Ci sono persone che per mestiere, abitudini o passione, leggono i libri che escono valorizzati da un premio importante appena ne hanno notizia. Elena Stancanelli, nella sua brillante carriera di giornalista, sceneggiatrice e scrittrice, ne ha portati a casa più d’uno, di questi premi, e chissà quanti di noi saranno andati in libreria anche per comprare la sua ultima opera: Il tuffatore, editrice La Nave di Teseo, febbraio 2022. Ma può capitare anche di prendere in mano il libro più tardi e ricordarsi che nel 2022 fu tra i finalisti del Viareggio battuto solo per un soffio, epperò rimasto in testa perché ti era sembrato interessante sebbene lo avessi, poi, dimenticato. Dare un’occhiata alla foto della prima di copertina e alla quarta, alle alette e poi girare qualche pagina, diventa perciò un obbligo e un piacere il giorno che lo rincontri in libreria e sei indotto a comprarlo semplicemente perché, quel giorno, ti va. Lo capisci dalla copertina – grigio chiaro e velato con solo un uomo che si sta tuffando ad angelo, le braccia aperte e i piedi uniti – oppure perché ti sovviene che il protagonista del tuffo potrebbe essere Raul Gardini, personaggio di una storia non lontana cui la sola aggiunta di una “r” trasformerebbe la parola da “tuffatore” a “truffatore”.
Gardini, come sapete, morì suicida, e questa sua morte non può costituire il finale a sorpresa che spesso ci si aspetta da un libro perché di lui, all’epoca, si era parlato molto per la fortuna imprenditoriale, per i modi un po’ fuori dagli schemi (lo chiamavano alternativamente Il contadino o Il pirata) e per le imprese marinare nell’America’s Cup. Ma, soprattutto, perché alla vigilia di una convocazione nella Procura di Milano dovuta ai fatti di Tangentopoli, non avresti mai immaginato che potesse uscire di scena con un colpo di pistola. Insieme al mistero della sua morte, nell’abusare (forse) di quella “r” di troppo, non potresti non provare una certa compassione e il desiderio di saperne di più.
Il tuo desiderio si appagherà leggendo questo libro? C’è poco da sentirsi appagati per una tragedia che coinvolge le vicende di un intero nucleo familiare e l’intreccio tra grandi imprese vere oppure grandissime e fantasticate. Si va dalla Ferruzzi/Eridania, produttrice di zuccheri, posseduta dal suocero e incredibilmente cresciuta sia in Italia sia all’estero, alla ramificazione, col genero, in attività ancor più complesse: dallo sfruttamento di prodotti agricoli per la produzione di plastiche biodegradabili anziché inquinanti da fonti fossili, fino all’Enimont che prefigurava uno scenario del tutto nuovo nel settore dell’energia e della chimica rispetto a quello ipotizzato dalla vecchia classe dirigente italiana. Cioè La razza padrona di cui scrissero Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani per Feltrinelli nel 1974 e La casta di cui scrissero Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella per Rizzoli nel 2007. Dal 1974 al 2007 tutto, difatti, cambiò. C’era stato il terrorismo, Mani pulite e la nascita della Seconda Repubblica. Raul Gardini si uccise nel 1993 mentre, ironia della sorte, a Maastritch nasceva l’Unione Europea. Nel 1989 cadeva il muro di Berlino e nel 1999 l’Italia adottava la moneta unica, l’euro.
Ora: su tutto questo ci sarebbe molto da ragionare, anche in termini di complottismo, ma la Stancanelli per fortuna non lo fa. Da brava giornalista racconta i fatti, da sceneggiatrice descrive gli ambienti e tratteggia i personaggi, da scrittrice scava su se stessa e sulle relazioni fra esseri umani che le sono stati contemporanei. Su questo possiamo brevemente soffermarci perché lei non si nasconde. Nella prima parte del libro parla di un diario che ben presto, per ragioni che leggerete, sospende. Parla anche della frequentazione dei lidi ravennati cui approda benché nata a Firenze e ne fa luogo ideale di personaggi felliniani come lo stesso Gardini: personaggi portati all’iperbole, alla ricerca di avventure reali o immaginarie purché tali da riscontrare visibilità, una sorta di ironica promozione di se stessi per andare incontro a nuove avventure ma senza perdere il legame col mondo provinciale da cui provengono. La stessa autrice, come abbiamo detto, sospende il diario che aveva cominciato da ragazzina, ma continua a raccontarsi e a raccontare gli altri come se scrivesse una lettera alla più cara amica, certa R., prematuramente e dolorosamente scomparsa.
Qui non mancano tratti di poesia sebbene la sua prosa non indulga eccessivamente ai generi letterari. Anzi, si può dire che questo libro non appartiene ad alcun genere: né di tipo narrativo né di tipo saggistico, figuriamoci poetico. Piuttosto vi si rintraccia, ma molto in trasparenza, la struttura del melodramma pur senza affettazione. C’è una prima parte, quasi un’ouverture, fatta di ricordi, nostalgie e aspettative. C’è un recitativo tipico della giornalista che riferisce, senza sfoggio, cose vissute e cose apprese potendo leggere o intervistare altri (in ultimo darà conto di una numerosa raccolta di contributi che, però, non sono assimilabili a una vera e propria bibliografia). Dopodiché, si assiste all’epilogo e sembra di sentire il coro che canta di ragioni profonde che animano questa storia: lo sdoganamento del capitalismo finanziario a scapito del capitalismo industriale di tipo familistico in cui l’Italia ha indugiato per troppo tempo, il passaggio dalle tecnologie novecentesche a quelle informatiche, il neoliberismo che apre a nuove energie il mercato globale ma ne resta ben presto prigioniero manifestando nuove contraddizioni cui le giovani generazioni, arricchitesi nella Silicon Valley, non riescono a fare fronte.
Come in tutte le opere in cui scorre il melodramma, inoltre, c’è un’aria, una melodia (seppure sobria) che percorre tutto il libro: l’idea un po’ scespiriana che le cose vanno come devono andare, che i caratteri sono archetipi cui non si può porre rimedio, che ci si può stupire, si può analizzare, ma non c’è niente da giudicare perché le cose vanno sempre così… dove devono andare. E si sente che la Stancanelli lo scrive senza cinismo, semmai con un pizzico di ironia. Tant’è che se un appunto glielo vogliamo fare, riguarda un video che si trova ancora in rete su Raiplay, nel quale dichiara che la storia di Raul Gardini è l’epilogo del maschio italiano in un’epoca patriarcale che non è ancora del tutto finita. Forse sì forse no, ma non pare che sia questo il cuore del libro che ha scritto. Ci sono due personaggi, ne Il tuffatore, che per il carattere e un certo maschilismo assunsero una certa notorietà durante gli stessi anni seppure per ragioni diverse: Craxi che a molti risultava antipatico, e Gardini che a tanti altri risultava simpatico. Del resto il socialista Riccardo Lombardi, pur essendo un fiero avversario di Craxi, ammetteva che il segretario del suo partito avendo un carattere non poteva che avere un cattivo carattere.
Si può dunque ritenere che, qualsiasi sia l’epoca e la collocazione nella scala sociale di un personaggio, ci sono e ci saranno sempre differenze di giudizio almeno riguardo allo stile? Non sarà la questione più importante, ma c’è. Lo stile di Raul Gardini, ricordiamolo, soprannominato Il contadino o Il pirata, era diverso persino da quello di Giovanni Agnelli che pure le cronache mondane consideravano maestro di stile. Ma Gardini, è convinzione diffusa che ispirasse più fiducia e simpatia di altri dello stesso ambiente che, per le attività che svolgevano e per le ambizioni che avevano, doveva frequentare anche se avrebbe preferito di gran lunga il mare, le sue imbarcazioni e gli equipaggi con cui correva nell’America’s Cup. Qualcuno dice che gli piacesse soprattutto il gioco, e che anche gli affari li considerasse nient’altro che divertenti e lucrose partite di poker. Ma come tanti grandi giocatori, avvertendo di aver perso con Tangentopoli l’ultima mano, quella del piatto troppo ricco per le sue possibilità, non aveva trovato di meglio che uccidersi nel palazzo di Piazza Belgioioso a Milano. Lo avesse fatto a Ca’ Dario, l’altro suo palazzo di Venezia, avrebbero detto che era rimasto vittima del destino cinico e baro perché lo aveva comprato pur sapendo che quella magione aveva fama di portare sfortuna a chi l’abitava.
Anche di questo vi parlerà il libro della Stancanelli, che pure non abusa di ciò che fu considerata la madre di tutte le tangenti, ovvero l’oggetto del processo Enimont che portò alla sbarra e alla condanna Sergio Cusani (con l’accusa del più giovane magistrato Antonio Di Pietro e la difesa del più vecchio avvocato Giuliano Spazzali), consulente finanziario di Gardini ed ex sessantottino della Statale di Milano che, da studente, pare usasse parcheggiare la Ferrari in una strada posta dietro via Festa del Perdono da dove, indossato l’eskimo, s’incamminava per partecipare alle manifestazioni. Cusani, peraltro, ricorderete che di tutti gli imputati, fra cui Forlani e Craxi, fu l’unico ad ammettere almeno la responsabilità di essere il latore delle tangenti e a chiedere il rito abbreviato che gli comportò una condanna a cinque anni e dieci mesi più una cospicua pena pecunaria. Concludiamo ricordando, per inciso, che uscito dal carcere Cusani affermò, come altri tra cui diversi magistrati, che un sistema diffuso di corruzione esisteva ancora e, forse, si era rafforzato. Ogni riferimento all’avvento di Silvio Berlusconi, anch’esso ricordato nel libro, è puramente casuale.
A voi, dopo la lettura de Il tuffatore, una riflessione più aggiornata a questi tempi di delusione politica, d’impoverimento economico con l’1% per cento dei ricchi che possiedono il 50% delle risorse mondiali, con l’ambiente che viene depauperato dall’uso che se ne fa, il ritorno della guerra in Europa e nel mondo financo, oltre alla Russia e all’Ucraina, la recrudescenza del conflitto tra israeliani e palestinesi di questi orribili giorni o, meglio, fra coloro che comandano questi popoli, esprimendo risentimenti crudeli e sembrando non volere assolutamente una convivenza pacifica e civile.
- L’ultimo libro uscito di Fabio Baldassarri è PiombinoNapoliBagnoli. Storia di acciaierie dismesse e di un rigassificatore insostenibile (Kairós)