Avevamo lasciato Anna Maria Ortese (1914-1998) in una sorta di esilio nel borgo di Sant’Agata dei due Golfi. La vocazione letteraria, diventata realtà, trovava sbocco nei libri e sulle riviste e si nutriva di viaggi veri o progettati. C’era Ortese febbricitante di gioventù nel volumetto Vera gioia è vestita di dolore. Lettere a Mattia (Piccola Biblioteca Adelphi): cartoline e lettere spedite tra il 1940 e il ’43 all’amica Marta Maria Pezzoli detta Mattia, testimoni di una tranche de vie preziosa per le date – Angelici dolori è del ’37, L’Infanta sepolta del ’50.
Ritroviamo la scrittrice in un libro fatto di due racconti, scritti attorno ai venticinque anni d’età: ripubblicati ora in tascabile – la prima edizione Adelphi è del 2001 – appartengono al tempo delle missive a Mattia, quando per Ortese Firenze è il miraggio e i Littoriali le portano un premio per il primo dei due testi raccolti, Il Monaciello di Napoli, e forse un attimo di pace.
È quasi spontaneo, mentre si legge questa prima Ortese, chiedersi quanto valeva allora la scrittrice che snobbava con sicurezza Alba de Céspedes (vedi il carteggio con Mattia); chiedersi che cosa lei era (già) in grado di fare. Molto, moltissimo, e viene subito in mente la definizione di Elio Vittorini, coniata per Il mare non bagna Napoli, secondo cui Ortese sarebbe stata una “zingara assorta in sogno”.
Almeno ne Il fantasma, che è un self portrait dell’artista da giovane, di una ragazza triste e innamorata fino al delirio, domina un bric-à-brac da bozzetto ottocentesco, un profluvio di ingredienti da giudiziosa ghost story, allestiti nel salotto d’antan dove, per la sorpresa della protagonista, compaiono il fantasma dello zio Alberto, musicista morto in guerra, e quelli dei suoi due figli, bellissimi e immaginari o bellissimi in quanto immaginari. Una improbabile Marcia nuziale e un minaccioso scheletro travestito da cameriere, e per di più munito di falce d’oro, congiungono nell’allucinazione della ragazza l’Amore e la Morte – entrambi, come il Nulla, più che evocati sillabati con la lettera maiuscola. Se a tratti abbiamo l’impressione di leggere un esercizio di stile per quanto abilmente sceneggiato, possiamo valutare la qualità letteraria dell’incubo di Ortese dalla capacità della scrittrice di farlo rinascere e durare di pagina in pagina.
Più interessante e a noi più contemporaneo Il Monaciello di Napoli perché, mescolando tempi e punti di vista diversi, crea un racconto nel racconto e guadagna, in prospettiva e in profondità, la possibilità di raggiungere con grande effetto i terreni del fantastico. È la nonna della scrittrice che resuscita per la nipote una storia di avi e insieme un inquieto genius loci, l’inquilino segreto di casa. Il monaciello Nicola, per il quale la nonna da bambina è significativamente sia innamorata sia maternamente accuditiva, minaccia i riti di una famiglia borghese. Nel capriccioso Nicola, armato di zufolo e domiciliato in un armadio, balena l’irriducibile (al reale) presenza di un mondo invisibile, ma reso da Ortese, e qui sta tutta la sua bravura, come se fosse concretissimo.
Qual è il significato di questo “fantastico” così vivo nell’esordiente? Forse è la proiezione di un altrove dove possiamo davvero raggiungere la pienezza della vita, fosse pure nella sventura; forse è un incantato momento di sospensione dal quotidiano… Forse conviene ripassare Massimo Bontempelli – che tra l’altro incoraggia Ortese e pubblica il Monaciello sulla rivista Ateneo Veneto. Dice Giulio Ferroni: “Ortese, rientra nella corrente del Realismo Magico […] per la sua capacità di cogliere una realtà visionaria, di atmosfere sognanti, con stupore e meraviglia. Questi sentimenti quasi infantili, si mescolano ad atmosfere di malinconia e di tragedia inevitabile”. A questo punto, pur se in assenza di Ortese, chi è incuriosito dal “fantastico” italiano può ripescare la leggendaria antologia del 1946, Italie Magique – uscita prima in Francia e poi da noi come Italia magica, Einaudi 1988 – compilata da Gianfranco Contini il quale era decisamente avanti sui tempi; in più vi si può aggiungere, aggiornando il punto di vista, L’Italia magica di G.C. di Beatrice Sica (Bulzoni 2013).
Qui ci limitiamo a citare a mo’ di dichiarazione di poetica l’incipit de Il fantasma. “In questa vita, il cui corso prosegue con una uniformità – per chi guarda dall’alto -, una tristezza, un’assenza di fantasia addirittura allarmante, accadono talora, quando più l’anima sembra immersa nello spasimo e nell’inutilità della noia, cose che sanno d’arcano; apparizioni, luci e suoni che non procedono da questa terra”.
A giugno sono 110 anni dalla nascita di Anna Maria Ortese e Adelphi non farà passare di certo inosservata la ricorrenza.