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Bret Easton Ellis, Le schegge. Sempre la solita magnifica solfa

Bret Easton Ellis o il suo alias ragazzo torna a guidare per Los Angeles su una svelta Mercedes 450SL ripetendo per noi i nomi dei boulevard in consolante litania. Partecipa da post adolescente a riti sociali vuoti di significato, adatti a fortunati cuccioli di danarosi dèi, sempre vicino a ville di design e piscine molto blu; stringe rapporti difensivi, formali e futili con l’esterno, mentre tira coca, fuma weed, prende uno o due Valium, e compie un’infinita serie di gesti meccanici, privi di un senso più profondo di quello puramente (ma esiste qualcosa di puro?) epidermico.

Fuori dalla sua zona di apparente conforto, via dalla routine del bon ton monotono e Kitsch degli anni Ottanta, con le Topsider ai piedi e i Foreigner sullo stereo, mentre l’insulsa fidanzatina gli lascia messaggi alla segreteria telefonica e lui biascica qualcosa agli amici palestrati con cui divide il minimo sindacale di cameratismo, si nasconde il suo vero ego, tra la scrittura di un romanzo (è Less Than Zero, ma potevano essere le prime pagine di questo libro, da sempre in gestazione) e un paio di possibili innamoramenti (o folgorazioni gay?).

Ne Le schegge (The Shards), edito da noi come tutto BEE da Einaudi, si prepara il nuovo giorno di una stagione scolastica, l’ultimo anno nell’esclusiva Buckley High School, con l’arrivo in classe di un compagno assolutamente sconosciuto, tal Robert Mallory, alla cui figura si appaiano sinistramente le gesta sempre più scoperte e mediatizzate di The Trawler, tradotto da Giuseppe Culicchia come “il Pescatore a strascico”, un serial killer presto famigerato per la ferocia e per i molti misteriosi e raccapriccianti rituali.

È improbabile che prima ci fosse un Paradiso, ma ora è l’Inferno le cui fiamme, datate 1981, hanno inseguito lo scrittore Bret Easton Ellis per quarant’anni e, come ci spiega lui nell’introduzione in primissima persona, lo hanno portato persino al pronto soccorso, stecchito d’ansia. Però adesso, in seguito a una serie di circostanze favorevoli, per BEE è giunto il momento di scriverne, spazzolandosi dalla spalla della giacca Armani la forfora del tempo caduta su una serie di romanzi monotematici e sempre un po’ troppo letterari, cioè post modern e di norma antipaticamente cool. Giova ricordare che l’ultimo testo di fiction di BEE, Imperial Bedrooms, è del lontano 2010 e racconta il ritorno a Los Angeles di Clay, il nome d’arte di Bret in Less Than Zero, durante le vacanze di Natale di venticinque anni dopo; American Psycho, invece, data addirittura 1991…

Ma dunque, io amo Bret Easton Ellis perché scrive e riscrive sempre lo stesso libro, con infinite variazioni, forse cercando di imbrogliare persino se stesso. Ecco perché la canzone, la storia, non suona mai uguale.

Questa volta, il serial killer The Trawler, ovviamente immaginario, invece di essere prima d’altro il simbolo ghiacciato di un’alienata dissociazione e di un paradossale e lugubre consumismo di corpi (ricordate il Patrick Bateman di American Psycho?), sembra possedere una più precisa esistenza reale, legata alla presunta autentica vita del presunto autentico BEE.

Con il sopraggiungere dei sessant’anni, lo scrittore si presenta sulla pagina più sensibile e fragile del consueto, come un qualsiasi ragazzo incerto riguardo le proprie tendenze sessuali e cresciuto per di più in una Los Angeles intimorita dal ricordo di Charles Manson – in fondo, BEE abitava a due miglia da Cielo Drive – e sotto minaccia di un’ondata di folli violazioni di domicilio…

Intanto, il suo “modo di scrivere” abbandona lo stile “bizzarramente complicato… borioso e triviale… drogato”, denunciato secondo lui dal New York Times all’epoca di Lunar Park (2005), romanzo che peraltro vanta un’altra, ma intricata e paradossale ricostruzione della biografia di BEE, confusa con il residuo dei “profondi e oscuri toni dostoevskijani” (Norman Mailer su Vanity Fair, ma è sempre lui, lo sfuggente e indegno di fede BEE, a riportarlo) che avevano caratterizzato American Psycho.

Bret Eston Ellis

Dicevamo: la canzone, la storia, non suona mai uguale e perciò neanche ora riesco a prestar fede a questo ennesimo sontuoso rammendo o rattoppo attorno ai vissuti di un ragazzo sul punto di essere colpito dalla fama oppure, più semplicemente, vengo di nuovo spiazzato da un’ennesima riscrittura proustiana – eh sì, il tempo provoca continue reinterpretazioni delle identiche glorie e delle consuete miserie – a proposito della serie di fatti e di influenze sia ideali sia atmosferiche, riguardanti l’esistenza e la sessualità del giovane BEE. Qui tra l’altro lui indica come scrittore preferito negli Ottanta Joan Didion, ma avverte che all’epoca leggeva molti prosaici best seller, da Martin Cruz Smith a Ken Follett.

Per paradosso, ancor meno gli credo quando BEE guarda in macchina, si toglie di dosso i panni di scrittore (ma lo fa davvero mai? può davvero mai farlo?) e, da semplice human being, si infila sontuosamente nei tunnel a lui ben noti di successo e paranoia – esemplare il pendant tra il primo capitolo di Lunar Park e l’introduzione di The Shards

Facciamo un piccolo passo a lato. Avevamo lasciato BEE molto di malumore nei saggetti di White {Bianco, Einaudi 2019) in cui divagava sulla società degli algoritmi e notava che siamo diventati tutti scrittori, poiché in versione social crediamo di avere qualcosa da dire. Secondo BEE, sul web dilaga l’atteggiamento indignato di chi pretende di essere offeso dalla realtà, chiede le scuse del mondo, e intanto che diffonde il suo privato dramma promuove la merce di un semplificato io. A fronte di questa conclusione, non restava – come minimo – che accantonare il progetto di scrivere la Great American Novel non più attesa da nessuno. E invece, guai ad arrendersi.

Il nuovo libro cartaceo di BEE è stato anticipato da una serie di podcast, realizzati lungo in un anno, dal 6 settembre del 2020 al 6 settembre del ’21. Leggendo Le schegge si può decidere che cosa questa rivoluzione comunicativa (ma davvero lo è?) può aver significato sulla scrittura di un Boomer. Risponde bene Sam Byers sul Guardian:“The Shards arrives in print form, and any lingering uncertainty that its brilliance lay more in the recitation than the writing can be dispensed with. The Shards isn’t just Ellis’s strongest novel since the 90s, it’s a full-spectrum triumph, incorporating and subverting everything he’s done before and giving us, if we follow the book’s ingenious, gleefully self-aware conceit, nothing less than the Ellis origin story”. Chi si avventura tra le 700 pagine sarà d’accordo.

(Credit:. BretEastonQEHall02023 (4 of 8) (52665049532)” by Raph_PH is licensed under CC BY 2.0Bret Easton Ellis, The Arches, Glasgow by Alan Dimmickis licensed under CC BY-SA 4.0.)

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