorre”. Ma alcuni, anch’essi eretici, della meccanica quantistica del Novecento trassero ispirazione per modelli matematici molto complessi su cui possiamo non impancarci se, avendone necessità, usiamo le altre opere divulgative di Rovelli che Adelphi ha raccolto: dalle Sette brevi lezioni di fisica tradotte in tutto il mondo, a L’ordine del tempo.
Infine vi porgo qualche altro suggerimento per sottolineare come Montanari, a proposito della nostra lingua, nel suo ultimo libro ci dica che è anch’essa parte del patrimonio culturale e, per esattezza, “usiamo ancora le parole di Dante, e lo facciamo come forse nessun’altra nazione, perché l’italiano attuale è vicino all’italiano del Trecento più di quanto ogni altra lingua europea sia vicina all’origine del rispettivo volgare”. E Rovelli lo sa perché nel testo sui buchi bianchi adotta un linguaggio molto libero, ma lo fa citando a ogni piè sospinto i versi della Divina Commedia.
Non vi sembra, dunque, che dopo il solito giallo d’estate, quest’articolo sia un invito a leggere qualcosa di più importante rispetto alla ricerca del colpevole di un delitto? Non ce l’ho coi giallisti, sia inteso. Anch’io li leggo, e riconosco che ve ne sono di notevoli. Ma il libro di Rovelli consiste soltanto in 144 pagine e quello di Montanari in 105: libri, cioè, che se presentano qualche difficoltà si possono rileggere tranquillamente per una seconda volta e, in ultimo, si possono portare anche in Autunno-Inverno. Non vi sembra meglio del “pacco” di Bruno Vespa che vi potrebbe arrivare in dono alla vigilia di Natale?
Nella foto di apertura, un buco nero in un buco bianco (Credit: Black hole on white hole g4ll4is is licensed under CC BY-SA 2.0.)