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Micaela Ramazzotti. Il copia e incolla della Felicità

Può un film sembrare un for dummies della commedia all’italiana? Se si esce dal cinema con la sensazione che Micaela (con l’ae), per scrivere la sua Desiré (con l’accento) abbia fatto un frettoloso copia e incolla di molte altre pellicole, qualcosa non va.

Purtroppo la protagonista di Felicità (premio degli spettatori al Festival di Venezia) replica il personaggio più riuscito di Ramazzotti attrice: la sexy ingenua, la svaporata con pennellate coatte. Serpeggia subito, strisciante, una sensazione di dejà vu, che si conferma per iperbole quando sulla scena compare Max Tortora, che metaforicamente si mangia il film, lo mastica, lo digerisce, lo sputa, e poi va di stuzzicadenti. Alberto Sordi è il modello, Christian De Sica dei Cinepanettoni, il risultato.

Tortora è il padre cialtrone, fascistoide e parassita di Desiré, truccatrice e parrucchiera per il cinema. Baby pensionato, sognava la fama e si ritrova a cantare su una tv locale e a far tournée nelle Rsa, concionando contro i froci e gli immigrati. Il figlio maschio, Claudio (Matteo Olivetti), è un ragazzo insicuro e bipolare, vessato dalle finte premure della madre (Anna Galiena), in realtà vestale solo del marito e amorale quanto lui. Desiré alias “bicicletta”- perché tutti nel mondo del cinema ci hanno fatto un giro – mantiene questa famiglia disfunzionale ed è fidanzata con Bruno (Sergio Rubini), un professore intellettuale e rarefatto, irretito dal sesso che la donna gli offre con generosità a ogni litigio. Si vergogna della compagna, ma non sa lasciarla, un po’ per vigliaccheria, un po’ perché intenerito dal dolore atavico di lei.

Ramazzotti e Matteo Olivetti

La storia ci sarebbe anche, ma la sceneggiatura è didascalica, una collezione di gag inanellate una dopo l’altra. Zelig o il Bagaglino, più che un film compiuto e costruito anche per sottrazione, oltre che per accumulo compulsivo di tutto ciò che Ramazzotti sa della commedia nostrana. Desiré è coatta perché dice cardiospasmo anziché cardiopalma, che nel vino bianco ci sono i fitofosfati anziché i solfiti. Il padre è patetico perché va sul set della figlia e viene sbeffeggiato dalla troupe, che gli fa recitare la sceneggiatura che ha nel cassetto da una vita, e manca poco che Ramazzotti gli faccia replicare la scena del treno di Ugo Tognazzi in Io la conoscevo bene! Se dice cose bieche sugli stranieri, ecco poi apparire sul televisore acceso le immagini dei barconi. Desiré e il fratello sono uniti in un vincolo viscerale e daje con la scena della rissa fisica sul prato, in stile Gabriele Muccino.

Il crescendo drammatico è telefonato, ma ha momenti indovinati, ad esempio la seduta di gruppo dall’analista, quando guarda caso Desiré parla poco, esce dalla dimensione macchiettistica e acquista una sua verità. Avesse aperto con più grazia il capitolo dedicato a Stefania Sandrelli, saprebbe che si può recitare anche coi silenzi, che l’ingenua si rende anche senza strafare, senza calcare la mano. Ma forse il capitolo che ha letto di fretta e sul quale è rimandata a settembre riguarda soprattutto il grande Antonio Pietrangeli.

Nella foto, Max Tortora e Micaela Ramazzotti (©LuciaIuorio)

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