Un’automobilina rossa incrostata di sabbia trovata nella tasca di un bimbo di 8 anni. Un paio di occhiali, una boccetta di profumo, uno specchio rotto, una bussola. Un biglietto scritto a penna e ripiegato con cura. Nasce dalle foto scattate da Karim El Maktafi alle cose appartenute ai migranti morti durante il peggior naufragio della nostra storia la mostra La memoria degli oggetti. Lampedusa, 3 ottobre 2013. Dieci anni dopo curata dalle associazioni Zona e Carta di Roma, allestita al Memoriale della Shoah di Milano e aperta fino al 31 ottobre.
Oggetti, fotografie inedite e testimonianze per dare dignità e valore alla vita e costruire una memoria condivisa: la rassegna, partita da un’idea di Valerio Cataldi, giornalista Rai che da anni si occupa di immigrazione, e di Giulia Tornari, Presidente di Zona, e realizzata grazie ai fondi 8×1000 dell’Istituto Buddista italiano Soka Gakkai, ha l’obiettivo di ricordare la grande tragedia del Mediterraneo che si è consumata il 3 ottobre 2013 quando, al largo di Lampedusa, persero la vita 368 donne, uomini e bambini che dall’Eritrea cercavano di raggiungere l’Europa. Da quel naufragio a oggi si contano oltre 31.000 persone morte nel Mediterraneo, e chissà quante altre annegate senza che si sapesse mai.
Karim El Maktafi ha documentato piccole cose con un valore simbolico enorme, e insieme ha fotografato il mare e i paesaggi di Lampedusa, i soccorritori, i sopravvissuti e i parenti delle vittime. In esposizione anche gli audio dei primi che prestarono soccorso, il video del barcone inabissato e i servizi televisivi di Valerio Cataldi, che nel dicembre 2013 rivelò al TG2 il trattamento disumano riservato agli ospiti del centro di prima accoglienza dell’isola teatro della strage, che poi venne chiuso.
«Questo per il Memoriale è un impegno importante, in linea prima di tutto con le azioni intraprese insieme alla Comunità di Sant’Egidio tra il 2015 e il 2017, quando abbiamo accolto oltre 8.000 persone arrivate in Italia come rifugiate» ha detto all’inaugurazione della mostra Roberto Jarach, presidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano. «Il Memoriale è un luogo legato agli orrori che guerre e ingiustizie hanno creato, e oggi deve essere quindi spazio di riflessione su questi temi».
Ha aggiunto Marco Vigevani, presidente del Comitato eventi della Fondazione: «Il Memoriale non vuole e non può essere soltanto un monumento, un luogo di ricordo di ciò a cui ha portato l’antisemitismo, ma sente come suo dovere quello di combattere la battaglia contro tutti i pregiudizi e di farlo insieme a coloro che vogliono difendere ogni giorno i valori di democrazia, uguaglianza e libertà. Oggi quella scritta indifferenza voluta all’ingresso del Memoriale da Liliana Segre deve spingerci a una riflessione profonda sul nostro presente, su come vogliamo vivere l’essere comunità umana, sull’indifferenza che dobbiamo noi per primi superare. Abbiamo una responsabilità: chiedere, informarci, sensibilizzare, stimolare momenti di riflessione».
«La forza di quegli oggetti è che ci costringono a guardarci in tasca» spiegano nei testi che accompagnano le immagini Valerio Cataldi e Imma Carpiniello di Carta di Roma e Associazione Museo Migrante. «E a cercare quegli occhiali da sole, quell’orologio, quella boccetta di profumo, quello specchietto, quel telefono. Ci costringono a riconoscere che la nostra vita è piena delle stesse cose. Che solo il caso ci ha consentito di non aver bisogno di afferrare quegli oggetti e lasciare per sempre il nostro mondo».
Tra i tanti intervenuti all’inaugurazione anche Cristina Cattaneo, medico, antropologo e direttore del Labanof, il Laboratorio di antropologia e odontologia forense dell’università di Milano, impegnata nel dare un nome alle tante vittime migranti. «Non riconoscerle significa negarne la memoria e l’esistenza stessa. Noi aiutiamo i familiari non solo certificando la morte del loro congiunto, ma anche supportandoli affinché superino quello che si chiama “limbo della perdita ambigua”, quando non si sa il se il proprio caro sia vivo o morto». Milena Santerini, vice presidente del Memoriale, lo ha ribadito: «Riconoscere le vittime è un dovere civile, e non bisogna criminalizzare chi le soccorre in mare»
E poi Giusi Nicolini, all’epoca del naufragio del 3 ottobre sindaco di Lampedusa: «Vedere oggi quegli oggetti» ha detto «è rivivere una tragedia che travolse la mia piccola isola». Giusi Nicolini ha lanciato un allarme «per l’assuefazione al dolore che fa sembrare l’umanità perduta. Chiediamoci come possiamo rimediare affinché l’indifferenza non vinca».
Altro protagonista della mostra al Memoriale della Shoah è Adal Neguse, rifugiato eritreo, con i suoi disegni e la sua storia: fratello di Abraham, vittima del naufragio, racconta con i tratti della matita le atrocità delle torture subite dai giovani del suo Paese che tentano di scappare dal regime. I suoi disegni sono stati acquisiti come prova dalle Nazioni Unite nella risoluzione che condanna il regime eritreo per crimini contro l’umanità. Adal, approdato a Malta su un barcone, rimpatriato e rinchiuso in un carcere sull’isola di Dalak, nel Mar Rosso, e poi torturato, oggi è cittadino svedese. All’inaugurazione ha tratteggiato un disegno che raffigura un detenuto nelle carceri eritree. «Noi siamo costretti a fuggire» ha detto.
- Accompagna la mostra La memoria gli oggetti una pubblicazione dal titolo omonimo, realizzata da Départ Pour l’Image, con le fotografie di Karim El Maktafi, le illustrazioni di Adal Neguse e i testi di Paola Barretta, Imma Carpiniello, Valerio Cataldi, Cristina Cattaneo, Anna Conti, Giulia Tornari, Roberto Natale, Adal Neguse, Giusi Nicolini, Milena Santerini, Vera Vigevani Jarach e Padre Mussie Zerai.
- Il progetto espositivo, realizzato grazie ai fondi 8×1000 dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, è un progetto di Carta di Roma e Zona, curato da Paola Barretta, Imma Carpiniello, Valerio Cataldi, Adal Neguse e Giulia Tornari, con le fotografie di Karim El Maktafi e con la media partnership della Rai TgR e il patrocinio del Comune di Milano e della Rai per la Sostenibilità – ESG.
- Karim El Maktafi è un fotografo italo-marocchino nato a Desenzano del Garda nel 1992. Nel 2013 si è diplomato presso l’Istituto Italiano di Fotografia di Milano. Nel 2016 ha ottenuto una borsa di studio a Fabrica dove ha realizzato il progetto “Hayati”, vincitore del PHMuseum 2017 Grant – New Generation Prize, e finalista del CAP Prize 2017. I suoi lavori sono stati esposti a La Triennale di Milano, il Museo Macro a Roma, il Museum in Der Kulturbrauerei a Berlino e in altri festival di fotografia in Europa, oltre a essere stato pubblicati, tra gli altri, su The Washington Post Magazine, National Geographic USA, Internazionale, Vogue Italia.
- Il Memoriale della Shoah è aperto dal lunedì alla domenica dalle 10 alle 16 (chiuso il venerdì). Apertura straordinaria ultimo venerdì del mese. La mostra La memoria degli oggetti. Lampedusa, 3 ottobre 2013. Dieci anni dopo si può visitare fino al 31 ottobre.