Voi non lo sapete, ma io potevo diventare un edicolante. Qualche anno dopo la fine della guerra, il mio bisnonno era il postino, il camiciaio e il giornalaio di Quarto, un piccolo centro della campagna bolognese, una frazione del Comune di Granarolo dell’Emilia.
Non l’ho conosciuto, ma mi dicono fosse un tipo piuttosto originale (da qualcuno avrò preso). Quando ebbe l’età per andare in pensione, “lasciò” il lavoro alle Poste a suo figlio – allora era un diffuso sistema di welfare garantire ai figli il posto pubblico che era stato dei genitori – mentre l’edicola toccò a sua figlia, ossia la madre di mia madre. L’arte di realizzare camice è andata perduta con lui. Quindi per discendenza matrilineare l’edicola di Checco Sarti sarebbe potuta diventare un giorno mia. A dire il vero ormai non era più propriamente un’edicola, ossia una piccola costruzione su suolo pubblico. Quando io ero bambino, nei primissimi anni Settanta, la vecchia edicola in legno verde venne rimpiazzata da una più moderna e grande edicola in metallo e infine anche questa fu smantellata, quando i miei nonni decisero che era tempo di trasferirsi in un negozio che si trovava sempre lì di fronte. Quando poi fu chiaro che io non avrei continuato quell’attività, quando ho annunciato che mi sarei iscritto a filosofia, la mia famiglia la cedette e io effettivamente ho preso un’altra strada che, un po’ tortuosamente, mi ha portato fin qui. Ricordo che da assessore del Comune di Granarolo mi è capitata tra le mani la richiesta che i miei nonni avevano fatto per installare la nuova edicola e allegata c’era una foto in cui c’eravamo mio nonno ed io per far vedere l’impatto di quella “nuova” costruzione.
L’edicola – continuo impropriamente a chiamarla così – a Quarto ha provato a resistere, ma ha chiuso, nonostante chi la gestiva abbia cominciato ad ampliare la propria offerta. Ma la chiusura delle edicole è una tendenza ormai inesorabile: forse oggi anch’io sarei uno dei tanti edicolanti senza un lavoro.
Quando io ero un ragazzino e naturalmente aiutavo i miei nell’attività di famiglia, l’edicola era una specie di servizio pubblico. Io sono letteralmente cresciuto in quell’edicola, ho imparato a leggere presto perché avevo a disposizione tutti quei fumetti e successivamente anche la mia educazione “sentimentale” ha beneficiato di quanto c’era in edicola, anche se in quel caso non serviva leggere. Ma questa è un’altra storia.
L’edicola non poteva chiudere mai, se non la domenica pomeriggio e i pochissimi giorni in cui non uscivano i quotidiani – il 26 dicembre, il 2 gennaio, il lunedì di Pasqua, il 26 aprile, il 2 maggio, il 16 agosto – perché allora il giornale era considerato un bene primario: neppure la latteria e il forno stavano aperti quanto l’edicola. E ricordo che quando, dopo la strage del rapido 904 del 23 dicembre 1984, i giornali decisero di non sospendere la pubblicazione neppure per un giorno, noi aprimmo anche per santo Stefano.
L’edicola era considerata di fatto un servizio essenziale, pur essendo gestita da un privato. Non era facile avere un’edicola, comportava delle rinunce: ad esempio le ferie estive della mia famiglia erano fortemente contingentate proprio perché l’edicola non chiudeva mai. E dovevamo alzarci prestissimo per ricevere i giornali e consegnare i resi. Ma ovviamente ciò era ripagato dal fatto che era un’attività che sarebbe continuata per sempre, perché non soggetta al mercato, almeno così si pensava allora. Per la generazione dei miei genitori e tanto più per quella dei miei nonni un’edicola a Quarto ci sarebbe sempre stata. Ci doveva sempre essere. Anche per me.
Non è più così. Adesso l’edicola può chiudere, anche a Quarto. Perché è diventata un’attività commerciale come un’altra e, come tale, soggetta alle leggi del mercato. Se non vendi, chiudi. E i giornali non si vendono più, le riviste non si vendono più, le enciclopedie a fascicoli settimanali non si vendono più. E immagino si vendano molto meno anche i giornali porno, che erano uno degli articoli di maggior “richiamo” (ovviamente a Quarto si vendevano questi giornali a persone degli altri paesi, e quelli di Quarto andavano a comprarli nei paesi vicini: è stata la prima rudimentale forma di “turismo sessuale”).
È colpa di internet – diranno subito i miei piccoli lettori – e forse avete ragione. Wikipedia e Youporn sono gratuiti e non bisogna neppure andare in edicola per avere una massa di informazioni – e non solo – paragonabile a quella disponibile in un’edicola. Ma non ne sono del tutto convinto. O almeno non è solo colpa della rete.
Certo è cambiata la nostra vita: adesso la mattina, prima di passare davanti a un’edicola – che pure è circa a metà del breve tragitto tra casa nostra e il municipio – ho già sentito un giornale radio nazionale, la rassegna della stampa estera e ho dato un’occhiata alle ultime notizie sul telefono. Quando passo davanti all’edicola – intorno alle 7,15 del mattino e saluto la giornalaia che di solito a quell’ora è fuori a fumare – i giornali che ci sono dentro sono già “vecchi”. E infatti io non acquisto un quotidiano da giugno del 2011, ossia da quando ho smesso di fare il pendolare tra Quarto e Salsomaggiore e quindi il giornale mi serviva soprattutto per tenermi sveglio. Ma temo che quei giornali siano “vecchi” non solo perché so già le notizie, ma perché so già anche i commenti. Dal momento che ciascuno di loro esprime una linea editoriale piuttosto netta, rappresenta in qualche modo un “partito”, ho scarso interesse a leggere commenti che conosco già, perché per lo più i giornalisti scrivono quello che gli dicono di scrivere, pro o contro il governo di turno. Al massimo potrei comprare un giornale per gustarne lo stile letterario, per imparare a scrivere, ma visto il livello della prosa – e a volte anche della sintassi – degli articoli, preferisco non spendere l’euro e cinquanta di un giornale. Credo che le edicole chiudano anche perché i giornali sono poco utili.
Una città senza edicole è un po’ più brutta, perché le edicole sono presidi del territorio. O almeno lo erano. E anche un paese senza giornali è un po’ più brutto, è un più povero. vediamo cosa sta succedendo a una società fatta di persone che si informa da sola, che pensa di poter sapere le cose senza mediazione. A Quarto nella prima metà dei Settanta non erano tanti quelli che avevano studiato, moltissimi come mio padre si erano fermati alla quinta elementare, ma se fosse arrivato uno a dire che la terra è piatta sarebbe stato guardato al massimo con condiscendenza. Anche perché c’era l’edicola, c’erano i giornali e c’erano persone che li leggevano.
- Luca Billi ha pubblicato il romanzo Anything Goes (Villaggio Maori Edizioni). Anything Goes è anche uno spettacolo teatrale. Per tenersi informati, qui
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