Un viaggio, un percorso nella semantica e nella storia di un termine – ghetto – carico di implicazioni, alla scoperta del significato che ha avuto non solo nel contesto ebraico ma anche in ambito culturale, politico, sociale e storico.
È l’affascinante esperienza che intraprende chi legge il saggio Ghetto. Storia di una parola (Hoepli editore) di Daniel B. Schwartz, specializzato in storia intellettuale, culturale e urbana degli ebrei moderni europei e americani, docente alla George Washington University.
Schwartz ha presentato il suo lavoro al Memoriale della Shoah di Milano.
Nell’incontro ha spiegato che «l’idea di scrivere questo libro è nata da una domanda sul significato del termine ghetto nell’età moderna e in quella contemporanea, su cos’è un ghetto». Ricordando come il termine sia stato usato inizialmente in due diverse città italiane: Venezia, dove si riferiva alla segregazione degli ebrei nel 1516 (il 29 marzo 1516 fu deciso che gli abitanti di un’isoletta del golfo che veniva chiamata Ghetto Nuovo dovessero lasciare le loro case e che lì si dovessero raccogliere tutti gli ebrei di Venezia). E Roma, dove il ghetto sopravvisse fino alla caduta dello Stato Pontificio nel 1870.
Scrive lo storico Adriano Prosperi, membro dell’Accademia Nazionale dei Lincei, nell’introduzione: “Il volume affronta il modo in cui un nome – la parola ghetto – è andato cambiando più volte di significato nello spazio degli ultimi sei secoli”.
Ed ecco quindi che, attraversato l’Atlantico, “ghetto” si radica nel Lower East Side di New York e nel Near West Side di Chicago, dove gli emigranti ebrei abitavano non perché costretti, ma per una scelta volontaria, per dare vita a una comunità che mantenesse un forte senso identitario e di appartenenza culturale e religiosa. Poi si fa parola più universale, che in America definisce, con un’accezione sempre più negativa e riferendosi ai ghetti creati dai nazisti, i quartieri delle grandi metropoli abitati dagli immigrati di origine africana, con fenomeni di povertà, degrado, criminalità ed emarginazione.
In Italia, si legge nel libro, “la parola ghetto ha conservato più che in altre parti del mondo, fatta eccezione per la Germania, il suo significato originario di luogo di reclusione forzata della popolazione ebraica ma lo ha anche più che altrove saldato al significato nuovo di luogo di concentrazione e di eliminazione. Le leggi razziali del regime fascista e la retata nazista nel ghetto di Roma del 16 ottobre 1943 hanno creato continuità e contiguità tra le due diverse accezioni della stessa parola”.
E ancora: “La parola ghetto è ormai decollata dalla sfera ebraica e ha messo radici sia nell’esperienza di un’Europa alle prese con una migrazione di popoli che minaccia un nuovo Medioevo sia in quella dei rapporti tra bianchi e neri nell’America del Nord. Insomma, da locale è diventata globale”.
Il libro. Daniel B. Schwartz, Ghetto. Storia di una parola (Hoepli)
Foto in apertura: Un cortile all’interno del ghetto ebraico di Varsavia. Photo is licensed under the Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International license.