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Allonsanfàn
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Gite. Sulle tracce di Le Corbu e per caso di Eileen Gray

Il dialogo stava proseguendo da diversi minuti, ma solo quando una delle due signore, alle quali mi ero rivolto per un’informazione, si consultò con l’altra in italiano, ci rendemmo conto di essere tre italiani che stavano confabulando tra di loro in francese. Intendiamoci, non potrei ingannare nessuno in questo modo, ma quella volta andò proprio così. Piccole soddisfazioni d’un italiano in vacanza. Le signore, che da anni frequentavano la zona, non erano state in grado però di darmi l’informazione che stavo cercando e cioè dove si trovasse il cimitero di Roquebrune.

Succedeva qualche anno fa in Francia. Eravamo arrivati a Cap Martin quella mattina stessa, desiderosi di visitare il Cabanon di Le Corbusier. Per me era la prosecuzione di un percorso iniziato anni prima a Poissy, proseguito poi a Ronchamp e quel giorno appunto a Roquebrune, sulle orme del geniale e controverso architetto svizzero, naturalizzato francese.

Villa Savoye a Poissy era stata una rivelazione. L’emblema dei cinque punti enunciati dall’architetto, nello scritto Vers une Architetture. Una residenza ormai centenaria ma ancora straordinariamente attuale. Mi ha affascinato, lasciandomi una sensazione indefinita che porto ancora con me. Quel disorientamento che non ti permette mai di percepire se ti trovi davvero in un interno o in un esterno, una contiguità abitativa e visiva persistente e indefinibile. Un’esperienza unica.

Notre Dame du Haut, Ronchamp
Notre Dame du Haut, Ronchamp

Notre Dame du Haut a Ronchamp, dispersa in un paesaggio francese che ho faticato a riconoscere, è apparsa all’improvviso, in cima alla collina. Una sorprendente espressione artistica di questo visionario architetto. Dei suoi cinque punti che proclamava “vérités irrécusables” non era rimasto più nulla. Nella vita, si sa, si può anche cambiare idea. È stata comunque un’esperienza immersiva totale. Una rivelazione sull’uso straordinario della luce naturale, che all’interno della chiesa ti sorprende e fa emergere un sentimento mistico spontaneo. Servirebbero pagine e pagine per raccontare tutto questo, ma non ora, non qui.

A Roquebrune eravamo arrivati quella mattina stessa. Ero desideroso di capire qualcosa in più su una realizzazione per me incomprensibile, Le Cabanon appunto di Le Corbu, come lo chiamavano gli amici e come amava firmarsi con lo schizzo di un corvo.

Lasciata l’auto nel parcheggio vicino alla stazione, con mia moglie mi ero inoltrato lungo il sentiero dei doganieri che, costeggiando il promontorio, giunge fino a Mentone. Il posto che cercavamo non corrispondeva affatto all’idea che avevamo in mente e faticammo a trovarlo. Infilato un breve sentiero scosceso ci trovammo finalmente di fronte al Cabanon di Le Corbusier. Rimanemmo in silenzio per qualche attimo, disorientati.

La promenade Le Corbusier a Cap Martin

Il posto era trascurato. La vegetazione non governata si era ripresa alcuni spazi. Il Capanno risultava chiuso senza alcuna indicazione. Una desolazione. Poi scorgemmo un minuscolo cartello quasi illeggibile. Indicava che il Cabanon, in crudo legno, veniva aperto solo su appuntamento, ma il numero di telefono era ormai scomparso. Era evidente che non venisse aperto da tempo. Nessun segno di vita apparente, solo il rumore del mare in basso, giù tra gli scogli.

Non immaginando un abbandono di questo tipo rimanemmo entrambi disorientati.

Che fare?

Dopo qualche esitazione, cercai di uscire da quell’impasse e mi ricordai d’aver letto qualcosa… su una villa particolare, progettata da un architetto… che non ricordavo…  ma che doveva essere proprio lì nelle vicinanze. Tra me e me pensai “E se fosse più interessante del Cabanon?”. Risalimmo il sentiero e aggirato il bistrot L’Etoile de mer, anche lui chiuso, arrivammo quasi subito al cancelletto della villa. Ma forse non era proprio giornata. Dietro le reti la Villa E-1027 pareva abbandonata da anni. La logora cartellonistica da cantiere la definiva in restauro. Dal contesto era chiaro che erano anni che era in restauro “abbandonato”.

Venne spontaneo dirlo alla francese: “Merde”.

Serviva una pausa di riflessione.

Che altro potevamo fare per riconciliarci con la sorte e ridefinire la nostra gita?

Scendemmo sugli scogli sotto al capanno per cercare un posto dove poter pensare e assaporare il respiro del mare.

Franca, tolte le scarpe e per nulla vinta dagli eventi, tirò fuori le sue guide e si mise alla ricerca di informazioni. Lei è brava a trovare spunti. Un’insolita tranquillità era sparsa tutt’intorno. Non un’anima viva. Solo il suono del mare da sempre uguale a se stesso e una lieve brezza dal profumo mediterraneo, portatrice forse di chissà quali ispirazioni. Dietro di noi il capanno era appena visibile, mentre alla sua sinistra, un po’ discosta, la villa E-1027 ribadiva la sua presenza in un ormai sbiadito e consumato candore.

Le Corbusier negli anni Cinquanta

Mentre mia moglie cercava indizi tra le righe io, tornato al motivo della nostra visita, mi interrogavo sul Cabanon. Quale impulso avrà spinto uno dei più noti architetti a costruire nel ’52, usando il suo Modulor, un capanno di 3,66 x 3,66 x 2,26 metri, come casa al mare? Per capirci, qualcosa di poco più grande di una cabina da spiaggia. Si dice sia stato un regalo alla moglie Yvonne per il suo sessantesimo compleanno. Quale insolito regalo per una mannequin monegasca abituata ad una vita agiata e a ben altri spazi. Il loro appartamento a Parigi, ad esempio, era di 260 mq. Le Corbu aveva comunque dichiarato “A un uomo in vacanza non serve molto più di un letto, servizi, un tetto e la vista del sole che risplende sul mare”. Beh…bella frase. Bella frase davvero. Ma perché la trovavo così… insipida? Forse perché non vedevo nessuna delle sue tipiche finestre a nastro per godere appunto “della vista del sole che risplende sul mare”? Con le sue modeste aperture il capanno mi pare un rifugio da asceta e non un luogo dove andare in vacanza. Per quale ragione rinchiudersi lì dentro? Non riuscivo e non riesco ancora a comprendere.

Pare che Le Corbu e la moglie non cucinassero mai. I pasti venivano consumati al bistrot attiguo. Una porta interna collegava il Cabanon direttamente a L’Etoile de Mer. Di fatto un’estensione a giorno della loro zona notte. Ma anche così, la cosa mi risulta poco credibile.

E poi Franca fa emergere una storia, una strana storia.

Parla del rapporto apparentemente di amicizia, con i vicini della villa E-1027, Eileen Gray e Jean Badovici, che avevano scelto proprio questo posto isolato a picco sul mare per costruire il loro nido d’amore, dopo aver perlustrato in lungo e largo tutta la Costa Azzurra.

La villa E-1027 a Roquebrune-Cap Martin

I due si erano conosciuti a Parigi. Lui, arrivato dalla Romania, era diventato critico d’arte e architetto ed era stato cofondatore della rivista L’Architecture Vivante. Lei, una benestante signorina irlandese, dopo aver studiato a Londra, si era trasferita definitivamente a Parigi per occuparsi d’arredamento e design d’interni. Progettava per i suoi clienti accessori, mobili e tappeti in Art Déco. Ai tempi aveva fatto scalpore la sua relazione con l’eccentrica cantante Damia. Una relazione molto chiacchierata nella Parigi degli anni venti del secolo scorso. Poi si era innamorata perdutamente di Jean e anche l’insegna del suo negozio “Jean Desert” ribadiva il suo nuovo amore.

Fu lo stesso Badovici a farle conoscere Le Corbusier e portarla all’Exposition Internationale Des Art Décoratifs et Industriels Modernes nel 1925. Fu una rivelazione. Decise di abbandonare l’Art Déco proiettandosi anima e corpo verso il Modernismo. Jean la introdusse anche all’architettura ed Eileen diede il meglio di sé nella realizzazione della loro villa E-1027 (E=Eileen 10=J  2=B  7=G sigla della loro unione). Diversamente da quello che fu creduto per anni, il progetto risulta essere in toto di Eileen, che con grande determinazione si buttò a capofitto nell’impresa senza allontanarsi mai dal cantiere, per tutto il tempo della costruzione. Disegnò ogni singolo elemento architettonico e decise che le pareti della villa dovessero rimanere assolutamente bianche.

“Per creare si deve mettere in discussione tutto” diceva.

Anche i tappeti, gli accessori e tutti i mobili furono progettati da lei. Oggetti particolarmente funzionali e innovativi tuttora in produzione, ma anche esposti in vari musei in tutto il mondo. Eileen, applicando i principi architettonici enunciati da Le Corbusier, aveva realizzato un capolavoro con un anno di anticipo su Ville Savoye.

Che peccato vederla abbandonata in questo modo e non poterla visitare.

Ce lo siamo ripromessi… “un giorno ritorneremo”… sperando in un suo recupero.

La gita a Cap Martin doveva servire a capire qualcosa in più su un capanno, invece è emersa una storia molto più intrigante e avvincente, che ci condusse infine alla tomba di Le Corbusier, nel cimitero di Roquebrune. In un cimitero si può cogliere molto più di quello che uno possa immaginare.

Fu a quel punto che tornammo al parcheggio e incontrammo le due signore citate all’inizio, le quali, come già sappiamo, non furono purtroppo in grado di indicarci alcunché.

Risalimmo in macchina prendendo a caso in una direzione. Per fortuna, dopo un breve tratto apparve un cartello che indicava CIMETIÈRE. Imboccammo la strada che, superato uno spiazzo dove alcuni forestali stavano facendo capannello, si inoltrava serpeggiando tra i boschi fino a restringersi drasticamente. Troppo stretta pensammo e fatta inversione ritornammo a valle. Il crocchio di forestali si stava ormai dissolvendo, l’ultimo rimasto armeggiava con la serratura dell’auto. Mi fermai, abbassai il finestrino e salutandolo chiesi indicazioni per il cimitero. Rispose in modo strano. Non gli sembrava il momento per mandarci al cimitero, poi rise. Io non capii e gli chiesi “È forse chiuso?”. Rise di nuovo. Lo diceva per noi, gli sembravamo ancora troppo giovani per essere mandati al cimitero. E rise ancora. Gli dissi che stavamo soltanto cercando una tomba. La tomba di Le Corbusier. “Je m’en fous de Le Corbusier, je pense qu’à prendre du bon temps et bien bouffer”. Rimasi di stucco. Cosa potevo ancora dire? Poi, inaspettatamente, fece cenno di seguirlo in auto, su per la strada appena percorsa. Ci rendemmo conto che sarebbe bastato proseguire per altri trecento metri per arrivare al cimitero. Il signor “JE M’EN FOUS” in realtà fu molto gentile. Con nostra sorpresa sapeva esattamente dove si trovasse la tomba e quale fosse il percorso più breve per raggiungerla. Dopo qualche battuta si accomiatò stringendoci le mani, “Je vais manger maintenant, salut” e se ne andò senza voltarsi. Proprio uno strano personaggio.

LE CORBUSIER
La tomba di Le Corbusier e di Yvonne

Con le sue indicazioni giungemmo rapidamente alla tomba dove riposano i coniugi Le Corbusier. Si trova su uno dei terrazzamenti in alto nel cimitero. Una posizione invidiabile per la straordinaria vista sul mare. Mare, mare e ancora mare, fin dove può spingersi il tuo sguardo. La tomba è semplice, in cemento a vista, forse più semplice di quelle attorno. Ci sono solo un cilindro e un blocco trapezoidale con il fronte incavato. Nell’incavo le nere epigrafi in corsivo risaltano sulle vivaci pennellate da tramonto sul mare. L’insieme è di una semplicità assoluta.

Un posto molto tranquillo. Intanto dal basso, poco lontano, i rintocchi di una campana scandivano il mezzogiorno.

Rimanemmo per qualche tempo seduti sulle scale, lasciando che i nostri pensieri facessero il loro giro e tornassero a ciò che avevamo letto. Era emerso un aspetto singolare, ma un po’ inquietante. Dopo qualche anno la relazione tra Eileen e Jean si spense e la villa rimase sovente disabitata. Una volta accadde però che Jean ospitasse il celebre vicino, che in quell’occasione si prese la libertà di “decorare” con dei murales le pareti interne della villa, violando il loro candore. Si fece anche fotografare nudo, mentre eseguiva delle figure che alludevano alla bisessualità della Gray. Eileen lo considerò un oltraggio e non mise più piede nella villa.

Si sistemò poco lontano, a Mentone, dove realizzò un’altra villa, Tempe a Pailla, ma non ritrovò più quell’ispirazione che l’aveva portata a primeggiare in quel modo. Si ritirò gradualmente dalla scena pubblica, conducendo una vita appartata, senza far più parlare di sé.

Qualcuno si è spinto a ipotizzare che i dipinti di Le Corbusier sulle pareti della villa siano stati un modo per marcare il territorio, come anche Le Cabanon e Les Unités de Camping, progettati da lui diversi anni dopo e costruiti proprio lì accanto.

Pare che non avesse mai sopportato che questa donna, tanto libera e irriverente, fosse riuscita così bene in quell’ambito professionale, allora ritenuto di competenza esclusivamente maschile.

Eileen Gray

Sono passati alcuni anni da quella gita e la consapevolezza che Eileen Gray sia una grande artista, è ampiamente consolidata. Nel frattempo c’è stato un costoso e minuzioso restauro sia della villa E-1027 che del Cabanon. Ora tutto il sito è nuovamente visitabile. Inoltre da queste vicende è stato tratto un film, The price of desire, incentrato proprio sul complesso rapporto tra Le Corbusier e Eileen Gray.

Forse non ci sarà mai nessuna risposta chiara a certe supposizioni. L’unica cosa certa è che Le Corbusier morì proprio là sotto, in mare, mentre faceva il bagno.

C’è chi immagina che l’ultima cosa che vide dal pelo dell’acqua sia stata la Villa E-1027, adagiata sugli scogli, immobile… un po’ sfrontata… nel suo elegante e abbagliante candore.

Nella foto grande, il Cabanon di Le Corbusier (Credit: Le Corbusier track around Cap Martin by Renek78 is licensed under CC BY-SA 4.0. Le Corbuser- Notre Dame du Haut, Ronchamp, 1954 by roryrory is licensed under CC BY-SA 2.0. wereldreis2_122_03 Le Corbusier in India 1955 by IISG is licensed under CC BY-SA 2.0. Le Corbusier by dierk schaefer is licensed under CC BY 2.0.)

 

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