La proprietà transitiva non esiste in letteratura. Nonostante l’indubbio talento, Leonard Woolf non vale la moglie Virginia, così come Alice Toklas non regge il confronto con Gertrude Stein, compagna di vita; per non parlare di Martha Gellhorn, giornalista tra le più importanti corrispondenti di guerra del ventesimo secolo, che oggi ricordiamo solo per esser stata la terza moglie di Hemingway. Pur avvertito di questa regola aurea sono caduto in trappola. L’amore che nutro per Maria Wislawa Szymborska mi ha indotto ad acquistare un libro di racconti del suo amato (amatissimo) Kornel Filipowicz.
Filipowicz, per un quarto di secolo compagno di Wisława Szymborska, è il protagonista nascosto di molte sue poesie a partire dalla celebre Il gatto in un appartamento vuoto. Tracce lievi e discrete della loro relazione si trovano in due biografie che il vero szymborskaiano non può fare a meno di leggere: Nulla di ordinario. Su Wisława Szymborska (Michał Rusinek, Adelphi) e Cianfrusaglie del passato. La vita di Wislawa Szymborska (Anna Bikont e Joanna Szczesna, Adelphi). Impossibile quindi non incontrare le prose di Filipowicz, nonostante le dichiarazioni del curatore della prima edizione italiana, il chiarissimo professor Andrea Ceccherelli, il quale senza timore di smentita sostiene che Filipowicz “è considerato oggi un maestro delle prose brevi”.
Ancor più del romanzo, la “prosa breve” è uno dei territori più trafficati nella storia della letteratura. Generazioni di talenti più o meno grandi, più o meno versati nell’arte della concisione narrativa, hanno calpestato un terreno reso sempre più inviolabile da ogni nuova conquista espressiva. Inutile fare esempi o graduatorie. Chiunque appartenga al novero dei lettori forti (“forti” qualitativamente, beninteso) sa che la prosa breve reca il sigillo di Čechov, di Joyce, di Borges, di Hemingway; e, per restare in ambito lituano polacco, di quel tesoro di intelligenza e di scrittura che Czesław Miłosz ci ha regalato alla soglia dei novant’anni con Il cagnolino lungo la strada.
Così, dopo aver letto qualche pagina di Filipowicz l’idea che qualcuno possa considerarlo “un maestro delle prose brevi” appare ingiurioso più che avventato. Non solo la sua prosa è anonima come l’edilizia polacca in epoca sovietica, ma Filipowicz racconta in modo insignificante storie insignificanti. Il guaio – come sa bene chi ama la letteratura – sta nel fatto che non è quasi mai la “significanza” di un argomento a fare la differenza.
La conferma giunge puntuale dalla lettura parallela di Come vivere in modo più confortevole, volumetto di letture facoltative* di Wisława Szymborska acquistato nello stesso giorno. Il confronto è impietoso: poche righe e si comprende di essere in compagnia di Wisława Szymborska. Nonostante siano prose d’occasione, piccoli pezzi di una pagina, una pagina e mezza, brillano di quell’intelligente ironia che illumina la sua poesia. Il segreto? Come tutti i grandi autori, Szymborska ha saputo conquistare il tono e il linguaggio che la rendono unica e immediatamente riconoscibile, come il volto di una persona cara in mezzo alla folla.
Il gatto nell’erba bagnata, questo il titolo che Marietti 1820 ha dato alle prose di Filipowicz, raccoglie storie che cinque minuti dopo averle lette non ricordi più; interrogati, si risponderebbe a fatica, anche se dalla risposta dipendesse la vita: com’era la storia degli amanti che si lasciano? e quella del tizio che cerca una casa di vacanze? e il gatto? cosa ci faceva il gatto nell’erba bagnata? (Ma ci sarà stato davvero un gatto nell’erba bagnata? I gatti non detestano l’umidità?). Resta da aggiungere che la raccolta “trae origine da un progetto traduttivo realizzato all’Università di Bologna nell’ambito del corso di lingua polacca tenuto dal prof. Andrea Ceccherelli”.
La proprietà transitiva non esiste in letteratura. L’amore tra letterati a volte sì.
* Letture facoltative: “Nei lontani anni Sessanta W. Szymborska, incuriosita dal divario fra l’attenzione che i recensori riservano ai libri ‘nobili’ (narrativa, saggistica storico-politica, classici), destinati tuttavia a restare in buona parte sugli scaffali delle librerie, e il vasto successo riscosso da libri di tutt’altro genere (quelli di banale divulgazione scientifica, manuali del fai da te, almanacchi), decise che valeva la pena di dedicare proprio a questi ultimi qualche considerazione. Non da critico professionista, certo, ma da amateur, usando il libro come pretesto per divagazioni in punta della sua caustica penna: «In ultima analisi mi sono resa conto di essere e voler restare una lettrice amatoriale, su cui non gravi l’imperativo di un’incessante valutazione. Per me, talvolta, il libro può costituire l’argomento centrale, talaltra solamente il pretesto per abbandonarmi a fuggevoli associazioni di idee».
Da allora questa eccentrica opera di scavo non si è mai interrotta, e continua a produrre anche nel nuovo secolo i suoi frutti sapidi di humour: da un malizioso commento sull’incontro tra Andersen e Dickens agli inconvenienti del vivere quotidiano a corte nella sfolgorante Polonia settecentesca; dalle improbe fatiche cui medium e occultisti devono sobbarcarsi in privato per esercitare al meglio le loro arti alle insospettate possibilità espressive dell’alfabeto cinese; dall’esilarante cronaca di una serie di non-incontri con Czesław Miłosz al ritratto ammirato di Alfred Hitchcock – un personaggio che, per il gusto dei particolari con alone di suspense e le chiuse fulminanti, in fondo le assomiglia”.
Nella foto in alto, Kornel Filipowicz in una foto degli anni Settanta