UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

Gabriella Caramore. È grande l’età di chi è anziano

Un’espressività dolce e pacata. E un pensiero parecchio severo. Forse è per questo che riflettere sulla vecchiaia, cosa da non poco, riesce bene a Gabriella Caramore, classe 1945, autrice de L’età grande (Garzanti). Libro che tratta di un periodo dell’esistenza che facile (bello?) non sempre è. Inutile illudersi. Però… «Grande è questa età per il numero degli anni, perché deve sopportare un carico di prove che non ha l’eguale nelle altre fasi della vita» dice Caramore. «Ma grande anche perché è quella fase della vita durante la quale si è più capaci di avere consapevolezza di sé».

A Torino Spiritualità (e anche a Milano, al Teatro Parenti), Caramore ha raccontato il suo saggio, “scomodo e gentile” come lo ha definito Elena Lowental, direttrice del Circolo dei Lettori: «Ti accompagna anche quando hai finito di leggerlo, e destabilizza nel senso migliore, a partire dalle parole. Siamo abituati a immaginare vecchiaia e morte come un punto nella linea del tempo. Gabriella Caramore in realtà spiega che le misure sono ampie».

Non c’è inizio. «No, la vecchiaia non comincia un certo giorno» ha raccontato (come se parlasse di una bella storia) Caramore. «Arriva piano piano e noi – piano piano – ci accorgiamo che ci stiamo avvicinando a un tempo che è diverso da quello che abbiamo vissuto fino ad allora. Ce ne rendiamo conto un po’ alla volta, attraverso lo sguardo che il mondo ci restituisce e attraverso il nostro guardare il mondo in maniera diversa».

Guai però a pensare alla vecchiaia «come alla decadenza, al lasciarsi andare (tanto poi tutto è finito…). Finché siamo in grado di essere, sentire, fare, ricordiamoci che stiamo vivendo un’età diversa ma abbastanza forte ancora». Anche se capacità e possibilità di agire declinano «e bisogna tenerne conto».

Si è in bilico, «è questo che è difficile. È come se ci fosse stato un errore nella creazione: quando si diventa più vecchi e più fragili, ecco che dobbiamo essere più forti, per sopportare la vita che abbiamo, i tempi che cambiano, le nuove sfide che ci vengono proposte. Quando si diventa più bisognosi di essere accompagnati, spesso si resta soli. Il vecchio, che ha più che mai bisogno di luce, calore, respiro, si sente in affanno… Però questo è anche un piccolo allenamento per avvicinarci a quella che è la grande cesura – la morte – e che solo in questa età si capisce che è una cosa vera».

L’età grande è costruito in 4 “movimenti”: alla fine di ciascuno «c’è uno squarcio sull’arte figurativa, sulla musica, sul teatro, sul cinema». La ragione di questa scelta? «Nell’arte c’è il senso della vita, la capacità di esprimere il fluire del tempo, la sua inafferrabilità».

L'età grande garzanti caramore

Del resto, la dimensioni principale che si vive in età anziana è proprio quella del tempo.

«Da una parte abbiamo davanti un tempo che finisce, “il muro opaco” come lo ha definito Vladimir Jankélévitch, filosofo francese. Dall’altra però c’è una mobilità di sensazioni temporali: i vecchi dimenticano le cose vicine e ricordano quelle del passato lontano, recuperando così tanti avvenimenti della vita che si fanno di nuovo presenti». Bisogna godere del tempo: «È ancora vita piena se ci sono affetti, famiglia, relazioni, incontri. Se c’è musica. Lettura. Teatro. Bicicletta. Passeggiate. Qualunque tipo di lavoro. La propria casa. Cucinare, conversare, coltivare fiori, conoscere paesaggi, respirare vapori di mare, profumo di monti». Con un però. «Non è detto che si affronti il tempo ultimo con la serenità che sarebbe auspicabile. C’è chi ha difficoltà economiche, chi è solo, chi ha una salute precaria. Ci vorrebbe un lavoro della comunità per far vivere bene gli anziani».

Vecchiaia significa anche cose che non si faranno mai più, luoghi dove non si andrà mai più, volti che non si vedranno mai più, voci che non si ascolteranno mai più. E poi: «La scoperta del mondo che si fa vuoto. Il venir meno di figure care». Non solo il proprio compagno, «una vera e propria amputazione che prima o poi accade». Ma la scomparsa dei volti che facevano il nostro mondo, che ci hanno accompagnato nei decenni. «Sappiamo che si nasce e si comincia a morire, ma sappiamo anche che quel momento è imprevedibile. Ovvio però che man mano che si va avanti, il tempo che resta diventa prossimità, vicinanza alla fine».

Così, molti che entrano “nell’età grande” «la sentono come riduzione della vita precedente, quella attiva. Ed è tristezza, perché tutto sembra vano, inutile. Invece bisogna capire che ci sono dei passaggi nella vita che vanno fatti, e imparare a dare grande valore a cose che si erano trascurate. Progetti? Sì. Ma non a lunghissimo termine. I progetti si spostano da sé ai figli, ai nipoti, al sociale che si ha intorno. In questo senso la vecchiaia può essere non marginale, ma di grande responsabilità. Io ho dato questo contributo, ora ne voglio dare un altro. Ricordando che la storia è fatta dei singoli gesti dei singoli individui». A questo bisogna tendere, a considerare la vita come viva e attiva anche negli ultimi momenti.

E poi, «quando si spalanca quella sorta di terra di nessuno che è la vecchiaia estrema, quella sorta di sospensione nel vuoto e nell’assenza che ci condurrà inevitabilmente a varcare la soglia» occorre (occorrerebbe) imparare anche il distacco, «elaborare un accoglimento della fine, sapere che, appunto, siamo destinati anche a finire, non solo a incominciare, e che soprattutto occorrerebbe addestrarsi, come in un esercizio di ascesi, a capire quando è il momento di disserrare le mani e il cuore e lasciarsi andare».

***

“Sono nata in un tempo che io stessa percepisco come antico… infarcito di guerre, saghe familiari, passioni e lutti, il mondo che raccontavano i miei nonni o i miei genitori. Ho conosciuto i banchi di legno con il calamaio incorporato per l’inchiostro, il riscaldamento a carbone, la ghiacciaia, strade libere dal traffico dove si poteva pattinare e andare in bicicletta, le sezioni femminili e maschili nelle scuole primarie, l’arrivo del telefono in casa…”.

“Sono entrata nell’età grande, quella fatta da un grande numero di anni, quella che comporta, a guardar bene, una rivoluzione nel modo d’essere, di guardare il mondo, di sopportarlo o di goderne, di aver cura del poco che rimane, di sperare talvolta che qualcosa, nel bene, possa ancora accadere. E di alzare almeno di poco quel velo segreto che ci separa da ciò che incautamente posso chiamare nulla, solo perché è totalmente inconoscibile”.

(Gabriella Caramore, L’età grande, Garzanti)

(credit foto in apertura: Giorgio Boato)

I social: